Cova: "Schwazer non è stato ascoltato"
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Cova: "Schwazer non è stato ascoltato"

L'ex maratoneta, oro a Los Angeles nel 1984, dice la sua sul dramma di uno sportivo che è stato sconfitto dal dovere di vincere

L'atleta Alex Schwazer non c'è più. Al suo posto, un groviglio di pensieri e di peccati che gli pesano sull'anima come un macigno grande e ingombrante. Ieri ha raccontato le ragioni del suo gesto. I motivi che l'hanno spinto a dire sì al doping. Piangeva, Schwazer, come un bambino che ha capito di aver fatto un errore di cui si pentirà per il resto della vita. Presto, sarà il tempo delle conferme. Per conoscere da vicino le verità di questa vicenda. Per capire se la il vincitore dell'oro a Pechino ha raccontato come stanno davvero le cose. Se il dramma è storia di oggi o di qualche anno fa. Alberto Cova, oro a Los Angeles nel 1984, è convinto che il vero sconfitto sia l'uomo, non l'atleta.

Schwazer ha ripetuto in lacrime le sue ragioni. Cosa non la convince del suo discorso? Davvero, non c'è proprio niente da salvare?

Credo che si debbano fare due ragionamenti diversi. Per parlare dell'atleta e dell'uomo. L'atleta ha sicuramente sbagliato. E l'ha ammesso, raccontando tutte le sue vicissitudini. Ci sarà un percorso della giustizia sportiva e certamente sarà squalificato. Per quanto riguarda l'uomo, penso invece che vada assolutamente seguito e ascoltato. Mi auguro che le persone che gli sono vicino facciano sentire la loro presenza. Perché credo che lui abbia sofferto psicologicamente più da uomo che da atleta. Alex dovrà scegliere d'ora in avanti le persone con le quali confrontarsi. Se cercherà conforto nella famiglia, farà la scelta più giusta.

Faccio mia la domanda che in molti si sono posti dopo aver ascoltato le dichiarazioni dell'atleta: perché accettare l'idea di doparsi per coprire una preparazione fisica non soddisfacente? Se fosse arrivato decimo, in fondo, nessuno avrebbe potuto puntare il dito su di lui...

Sono d'accordo con lei. Nessuno avrebbe dovuto puntare il dito su di lui. Tuttavia, Alex è entrato in un loop difficile da sostenere. Perché evidentemente il ragazzo non è riuscito a gestire psicologicamente l'impegno. Io dico sempre che chi fa sport ad alto livello deve accettare prima di tutto con se stesso ciò che affronterà. Bisogna essere consapevoli della fatica che si dovrà fare per arrivare a certi risultati. E nel momento in cui si raggiunge questa consapevolezza si può accettare una scelta di vita fatta di impegno e fatica. Credo invece che lui dopo Pechino e una serie di risultati negativi non abbia più accettato questo tipo di soluzione. Non è stato capace di trovarla. E forse non è stato sostenuto a dovere da chi gli stava intorno. Mi viene il dubbio che nessuno abbia mai chiesto ad Alex cosa davvero volesse farne della sua vita sportiva. Si è trovato da solo a fare una scelta difficile. E ha scelto scorciatoie improponibili.

Ma perché l'hanno lasciato solo? Suo padre ha già fatto il mea culpa. Ma credo che anche nel contesto sportivo ci sia qualcuno che deve assumersi le responsabilità di quanto è successo. Chi ha programmato negli ultimi l'attività sportiva di Schwazer? Forse avrebbero capito che il ragazzo aveva bisogno di risposte nella sua vita personale.

Difficile spiegare a chi non è un'atleta professionista quali e quante sono le rinunce che devono accettare i grandissimi per rimanere al vertice...

Le posso assicurare sinceramente che di rinunce non se ne fanno. Ci sono scelte precise che si fanno in modo consapevole. Come dicevo prima, è l'atleta che deve decidere cosa fare. Se l'atleta si prende questo tipo di impegno, siamo a buon punto. Poi, è chiaro che è necessario che l'entourage che lo segue faccia il resto. Cioè, gli dia il supporto adeguato e tutto ciò che è utile per sviluppare il suo talento e ottenere dei risultati.

Tutto il resto, arriva in modo automatico. Perché poi diventa normale alzarsi la mattina presto per fare 30 chilometri di allenamento. Bisogna essere consapevoli che fare questo tipo di attività è molto bello e se si fa con la passione giusta si ottengono anche dei risultati. Schwazer non ha trovato la persona con la quale confidarsi. Sentiva il peso dell'oro di Pechino e questa ossessione l'ha portato sulla strada sbagliata.

Schwazer si è lamentato dell'assenza di tecnici validi in Federazione. E' proprio così? La maratona italiana non può contare sul contributo di insegnanti preparati e qualificati?

Schwazer ha vinto l'Olimpiade di Pechino con il miglior allenatore della marcia che abbiamo in Italia, Sandro Damilano, uno dei migliori al mondo, tanto che a Londra gli è stato chiesto di seguire, con successo, la nazionale cinese. Perché Schwazer ha lasciato Damilano? Dice che nel nostro Paese non ci sono allenatori validi, beh, lui stava con il migliore. Evidentemente, è successo qualcosa nella sua vita che ha scombussolato tutto il suo modo di essere atleta.

Cosa resterà di questo dramma? Secondo lei gli sportivi italiani riusciranno mai a perdonare Schwazer?

Come atleta, pagherà per quanto ha fatto. E nel momento in cui avrà chiuso i conti con il suo errore, si libererà di una parte ingombrante del suo passato. Se è vero quello che ha detto, e cioè che l'atletica non è più il suo mondo, gli auguro che si dedichi alla sua vita in modo tranquillo e sereno. Nella vita 'normale' avrà la possibilità di fare tante belle cose. Schwazer lo conosco, è un ragazzo fantastico, che ha sempre avuto grande entusiasmo e determinazione. Se userà queste armi nel quotidiano, si toglierà parecchie soddisfazioni.

E lei, l'ha perdonato? Cosa gli dirà quando lo incontrerà?

Gli dirò che ha sbagliato e che mi dispiace per lui. Non ha bisogno di perdono, ha bisogno di avere intorno a sé le persone giuste, che lo sostengano nel modo opportuno. Non vorrei che questa vicenda lo porti a fare scelte affrettate. Io avrei probabilmente le stesse cose che ha fatto lui. Avrei esternato il mio malessere, ma l'avrei concentrato in un momento e basta. Poi, mi sarei appartato per riflettere molto sui miei problemi in ambito personale. Ce la può fare.

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Dario Pelizzari