Vi racconto il mio Gualtiero Marchesi
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Vi racconto il mio Gualtiero Marchesi

Da Fiammetta Fadda un ricordo personale del grande chef, fondatore della "nuova cucina" italiana: la "sua maniera", sempre clamorosa

Di certo questa data, 26 dicembre 2017, non gli è andata a genio. Se avesse potuto scegliere avrebbe deciso di andarsene il 19 marzo 2020: perché gli sono sempre piaciuti i numeri tondi, armonici, evocativi, scaramantici.

LE DATE TONDE

  • 19 marzo 1930, San Giuseppe, giorno della sua nascita e un giorno prima dell’inizio della primavera;
  • 1970, partenza dell’avventura in Bonvesin de la Riva a Milano;
  • 1975, in una storica singolar tenzone davanti ai più accreditati guru del palato, nascita ufficiale della “nuova cucina” italiana con la sua vittoria su quella tradizionale rappresentata dai Dodici Apostoli di Verona;
  • 1985, è il primo tre stelle della Michelin in Italia;
  • 1990, a Parigi è nominato Cavaliere dell’Ordre des artes et des lettres, l’onorificenza di cui andava più orgoglioso;
  • 2000, compie settant’anni all’apertura del nuovo millennio con quarant’anni di carriera folgorante alle spalle, maestro riconosciuto dei migliori cuochi della nuova generazione;
  • 2010, il Comune di Milano gli dedica una mostra al Castello Sforzesco.

LA SUA MANIERA, CLAMOROSA

In mezzo a queste e altre date miliari, un florilegio di provocazioni, impertinenze e capricci che punteggiano e raccontano la “sua maniera” che riusciva sempre a essere clamorosa.

Come rifiutare il giudizio della Michelin, sostenere che il modo migliore per gustare un piatto sia di abbinarlo a un bel bicchiere d’acqua o che i critici gastronomici non possono atteggiarsi a giudici se non sanno cucinare.

Per me, durante gli anni di direzione di Grand Gourmet, ideava speciali stravaganze che facevano squittire le ragazze in redazione e indignare gli accademici paludati.

Insieme”, creato per inaugurare il nuovo formato della testata, era un riso alla parmigiana, sovrastato da cinque rigatoni all’amatriciana, guarniti da una fetta di guanciale croccante: “un’unione che non contamina le singole personalità “, commentava lui.

Oppure la ricetta costituita da cinque formati di pasta totalmente scondita (ciascuno al perfetto punto di cottura), per “far apprezzare la diversità di sensazioni provocate dalle diversità delle forme”.

In realtà ogni apparente provocazione è stata una nuova fase del suo percorso, troppo avanti per essere capita d’emblée.

Difatti chi ha apprezzato subito il valore delle sue composizioni che trasferiscono alla robusta consistenza degli ingredienti la purezza delle immagini sono i pittori, gli scultori e gli artisti che hanno ispirato molti dei suoi piatti. Kazimir Malevič per la costoletta alla milanese a cubi; Piero Manzoni per l’Achromes di branzino; Jackson Pollock per il Dripping di pesce; Marc Chagall per Tre gusti per un dolce. Piatti studiati al millimetro nei volumi e nel colore.

BASTA CON IL DIVISMO DEI CUOCHI

Eppure due anni fa, quindi a ottantacinque anni, Gualtiero ha invitato al Marchesino, la sua sede di fianco alla Scala, un numero ristretto di intenditori per lanciare quello che, secondo lui, è il futuro dell’alta cucina: il ritorno del grande servizio in sala destinato a porre fine al divismo dei cuochi.

Chateaubriand à la presse, Pasta mantecata alla lampada, Omelette norvegienne, Gelato all’azoto liquido. Nella magistrale esecuzione dei maître. Attendiamo gli esecutori.

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