Masterchef sono io. Quelli in tv sono a malapena chef
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Masterchef sono io. Quelli in tv sono a malapena chef

"Il motto in cucina sembra essere: famolo strano. Ma un piatto deve essere semplice". Gualtiero Marchesi sbarca in tv e come al solito non ha peli sulla lingua

Il maestro fa un cenno garbato alla bella camerierina napoletana e ordina solennemente "un grissino". Poi Gualtiero Marchesi ne chiede un altro, e un altro ancora, li sistema sul tavolo e propone di giocarci tutti quanti a Shanghai: "Sarebbe divertente anche per i clienti della sera, no?" dice al maitre che a centro sala, maneggiando un torchio luccicante, sta strizzando la carcassa di un'anatra per estrarne la salsa da condimento, metodologia d'alta scuola diffusa nei grandi alberghi di cinquant'anni fa e oggi praticamente scomparsa. Il filotto sui progetti per il futuro sciorinati da Enrico Dandolo, suo genero nonché amministratore delegato del Gruppo Gualtiero Marchesi, non sembra coinvolgerlo granché: "Non vorrei scivolare nella confessione, ma ormai quello che dovevo fare l'ho fatto, e sono anche un po' stanco di vivere, l'ammetto" dice il decano dei cuochi italiani, il primo a ottenere tre stelle Michelin nel 1986 e il primo a rimandarle al mittente con sdegno nel 2008.

Cita persino Mario Monicelli, morto suicida cinque anni fa: "Ci vuole un bel coraggio a buttarsi di sotto, non le pare?". Solo quando a tavola s'inizia a dissertare del riesling veneziano servito coi suoi spaghetti al caviale ed erba cipollina s'attizza, anzi s'incazza: "Vede? Tutti parlano del vino, e nessuno s'interessa al piatto. A Erbusco non facevo uscire le pietanze finché i camerieri non avevano fatto sparire i bicchieri. Al limite, permettevo di servirlo in modo che non disturbasse, tra una portata e l'altra" racconta, confidando di non toccare alcol da 17 anni: "Che devo fare, mi fa schifo". Il Marchesino, il ristorante in piazza della Scala a Milano dove a pranzo e cena si può assaggiare un'antologia delle sue più grandi creazioni (dal riso oro e zafferano al dripping di pesce) è di nuovo affollato, dopo un periodo difficile seguito agli attentati di Parigi e alla conseguente inclusione del teatro meneghino tra i possibili obiettivi dell'Isis: "Un po' di gente ha disdetto, ma ora la situazione s'è stabilizzata" conferma Dandolo. Che traccia sul risiko della ristorazione mondiale le prossime mosse del gruppo: apertura di un locale a Hong Kong la prossima primavera, innanzi tutto, con successive inaugurazioni a Montecarlo e Miami: "Per concretizzarle faremo confluire il marchio in un nuovo fondo quotato alla Borsa di Malta" spiega l'amministratore delegato. Operazione, oltretutto, realizzata con un tocco di follia filologica: per garantire la conformità dei piatti all'idea originaria del maestro sarà appostata in cucina una telecamera collegata a un software. Ogni pietanza che il cervellone elettronico giudicherà non conforme all'archetipo farà suonare un cicalino nella tasca del maitre, che interverrà per impedire all'eresia di esser condotta al tavolo. Sempre sul fronte tecnologico, ci sarà il lancio di un'applicazione per avere un ologramma di Marchesi a casa, proiettato sugli sportelli della cucina e in grado di assistere passo per passo nella creazione di un menu. Poi, il riconoscimento ormai prossimo del copyright al riso oro e zafferano, primo caso nella storia della ristorazione. Quindi il contenzioso con Prada che in via Montenapoleone ha inaugurato una pasticceria con l'insegna Marchesi 1824: "Questa sovrapposizione crea confusione, dovranno per forza scendere a patti". E ancora, l'inaugurazione nel 2018 della Fondazione Marchesi a Villa Torelli Mylius con un investimento da 6 milioni coperto per metà dalla Regione Lombardia. Poi un documentario sulla sua vita prodotto dal californiano Jedd Riffe e infine, inatteso dopo tanti strali lanciati verso i telecuochi, un programma che partirà il 7 febbraio su Canale 5: Il pranzo della domenica.

Marchesi ascolta un po' annoiato, divorando una quantità considerevole di dolci: "Lo sa che non dovrebbe..." gli sussurra a ripetizione il genero. "Voglio morire in gloria" risponde lui.

