Saverio Costanzo, lo ammetto, Limonov mi ha cambiato
Televisione

Saverio Costanzo, lo ammetto, Limonov mi ha cambiato

Il regista del fenomeno televisivo In treatment ha un progetto ancora più forte: portare sullo schermo la vita dell’attivista russo celebrato dal libro-caso di Carrère

È stretto fra due uomini Saverio Costanzo. Tre se si considera il padre (Maurizio), troppo noto per non essere ingombrante per il figlio artista, regista di talento. Il primo uomo è un cinquantenne in piena crisi di mezza età, alle prese con le fila della vita che d’improvviso si ingarbugliano: Giovanni Mari fatica a rapportarsi con la figlia, si è allontanato dalla moglie, non è sicuro di rispondere alle aspettative dei suoi pazienti, sente pulsioni destabilizzanti e le riconosce subito perché di lavoro fa lo psicoanalista. È il protagonista di In treatment, serie raffinata ideata in Israele, diventata caso in America (con Gabriel Byrne nel ruolo principale) ed esplosa in Italia generando un terremoto nel genere, con gruppi d’ascolto, interventi, Twitter, febbre collettiva (la manda in onda Sky Cinema). L’altro uomo è un gigante del bene e del male, Eduard Limonov, il mondo lo conosce per prodezze e nefandezze arrivate in prima pagina, e se ne è innamorato perché uno scrittore giornalista di fascinazione certa, Emmanuel Carrère, ne ha raccontato la vita da romanzo facendone un bestseller internazionale, Limonov. Di In treatment Saverio Costanzo è stato regista, di Limonov lo sarà, avendo i diritti del libro, pubblicato in Italia dalla Adelphi.

Perché «In treatment» ha rotto il muro del suono di critica e pubblico?
Ha un prologo, un primo, secondo, terzo atto e un epilogo. Ha cioè una scrittura drammaturgica classica. E ci sono snodi narrativi, e un racconto dei personaggi sublime. Difficile perdere l’attenzione o non identificarsi con uno dei pazienti.

Il successo non dipende dalla fame disperata di perché e di profondità?
Raramente si ragiona sui sentimenti, le contraddizioni, le pulsioni. In treatment si fa ascoltare molto bene. È una tv viva.

La psicoanalisi lo è, o è morta, come alcuni sostengono?
Se uno se la può permettere, è un modo per imparare cose di te sommerse. Il famoso inconscio è una grandezza incredibile.

«In treatment» è stato ospite pochi giorni fa a Tavolara a «Una notte in Italia», rassegna di cinema. Una promozione?
Ha un impianto teatrale e il cinema interviene col suo linguaggio di campi e controcampi. Però è anche pura televisione, perché sembra che la seduta accada nel momento in cui stai guardando, e nello stesso tempo è pura finzione. C’è il sublime della tv che è racconto della realtà e il sublime del cinema che è finzione assoluta.

L’ha definito «prodotto estremo». Perché?
Si parla solo.

State lavorando alla seconda serie? Sarà anche questa sulla falsariga di quella americana?
Non so ancora bene i tempi, quello che è certo è che c’è stata una «italianizzazione» nella prima e ci sarà in futuro. Israele, America, Italia non sono paesi molto diversi, sono società occidentali. E la psicoanalisi è radicata nell’Occidente.

Quando scrive?
Non ho metodo, posso scrivere una sceneggiatura in una settimana come in due anni. Devo sentire la necessità. Le mie giornate si muovono intorno ai miei figli, 4 e 6 anni. Senza sforzo. Io sono molto papà.

Il suo invece disse: «Hanno sbagliato sala», quando sua sorella gli telefonò per dirgli che il pubblico era in piedi ad applaudire «Private», il primo film… La nota ironia di Maurizio Costanzo o altro?
Noi abbiamo una forma di rapporto strana, mi sono sentito molto poco «figlio di Costanzo». Una volta ero in banca e dietro di me qualcuno diceva: «Costanzo ha otto figli da otto mogli diverse». Mi sono voltato e stavo per dire: «Ma davvero? Gli altri sette dove sono?».

Come è arrivato a Limonov?
Attraverso Carrère. Un incontro forte, che mi ha colpito.

In che senso?
La sua è stata una vita avventurosa per liberarsi di sé. È veramente un eroe romantico negativo, positivo, tutto e niente. Per arrivare al niente riempie la vita. Io ho imparato moltissimo da lui.

Che cosa?
Bisogna liberarsi da ego e narcisismo.

A che punto è della scrittura?
Ci metterò tantissimo. Serve la forza del cinema per raccontare una vita che straborda da tutte le parti.

Carrère le ha dato suggerimenti?
Mi ha detto che è una storia molto semplice.

Beh, non proprio…
Limonov è un uomo che subisce l’ingiustizia di avere genitori anaffettivi. Tutta la sua vita è uno sforzo per mettere la divisa del padre, per onorarne l’impegno politico. E per togliersi di dosso il senso di colpa nei confronti della madre.

Scusi, ma perché?
Per colpa di un suo capriccio furono cacciati fuori da una cantina-rifugio durante un bombardamento in Ucraina. Non se l’è perdonato. Ha sempre avuto una tensione verso il basso e infatti il periodo più felice della sua vita è stato quello della prigionia.

In che senso?
Era finalmente nel luogo più basso con la divisa da carcerato. Tutto torna.

Lo sa che questa è una lettura fortemente psicoanalitica?
Ma è tutto psicoanalisi, anche la Bibbia lo è. Tutto viene dai genitori. La vita è un tentativo di curare le ferite di essere nati.

Leggi Panorama on line

I più letti

avatar-icon

Stefania Berbenni