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(Ansa)
Tecnologia

Cosa non funziona sulla Ferrari (e cosa servirebbe per migliorarla)

L'analisi tecnica, gestionale e non solo del fallimento della Rossa, l'ennesimo. Con un occhio privilegiato al problema del «carico aerodinamico»

Vorremmo tranquillizzare Frederic Vasseur dopo le parole che ha detto ieri alla fine del gran premio dell’Arabia Saudita: come lui, anche noi appassionati siamo delusi. Il nuovo capo della squadra Ferrari ha dichiarato: “Non è quello che ci aspettavamo dopo due gare. Ci sono stati aspetti positivi, come l’inizio gara di Leclerc, ma poi con le gomme dure la macchina non andava”. E qui casca il Team Principal: no caro Vasseur, c’è di più: ogni squadra, specialmente se ribaltata dal capo fino a chi sceglie le forme dell’auto, ha bisogno di tempo per affiatarsi, tempo che tra un campionato e l’altro c’era eccome. Ed è deludente vedere che oltre a essere dietro Red Bull, Mercedes e Aston Martin, in Ferrari manchino ancora quelle comunicazioni tattiche che invece si ascoltano nelle altre scuderie. Insomma, che la Safety Car abbia annullato il vantaggio delle rosse nelle prime fasi della gara è sfortuna, invece se quando c’è da accelerare il box tace e i cambi gomma vengono chiamati in modo poco razionale, forse frettoloso, è cercarsela.

Su una cosa però Vasseur ha ragione, ma suona scontata e francamente consola ben poco: “Mantenere alto l'umore dei ragazzi è mio compito, mancano 21 gare e dobbiamo lottare”. Tranquillo Frederic, anche i tifosi non si spettano un’altra stagione di solo “sviluppo”. Certo non sapere esattamente perché con le gomme Hard la rossa faccia fatica – sua ammissione - non consola affatto, ma chi ha almeno girato dieci volte su un kart sa che l’uso di gomme dure mostra in genere il vero valore di una monoposto. Va bene, poniamo che l’asfalto cittadino di Jeddah non sia proprio l’ideale, ma valeva per tutti. “Dobbiamo capire” era in mantra di Crozza-Binotto, ora se sarà anche quello del francese significa che il problema non è “chi” è nella squadra corse, ma chi a monte sceglie tra curriculum oggi troppo uguali.

Diciamo quindi la verità e poniamoci la domanda giusta: la SF-23 è un progetto che può ambire al massimo al secondo posto, oppure c’è la possibilità che certi problemi siano risolti? A non far sperare troppo in quanto vedremo a Melbourne il due aprile prossimo c’è quanto sostiene Toto Wolf, che non lavora per la Ferrari ma che vorrebbe rivedere pesantemente il progetto delle Mercedes perché non lo ritiene soddisfacente. Lo so, noi tifosi della Rossa siamo terribili, vorrebbero infatti da subito la velocità della Red Bull, la trazione delle Aston Martin e la strategia della Mercedes. Perché c’è una brutta sensazione dettata dai cronometri ma anche dai volti di Charles Leclerc e di Carlos Sainz: sembra che per correre, più che usare al meglio le loro vetture i nostri piloti debbano lottarci. Un altro atteggiamento, più prudente e bonaccione, potrebbe vederci tollerare le prime due gare pensando che, in fondo, meglio prima conquistare l’affidabilità – e già, stavolta siamo arrivati in fondo! – che sacrificare un altro componente come la centralina che ti costringe a partire dieci posizioni dietro a quella che meriti. E poi ci sono le gomme: uguali per tutti, riscaldate al massimo a 70 °C e certo a Jeddah nessuno ha dovuto risparmiarle per evitarne l’usura eccessiva. E allora? Beh, considerando che i piloti sanno perfettamente a quale pressione devono essere gonfiate quelle montate sulla loro monoposto, e che più dure e rigide sono, meno si deformano in curva, ci si chiede perché la SF-23 arranchi così tanto in velocità nonostante la sua raffinata aerodinamica.

Il Carico Aerodinamico

Sembra facile recuperare carico aerodinamico, ma non lo è affatto, almeno senza evitare l’effetto correlato, quello di aumentare le resistenze. Lo scriviamo al plurale perché su ogni mezzo che si muove in un fluido come l’aria queste sono tre: di forma (ovvero dettata dalla sezione del solido che si muove), quella “indotta” ovvero il prezzo da pagare per ottenere portanza su un aeroplano e deportanza su una monoposto. Questa è proporzionale al quadrato della portanza e questo significa che per un minimo aumento di deportanza corrisponde un aumento esponenziale di resistenza, ovvero di turbolenza. Infine c’è quella di scia, che su una F1 oggi deve essere controllata e che invece, fino a pochi anni fa, era un’arma per evitare che chi stava dietro traesse troppo vantaggio. Per aumentare il carico deportante si devono cambiare le forme dei profili, oppure si possono usare gli stessi variandone l’incidenza, ma anche in questo caso… la resistenza aumenta e di molto.

Per semplificare (molto) al lettore possiamo dire che essendo l’aria un fluido e l’auto un solido, se nel farli incontrare costringi il primo a seguire una strada più lunga, laddove l'aria accelera la sua pressione diminuisce e con lei la resistenza, ma fino a quando la forma consente al flusso di scorrere, poi cominciano i guai e arrivano le turbolenze che diventano un freno.

Quindi dal punto di vista teorico (non è così semplice, ma per far capire ci permettiamo una licenza), se abbiamo un'auto con poco carico aerodinamico dovremmo in teoria avere un'auto veloce, invece spesso non è così. Perché tra corpo vettura, abitacolo, ruote (terribili) e alettoni si creano interferenze tra le varie parti della macchina e queste sono tali che quello che si guadagna in una posizione lo si perde dall’altra. Il tutto (accidenti che complicazione), deve misurarsi con la distribuzione delle masse all’interno della monoposto che genera inerzia. Quindi la somma di tutte le accelerazioni e delle forze aerodinamiche si dovrà misurare con quella della deportanza (carico) e della resistenza, e questo in rettilineo o curve varia sensibilmente, poiché la massa dell’auto tenderà a voler proseguire la sua traiettoria mentre le ruote anteriori le impongono una traiettoria differente e, con le frenate e le accelerazioni, deportanza e resistenza variano in continuazione.

Ecco perché trovare un bravo aerodinamico, anche se nell’immaginario collettivo equivale a trovare una sorta di stregone capace di domare qualcosa di invisibile, non basta: l’aerodinamica è una scienza che nell’automobilismo si deve misurare con la necessità di raffreddare il motore (power unit) e interagire con molti altri fattori, e a tutti deve dare il miglior contributo possibile. Basta un dettaglio, una modifica imposta a uno dei componenti e per vanificare mesi di studi e sperimentazioni.

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Sergio Barlocchetti

Milanese, è ingegnere, pilota e giornalista. Da 30 anni nel settore aerospaziale, lo segue anche in veste di analista. Docente di materie tecniche presso la scuola di volo AeC Milano è autore di diversi libri.

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