La morte ai tempi di Facebook
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La morte ai tempi di Facebook

Il social network altera il rapporto tra vita e morte, vivi e trapassati, diventando non solo un cimitero virtuale ma anche un’anticamera di eternità.

Tra le tante problematiche legate alla morte, cioè la fine della vita, oltre alla spaventosa questione del senso dell’essere per poi non essere - quindi dover attribuire, mentre si “è”, un significato alla prospettiva di “essere stati” - c’è la questione concreta di “che cosa lasciamo dopo di noi”?

E, soprattutto: a chi?

Abbiamo tutti ben presente qualche scena, almeno televisiva o cinematografica, dell’apertura di un testamento: eredi disposti a tutto pur di accaparrarsi un castello o un baule, l’eredità, quale motore narrativo, movente per biechi complotti e formidabili vendette.

Tutto questo immaginario ha sempre avuto presupposti reali attinenti al mondo fisico, e dava un senso, almeno materiale, all’essere stati: che cosa lasci e a chi lo lasci.
Che uno avesse tanto, o poco, non importava: si trattava comunque di lasciare qualcosa di tangibile, a qualcun altro.

L'eredità su Facebook

Ora, il social network ha aggiunto la possibilità far diventare un proprio amico sul social network il proprio “contatto erede”. Cioè colui o colei che avrà in eredità il nostro account una volta che avremo lasciato questa valle di lacrime.

Il gestore, per nostra volontà, del nostro profilo, con il suo corredo di foto e opinioni, di video musicali e vignette, di insulti e di dichiarazioni d’amore.

Sui tecnicismi non mi soffermo (regole, impostazioni della privacy, cavilli vari degli infiniti e illeggibili contratti che firmiamo senza leggere, si portano dietro infinite fonti di riflessione, buone per un saggio, non per un articolo di costume). Per chi volesse saperne di più, ad esempio quando l'opzione sarà disponibile anche in Europa, con che modalità, etc, basta che scriva su Google le parole: “Facebook”, “erede”, qualcosa salterà fuori di certo.

Un nuovo equilibrio tra vivi e morti

Invece, la questione ereditaria, apre, da un punto di vista generale, riflessioni di tale profondità e vastità da far tremare le ginocchia.

Chiunque abbia perso un amico, un conoscente, un parente già presente su Facebook al momento del decesso ha ben presente cosa succede già da diverso tempo: un’invasione di foto, di cuori, faccine tristi, un’infinità di RIP (o R.I.P., la gente dei social, come si è visto, impazzisce gli acronimi esteri, e questo è il contraltare funerario dell'evergreen LOL).

Questa nuova formula, che rende ancora più attivi e interattivi i già presenti “profili commemorativi”, non si limita a rendere Facebook il più grande cimitero del mondo (il numero di morti è in rapidissima ascesa), ma a segnare una nuova convivenza tra vivi e morti, rendendo i morti sempre più vivi grazie a questi nuovi accorgimenti in cui, mentre le spoglie mortali si disgregano, i profili - agglomerati di memorie, confessioni, ambizioni, cronologie, etc, etc - di vivi e morti diventano sempre più simili, lasciandoci con una maldestra e agrodolce impressione di eternità putativa.

La mole di implicazioni, per esempio giuridiche, che si dovranno affrontare in futuro appare quasi inaffrontabile. Facebook è già, ci piaccia o no, un’entità che ha sovvertito per sempre ogni nostro paradigma sociale tra vivi. Tra qualche secolo, la sua creazione, potrebbe essere ricordata anche come spartiacque funeriario (sempre che una tempesta solare non sopraggiunga a riportare l’umanità indietro nel tempo) capace di ridisegnare la ritualità umana di fronte alla morte.

Una nuova ritualità?

Su un piano emotivo, il disagio di fronte a un simile sfoggio di sentimentalismo kitsch, di fronte a tutti quei miserabili e stucchevoli "riposa in pace", fa provare a molti di noi il desiderio di spaccare tutto.
Ma, d’altra parte, non è che i cimiteri siano spesso da meno in quanto ad accozzaglie di cattivo gusto su tombe impotenti, o lo siano i funerali, non di rado teatro di inutili teatralità da vecchie prefiche, o lo siano le scritte sui muri, le standing ovation, gli altarini, le ritrite formule religiose.

Il commiato ha sempre avuto bisogno di svolgere un ruolo simbolico e rituale. E se pensiamo alla storia delle sepolture, non possiamo non riconoscere quanto sia cambiata nei secoli dei secoli.

L'impressione che si tratti di pacchianerie disgustose potrebbe essere solo lo sguardo di chi, abituato alle ritualità di un’altra epoca, è incapace di fare i conti con le ritualità della nuova. Che è difficile immaginare come sarà, nello specifico, ma in cui possiamo scorgere scenari difficili da digerire, paradossali, inquietanti e fantascentifici (senza forzare la mano come nell'interessante serie tv britannica Black Mirror): bisononne che mettono "mi piace" alle foto dei bisnipoti, chat coi genitori cui si chiede postumo perdono e risposte dei genitori comprensivi (soliloqui schizofrenici o stagisti di nuove agenzie di comunicazione?), dialoghi tra zombie, selfie con popstar, litigi, attacchi, succose querelle tra VIP trapassati riprese da Dagospia, etc, etc. Possiamo immaginare di tutto e di più dopo la nostra morte. Tranne che il riposare in pace.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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