Calcioscommesse: Quest’uomo, da Singapore, truffa il calcio in Italia e nel Mondo
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Calcioscommesse: Quest’uomo, da Singapore, truffa il calcio in Italia e nel Mondo

È così misterioso che di lui esistono soltanto due fotografie. Con i suoi traffici gestisce un giro d’affari da 90 miliardi di dollari l’anno. L’Interpol lo segue da tempo. La Procura di Cremona ha chiesto il suo arresto accusandolo di avere condizionato interi campionati. «Panorama» è andato a casa sua. Scoprendo che vive indisturbato e che la sua gang è attiva più che mai.

Vive in un elegante residence di Sengkang a meno di un’ora dal centro di Singapore. Mentre le polizie di mezzo mondo gli danno la caccia, lui non si è mai mosso dalla sua città. Una delle due Bmw che guida abitualmente fa bella mostra di sé davanti al portone, tra mangrovie verdi e sculture neoclassiche. Il portiere in livrea annuncia la visita all’interfono e ci fa salire senza storie appena gli comunichiamo chi stiamo cercando. Non è Dan, come lo chiamano gli amici; né Danahblur (letteralmente «Dan che vede rosso»), come lo ha ribattezzato chi ha avuto la sfortuna di farlo arrabbiare sul serio; né Goldfinger, nick coniato dagli investigatori italiani. Il suo vero nome è Tan Seet Eng, ha 48 anni ed è a capo di un business criminale da almeno 90 miliardi di dollari l’anno: quello delle partite truccate.

Sulla testa di Dan pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla Procura di Cremona per associazione a delinquere, frode sportiva e truffa. Secondo i magistrati lombardi, e per gli agenti dell’Interpol che lo monitorano da anni, Dan è il capo di una holding che ha «aggiustato» oltre 400 incontri di calcio negli ultimi dieci anni, scommettendo in Asia sui risultati esatti e guadagnando cifre da capogiro. Un totonero in scala planetaria, messo su con l’aiuto finanziario delle Triadi cinesi e fondato su una presenza capillare: dovunque si giochi a pallone gli uomini di Dan reclutano arbitri, calciatori, allenatori, dirigenti. Pagano in contanti. Corrompono, blandiscono, e quando è necessario minacciano.

Dal soggiorno di casa lui, con i suoi cinque cellulari e un portatile sempre sulle ginocchia, dirige il traffico. Ha creato due società di copertura, la Exclusive sports e la Football4U, e spartito il territorio affidandosi a uomini di fiducia e intermediari locali. Come Wilson Raj Perumal, il suo ex braccio destro che gestiva l’area compresa tra Europa e Africa, e oggi collabora con gli inquirenti: in Italia il suo contatto (la confessione è stata raccolta dal blog Invisible Dogs) erano i cosiddetti «zingari», cioè gli slavi che avevano arruolato Beppe Signori, ex attaccante della Lazio, Cristiano Doni, capitano dell’Atalanta, e molti altri professionisti di casa nostra, oggi colpiti dalle squalifiche inflitte dalla Federcalcio.

Nonostante le indagini penali e le condanne sportive, però, con un viaggio a Singapore Panorama ha scoperto che Dan e i suoi uomini continuano imperterriti a truccare partite in tutto il mondo. O almeno a provarci.

Il nostro viaggio inizia dall’abitazione del boss, un indirizzo di cui dispongono anche gli investigatori di Cremona. Dan è un signore dal volto pacioso, con un girovita che svela la sua passione per il pollo fritto in salsa sichuan e una moglie originaria di Shenyang (nella Cina nordorientale), da cui si è separato ufficialmente nel 2011, anche se l’appartamento risulta intestato a lei. La descrizione arriva da chi l’ha visto di recente, perché del boss esistono al mondo solo due scatti, molto sfocati e altrettanto datati. Del resto, se per le autorità italiane Dan è un latitante, per quelle locali è un cittadino su cui non c’è bisogno di indagare: da queste parti il reato di frode sportiva non prevede l’estradizione e in patria il nostro uomo risulta nullatenente e incensurato.

Secondo un investigatore locale, Dan ha un patrimonio personale stimato in 45 milioni di dollari e riserva tutto l’anno per sé una suite al Marina Sands Bay Hotel, sul lungomare di Singapore City, anche se la utilizza solo per gli incontri importanti. Come quello, avvenuto a fine 2010, con Hrystyan Ilievsky, il capo degli «zingari», l’altro latitante eccellente dell’inchiesta cremonese.

