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E' Pioli l'allenatore giusto per il Milan?

Pragmatico, corretto e abituato a prendere progetti in corsa. Ma anche lontano dalla storia del Milan, così come Giampaolo...

Stefano Pioli è l'ottavo allenatore del Milan dal 13 gennaio 2014, giorno (notte) dell'esonero di Massimiliano Allegri. Arriva dopo Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi, Montella, Gattuso e Giampaolo che si sono bruciati, ciascuno a modo suo, sull'altare dell'affannosa rincorsa al passato di un club che ha scritto la storia del calcio europeo e mondiale ma fatica a ritrovarne la porta d'ingresso.

E' l'ottavo allenatore in poco più di cinque anni, scelto dalla terza proprietà nello stesso arco di tempo e dalla quarta dirigenza visto che il Milan di Elliott ha vissuto in poco più di dodici mesi già due cicli, passando da Leonardo a Boban. Senza contare il periodo di interregno degli amministratori delegati in pectore, delle cordate e dei voli aerei pubblicizzati ma quasi sempre infruttuosi.

La scelta di Pioli e dell'esonero di Marco Giampaolo è stata fatta a tempo record. Mai nel Dopoguerra un allenatore rossonero è stato cacciato dopo sole 7 giornate. Nereo Rocco nel 1973 fu affiancato da Cesare Maldini dopo 8, Terim nel 2001 licenziato alla 9° così come Morselli nel 1953, mentre Tabarez durò fino alla 11° nel 1996. Questo per dire che nel caso di Giampaolo non si tratta solo di un allontanamento, ma di una sorta di sentenza. Una fatwa emessa a dispetto dell'ultimo successo a Marassi che ha consentito di dare un po' più di respiro alla classifica.

marco giampaolo allenatore milanANSA/LUCA ZENNARO

Pioli, scelta di breve periodo

La premessa è necessaria per spiegare che con Pioli il Milan ha compiuto una scelta in linea con il recente passato. Un buon allenatore, certamente più flessibile e pragmatico rispetto a chi l'ha preceduto, profilo di aggiustatore di spogliatoi e progetti fallati ma al tempo stesso non un tecnico con standing e curriculum da Milan.

Non si tratta di tornare a un passato che oggi non esiste più, ma di cogliere la differenza tra l'affidare squadra e futuro a un allenatore costruttore nel lungo periodo e la scelta di Pioli che in carriera una sola volta in Serie A (Bologna 2011-2014) è andato oltre la seconda stagione sulla stessa panchina.

Stefano Poli può essere l'allenatore giusto per aiutare il Milan a uscire dalle secche di un'annata quasi compromessa al via, difficilmente può essere considerato l'allenatore giusto per il Milan in termini assoluti. Non è un giudizio negativo sulla persona (correttissima anche in frangenti difficili) o sul professionista, ma l'analisi fatta a priori e non poi. Lo scrivemmo anche a luglio a proposito del Milan che stava nascendo (QUI L'ARTICOLO) tra tanti applausi e nessuna critica, come se la scommessa Giampaolo fosse vinta prima ancora di essere giocata.

Il nodo rimane lo stesso di luglio. Quale Milan ha in testa Elliott? Da cosa sarà circondato Pioli? Quanto sarà difeso alle prime difficoltà da Boban e Maldini, a loro volta nel mirino per le scelte estive e sui quali un giudizio andrà emesso? 

Per sciogliere il nodo sarebbe servito un nome differente: Allegri, Spalletti o qualcuno meno condizionato dallo sbarco in un club con una storia pesante alle spalle e meno condizionabile nelle sue strategie.

Tutti i subentri della sua carriera

Pioli subentra in corsa per la quarta volta nel corso della sua carriera. La più recente è stata l'esperienza all'Inter, presa dalle mani di De Boer in autunno e lasciata in primavera con un esonero che gli ha evitato le ultime tre tappe della discesa all'inferno in una stagione maledetta. Prima c'erano state le 7 vittorie di fila, la grande illusione e una rimonta dal 10° posto alla zona Europa abortita in un finale a precipizio.

A Bologna nel 2011 era andata decisamente meglio: squadra presa quando era ultima (un punto in 6 partite) e risollevata fino a una serena salvezza con 9° posto finale. La stessa impresa compiuta in Serie B a Grosseto nel 2007 dopo essere salito in corsa su un treno da zero punti nel primo mese di campionato con 13° posizione alla fine.

Il suo curriculum è impreziosito dal terzo posto con la Lazio, poi non capitalizzato nel playoff di Champions League contro il Bayer Leverkusen, e dalla gestione della dolorosa stagione della Fiorentina nell'anno della tragica scomparsa di Davide Astori. Una medaglia che riconosce la sua capacità di leadership dentro gli spogliatoi, soprattutto se attraversati da marosi. Servirà anche al Milan, pure fuori da quelle mura.

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Giovanni Capuano