La grande ricchezza di una coppia come noi
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La grande ricchezza di una coppia come noi

Prima della premiazione a Los Angeles ha detto al marito: "Che bella passeggiata abbiamo fatto insieme". Daniela, moglie di Sorrentino, spiega come la loro vita sia diventata una marcia trionfale

Non è affatto vero che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. C’è soltanto una donna molto paziente". The day after, sfilato il fantastico abito rosso di Giorgio Armani ("Non ho mangiato per giorni per entrarci: ma come fanno le attrici, qui, a essere tutte così magre?"), Daniela D’Antonio, 43 anni, giornalista napoletana, bionda, minuta, i capelli legati in uno chignon basso come una signora bon ton, ha un solo desiderio: "Tornare a casa per vedere Masterchef, soprattutto le due puntate che abbiamo perso e ci siamo registrati. Altro che notte degli Oscar: la cosa che a me e a Paolo piacerebbe davvero sarebbe andare a vedere il nostro reality preferito dal vivo. Ogni giovedì Paolo fa la pizza e lo guardiamo insieme con i nostri figli, poi facciamo delle vere simulazioni, con tanto di voti".
Così parla la moglie di Paolo Sorrentino, il regista della Grande bellezza. "Lady Oscar" ha la virtù dei forti, una calma zen, sembra che stia riportando a casa la famiglia dalla sagra dello gnocco, più che da Los Angeles e dalla vittoria del premio più ambito per un regista.

È questo il suo segreto, la tenacia; così è riuscita a stargli accanto per 14 anni e a sposarlo a New York con i vostri figli nell’estate del 2011?
"Non ho fatto nulla di impossibile" risponde. "Non ho il marito che lavora in miniera o che è partito a combattere in guerra; è un regista, ed è una cosa che si può anche sopportare...".

Qualcosa avrà sopportato, se Sorrentino le ha dedicato il film "Il Divo" dicendo: "A Daniela che mi ha salvato".
È vero, mi ha dedicato Il Divo, ma le parole rivolte a me che preferisco sono in fondo al suo libro Hanno tutti ragione, del 2010 (Feltrinelli, 319 pagine, 15 euro, ndr). Ha scritto che ero io il motore e la guida della sua vita e che gli lasciavo "il lusso di crogiolarsi nel facile, impagabile ruolo del portapacchi che si gode il venticello sul tetto".

Questo è il senso di essere la musa di Sorrentino? Lei che guidava e sudava, e lui a godersi il vento?
Io sono quella interventista: sono brava a risolvere i problemi, le piccole emergenze, ma sulla lunga distanza è lui quello competente. Ci siamo equilibrati.

Com’è accaduto?
Quando ho conosciuto Paolo era un ragazzo malinconico, che amava stare da solo. L’ho spinto io a diventare più sociale, a stare tra gli altri, a uscire dalla sua solitudine.

Sorrentino si è rivelato un cavallo vincente. Lo immaginava, allora?
Non ci ho neanche mai pensato (ride, ndr). Ci siamo incontrati quando questi successi neanche li immaginavamo. Lavoravo a Repubblica e nello stesso palazzo c’era la sede dei Teatri Uniti. Lì conobbi Paolo, Nicola Giuliano, il nostro produttore, Toni Servillo: tutti siamo riusciti a fare quello che sognavamo, ma all’inizio sembrava impossibile. Non è stato facile per nessuno, ma se ti conosci da ragazzo i rapporti hanno radici profonde. Abbiamo condiviso tanto, bello e brutto, ci siamo divertiti insieme, abbiamo riso molto. E ancora ridiamo. Mentre tornavamo dagli Oscar, ci siamo detti con Servillo e Giuliano: siamo stati fortunati, abbiamo avuto una vita fortunata.

Ma all’inizio non sarà stato tutto un "red carpet".
Quando ho conosciuto Paolo, aveva fatto solo due cortometraggi e stava cercando di girare L’uomo in più. Non aveva avuto una vita facile, aveva perso entrambi i genitori a 16 anni, aveva attraversato una grande solitudine. Insieme abbiamo ricreato una nostra serenità, venivamo da famiglie simili, semplici e con gli stessi valori. Per molte cose ci sentivamo uguali. Non è stato affatto facile la prima volta a Cannes, nel 2004 con Le conseguenze dell’amore: nessuno ci conosceva. Paolo non aveva neanche uno smoking da mettersi, fu Giorgio Armani il primo a offrirci aiuto. Pochi allora avrebbero scommesso su di lui.

Lei invece sì: perché?
Siamo simili, presenti a noi stessi, realisti, con i piedi per terra. Non cambieremo neanche adesso, neanche dopo che Martin Scorsese e Leonardo DiCaprio ci hanno coccolati e circondati di affetto e complimenti. L’altra notte, dopo aver vinto, siamo tornati a Mulholland drive, dai bambini: non avevamo voglia di andare a nessun party. Dopo aver vinto il Golden globe Paolo è tornato a casa e ha portato nostro figlio dal dentista, come fosse un giorno qualsiasi.

E anche i vostri figli, Anna e Carlo, immersi di colpo in un film pieno di celebrità, sono rimasti uguali a prima?
Sì, Carlo si è addormentato su ogni divanetto ai party di Los Angeles, come se fosse a Roma. Tutti e due appassionati di cinema, non hanno subito il fascino dei divi. Quasi distaccati, come lo sono i bambini: addirittura Carlo, quando il padre ha vinto il Golden globe, era deluso che avesse battuto Hayao Miyazaki, il grande direttore d’animazione. Non gli sembrava giusto; continuava a dire che il regista giapponese era un grande, forse grande più del padre.

È mai stata gelosa delle attrici?
Paolo non è un monaco buddista e qui le donne sono veramente belle, più belle ancora di come appaiono nei film. Cate Blanchett per me è l’anello di congiunzione tra Dio e l’essere umano e l’ha circondato di affetto, dicendogli di aver visto due volte La grande bellezza. Ma se la moglie del regista è gelosa, allora davvero è una donna perduta.

Quali sono stati i migliori momenti della vostra vita insieme?
Per me quelli legati ai figli. Per lui, quando ha ricevuto il messaggio di Diego Armando Maradona (dopo la premiazione ha detto: "Mi fa piacere che un figlio di quella Napoli che amo e nella quale vorrei tornare presto abbia vinto un Oscar", ndr).

Che cosa vi siete detti prima che il grande show avesse inizio?
Quando stava per cominciare eravamo nervosi, gli ultimi giorni avevamo avuto riscontri positivi, ma all’ultimo round non ci sembrò più così scontato vincere. In quel momento la vita ti passa davanti come un film e ci siamo detti: "Che bella passeggiata abbiamo fatto insieme". E poi ci siamo messi a ridere.

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Terry Marocco