Saliamo al secondo piano e suoniamo il campanello. Dan è in casa, lo sappiamo perché ce l’ha assicurato il portiere, ma non apre. Lasciamo un biglietto con il nostro numero, ma non richiamerà mai. «Anche se l’avesse fatto, avrebbe respinto comunque tutte le accuse: ha fatto così anche con me» confida Zaihan Mohammed Yussof, il reporter del quotidiano locale Tnp che è stato il primo a occuparsi del calcioscommesse in città e l’unico ad avere parlato con il boss: da allora ha collezionato tre auto bruciate e decine di telefonate di minacce. «Fino a pochi anni fa Dan era solo un galoppino» continua Zaihan. «Lavorava per un discusso uomo d’affari malese che inaugurò il sistema acquistando due squadre svizzere».

In una di queste, il Chiasso, militava Almir Gegic, amico di molti calciatori italiani. Da lì alla creazione di una nuova e redditizia cellula il passo è stato breve. Lo schema era lo stesso adottato in altri paesi: la benedizione del boss, gli intermediari locali, una fetta cospicua della torta lasciata in mano alla malavita organizzata e a chi era in grado di avvicinare fisicamente i calciatori. Bookmaker compiacenti, hacker smanettoni, conti correnti cifrati e spalloni con i trolley zeppi di banconote completano un quadro a metà tra la spy story e i manuali di franchising. «Un quadro di cui questa città rappresenta la cornice ideale» spiega a Panorama Mark Findlay, docente di criminologia alla Singapore management university: «Qui la passione per il calcio è enorme, il know how degli allibratori clandestini è un fatto storico, i capitali illeciti da ripulire sono ingenti». E i lustrini dei campionati maggiori, come la serie A italiana, trasformano la scommessa truccata in un prodotto finanziario attraente.

Risultato: decine di incontri truccati anche nel nostro Paese, per il quale Dan aveva una vera passione. Lo testimoniano i 48 viaggi in quattro anni: quasi sempre il boss alloggiava al Crown Plaza di Malpensa, ma tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 le sue utenze telefoniche sono state agganciate in Puglia, proprio nello stesso periodo in cui, secondo le accuse, la squadra del Bari iniziò a vendersi le partite.

L’impero di Dan vacilla quando nel febbraio 2011 il suo braccio destro Perumal inizia a collaborare con i giudici. Da allora il cerchio intorno a lui si è stretto notevolmente e la «cupola» è stata colpita da quattro retate a Singapore, l’ultima a luglio, anche se un portavoce della polizia rifiuta di mettere in relazione le due vicende: «Le indagini potrebbero venire compromesse» dice. Non è un mistero che Dan abbia anche molti agenti a libro paga: la conferma arriva quando in un bar del centro uno dei nostri interlocutori ci fa notare che siamo seguiti (vedere scheda a pagina 72). Dopo quell’episodio veniamo avvicinati da un altro membro della banda, da poco entrato in conflitto con Dan, del quale dice di conoscere ogni segreto: sostiene che il boss «ripulisca i soldi di investitori cinesi con l’aiuto della moglie, dalla quale in realtà non si è mai separato». E sull’Italia? «È il luogo più semplice per agire» dice: «Da voi si incontrano i giocatori, si mettono i contanti sul tavolo ed è fatta».

Oggi l’attività della gang, vista l’aria che tira nei campionati maggiori, si concentra sulle nazionali del Terzo mondo. Ma i protagonisti delle combine sono sempre gli stessi o quasi (vedere la scheda a sinistra). E, come ha potuto ricostruire Panorama, avrebbero lavorato duro anche quest’anno. Prima hanno tentato senza fortuna di avvicinare una nazionale asiatica di calcio femminile impegnata alle Olimpiadi londinesi, poi hanno fatto rotta sull’America Latina (vedere la scheda a pagina 73). Condizionando le amichevoli disputate il 23 e il 26 maggio dalla Moldova in Venezuela e Salvador e quella del 3 giugno tra Porto Rico e Nicaragua. Incontri su cui hanno acceso un faro anche la Fifa e l’Essa, l’organismo antifrode cui aderiscono i principali bookmaker europei.

Uno dei nomi emergenti della gang, Peter Pehkang Lee, raggiunto al telefono dai cronisti di Panorama, nega tutto: «Sono solo un uomo d’affari. Le mie soste in Italia? Io viaggio molto per lavoro». Del resto la polizia non gli ha mai contestato nulla. Così come non è mai andata a bussare alla porta di quell’elegante residence di Sengkang. A casa di Dan, il capo.  

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