Sabrina Donadel Private Collection
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Televisione

Sabrina Donadel: "Porto in tv il meglio dell'arte contemporanea"

Intervista alla conduttrice di Private Collection, giunto alla terza edizione, in onda su Sky Arte da lunedì 28 ottobre. Sabrina Donadel incontra i più grandi collezionisti privati

È un viaggio a tratti onirico quello di Sabrina Donadel, l’ideatrice e conduttrice di Private Collection, il programma di Sky Arte nel quale incontrata i più importanti collezionisti d’arte contemporanea italiani e internazionali, entrando nelle loro case che custodiscono i capolavori di collezioni private inaccessibili ed esclusive. Dopo il successo delle prime due stagioni, da lunedì 28 ottobre, arriva in prima serata la terza serie, otto nuovi episodi tra storie, emozioni e curiosità che compongono un racconto inedito e parlano senza barriere di arte ad appassionati e neofiti.

Sabrina, ci sono voluti due anni per arrivare alla terza stagione di Private Collection, di cui sei anche produttrice. Perché quest’attesa?

Perché Private Collection è un progetto culturale che ha una macchina organizzativa e produttiva complessa. Ma il risultato finale vale l’attesa: in totale, abbiamo incontrato 24 collezionisti d’arte.

Il protagonista della prima puntata è Antonio Dalle Nogare, l’imprenditore che ti ha ricevuto nella sua casa-museo di Bolzano. Cosa ti ha colpito di questo incontro?

La coerenza della sua collezione e la passione per l’arte concettuale. Oltre che l’impressionante lo spazio che ha creato per ospitare le opere, una casa museo che stupisce per le soluzioni architettoniche che diventano un tutt’uno con la natura circostante.

La domanda delle domande è: come fai a convincere i collezionisti, anche i più refrattari, ad aprirti le porte di casa?

(ride) È come chiedere a Massimo Bottura l’ingrediente segreto del suo piatto cult. Di base c’è un rapporto di grande fiducia, tant’è che con molti collezionisti ho mantenuto legami a distanza di anni. Aprono le porte di casa, che sono fisiche ma anche mentali ed emotive. Il salto mortale è triplo, tocca corde molto intime.

C’è ancora il tabù forte legato alla ricchezza e all’ostentazione?

Rispetto a quando abbiamo cominciato, nel 2014, qualcosa è cambiato in fatto di comunicazione. Ho fatto un po’ da apripista: oggi i collezionisti si espongono di più, si raccontano meglio. Sta cambiando tutto, ma al di là delle timidezze personali, l’Italia per ragioni culturali e fiscali resta più complicata e chiusa.

Hai ricevuto qualche no?

No, almeno fino ad ora.

Il tuo grande sogno?

Uscire dai confini italiani. Il primo passo l’ho fatto: una puntata avrà come protagonista Alain Servais, consulente finanziario di Bruxelles proprietario di una delle collezioni più importanti al mondo. È considerato un punto di riferimento nel mondo dell’arte ed è interessante il suo sguardo lucido sul mercato.

Il prossimo traguardo?

Entrare nelle collezioni internazionali, quelli dei grandi che muovono il sistema dell’arte: il loro tipo di racconto e di approccio è diverso. In Italia, ad esempio, vorrei incontrare Miuccia Pradama ancora non glie l’ho chiesto. E poi François Pinault, un’altra istituzione mondiale.

Chi sono i punti di riferimento italiani in fatto di arte contemporanea?

Tutti i 24 che ho incontrato, da Patrizia Sandretto a Giorgio Fasol, da Raffaella Frascarelli Sciarretta a Benedetta Lucherini e Carlo Berarducci, da Nadia e Paolo Brodbeck a Giuseppe Iannaccone. Ciascuno a modo proprio, incide sul sistema.

Nel mondo dell’arte la questione di genere si pone?

No, ci sono molte collezioniste, curatrici, direttrici di museo. Le donne hanno una buona voce, meno tra gli artisti: da Artemisia in poi, per le donne non è mai stato facile emergere e vivere d’arte.

I social hanno reso più fruibile l’arte?

Hanno reso più democratica la visione, perché dal divano vedi scorrere le opere del Guggenheim di New York, l’hanno reso fruibile anche a chi non ha la possibilità di viaggiare. E un po’ quello che tentiamo di fare con Private Collection.

Quali sono i profili Instagram da seguire?

Sono tantissimi, quelli dei musei di Londra e New York, e ancora il Madre di Napoli o il Mart di Rovereto, o la Fondazione Prada, Biennale di Venezia e Hangar Bicocca.

Lo stato di salute dell’arte in tv è buono secondo te?

Conosco bene la realtà di Sky che è un’oasi felice. In generale, penso che si dovrebbe fare molto di più.

In Rai manca la quota arte?

Sì. Il servizio pubblico dovrebbe includere anche quei programmi che si occupano di arte a 360 gradi, alla pari dell’intrattenimento. Vorrei che venisse dato più spazio alla non omologazione, alla diffusione di contenuti e cultura.

Se ti arrivasse una proposta da Viale Mazzini, la valuteresti?

Sì, ho un’idea chiara di che cosa dovrebbe fare il servizio pubblico e mi siederei a un tavolo a parlare con i direttori di rete per condividere progetti che portino cultura, bellezza, respiro ed eleganza nel racconto.

Ti manca la tv generalista?

Se la domanda è “ti manca la popolarità”, ti dico no. Sennò avrei accettato alcune proposte che mi sono arrivate negli ultimi anni.

Non t’interessa nemmeno la visibilità?

M’interessa continuare a poter parlare di arte a un pubblico interessato a queste tematiche. Ovviamente è importante anche il mezzo: più gente vede il mio prodotto più sono felice.

L’etichetta di “moglie di” t’infastidisce?

Le etichette servono a quelli che te le affibbiano. Io faccio il mio lavoro con sacrificio e passione in un ambito non facile. Sono concentrata a costruire le mie cose, non a pensare a ciò che pensano gli altri di me.

Tuo marito, Paolo Kessisoglu, in questi mesi ha coinvolto 25 artisti nel progetto musicale e sociale "C’è da fare", nato dopo il crollo del Ponte Morandi. Hai collaborato anche tu?

Ho collaborato supportandolo. Sono felice che sia riuscito a realizzare un progetto così importante. È stato emozionante anche per me vedere che si concretizzava e vedere quanti artisti importanti, tra cui Ivano Fossati, aderivano alla sua iniziativa.

Ultima curiosità: Lunita, vostra figlia, è appassionata d’arte?

È curiosa, io la stimolo e quando andiamo in una città nuova la porto per musei o studi d’artista. Ad esempio, in Portogallo, è venuta con me da Jason Martin, un’artista inglese ed è stato divertente osservare le sue reazioni. I ragazzi sono attratti dalle persone che hanno visione del mondo diversa, che va in profondità.

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Francesco Canino