Ad andare in tv l'hanno obbligata i parenti, lo ammetta.

Obbligato... Mi hanno detto di farlo, e lo faccio. Ma io non amo esibirmi, non sono come chi, non faccio nomi, è sempre in pista, con la smania di successo. Quando ero giovane non uscivo neppure dalla cucina, mi vergognavo.

Che cosa teme?

Che il programma finisca nel calderone di tutte le altre trasmissioni sulla cucina, anche se sarà il migliore.

Se potesse scegliere?

Continuerei a fare le mie cose, inventare nuovi piatti e curare il libro che pubblico il 19 marzo, giorno del mio compleanno, un progetto a cui lavoro da due anni: Opere, il sapore dell'estetica. E poi, ovviamente continuerei ad andare a donne.

Vuol dare una lezione di stile ai suoi ex allievi Cracco, Cannavacciuolo e Oldani, giusto?

Nessuna lezione..Ma di certo lo scenario è disastroso: il cuoco, oggi, è a caccia solo dello spettacolo.

Guardando Masterchef, però, qualcosa s'impara.

Ah sì? Beato lei. Posso dirla brutalmente? Si imparano le cagate. Non si cerca l'essenza, la qualità, la materia. Si fa tutto complicato quando invece l'arte è semplicità. Bisogna esaltare la materia, non se stessi.

S'inventi una "mistery box".

Cos'è?

Una scatola di legno con dentro una serie di ingredienti volutamente mal assortiti, che il concorrente deve trasformare in pietanza.

Guardi, è proprio questo che non sopporto: obbligare le persone a fare le creative a oltranza, e produrre vaccate. Io farei vincere quel concorrente che avesse le palle abbastanza grandi da dire signori, con questa roba, non si può far niente.

Il Cucine da incubo degli chef stellati, dove gira i ristoranti top e cazzia tutti quanti, lo farebbe?

Ma per carità. Mi è bastato vedere due volte Antonello Colonna con Alberghi da incubo: roba da cialtroni.

Ma le donne vanno pazze per i telechef.

Non capiscono niente. Io non li trovo per niente sexy. Senza contare poi che in queste trasmissioni c'è troppa volgarità. Trattare la gente così, per esempio: chi ha lavorato con me sa come ci si comporta signorilmente con una brigata di cucina.

Hanno imparato da Gavroche a Londra, a fare così, mica da lei.

Ah sì? Non lo sapevo. Albert Roux l'ho conosciuto bene tra l'altro: voleva che prendessimo assieme un ristorante a Parigi, il Ledoyen: "Poi io cucino per la sala, tu per il bistrot" mi disse. E io: "Semmai il contrario". E non se ne fece nulla. Stronzo di uno. Il nipote invece, Alain Roux, lavora con un maitre straordinario, Diego Masciaga, persona stupenda che per un certomperiodo ha lavorato con me a Erbusco.

Sul suo erede è sempre stato un po' ruffiano, prima un nome, poi un altro.

Ma no, c'è Paolo Lopriore, l'unico genio.

L'unico.

Eh beh. Poi ci sono quelli che hanno lavorato bene, Oldani, Cracco, Berton, Camerucci, tutta gente che fa cucina con passione e intelligenza, ma lui merita qualcosa in più. Quando lavoravamo assieme eravamo fusi, non si capiva più cosa fosse mio e cosa suo. Aprirà un locale a Como. Voglio andarci.

Lei è un genio?

Non so. Io ho fatto, e basta.

La stella Michelin adesso la rivorrebbe?

Gli stranieri si muovono con le guide, e la stella forse mi aiuterebbe a essere più conosciuto. Ma sono contento anche così, faccio la mia strada, sviluppo nuove idee, affino quello che ho dentro.

Anche la classifica San Pellegrino dei 50 ristoranti migliori del mondo funziona.

Bisogna vedere come vengono fatte, quelle classifiche. Basti pensare che Bottura è sempre tra i primi tre.

Secondo, dopo El Cellar de Can Roca.

Un amico che è appena stato all'Osteria Francescana mi ha fatto vedere una serie di piatti, e non ci ho capito niente. I miei cuochi ci sono andati, e a loro non è piaciuto.

Lei è fisionomista? In altre parole, se vede in faccia qualcuno, capisce se è un gourmet o no?

Difficile. La scienza è oggettiva, il palato no.

Putin secondo lei cosa mangia?

Una cucina positiva, tosta come lui, e non credo di sbagliarmi. È uno a cui piacciono le cose serie, senza tanti fronzoli.

Un ristorante senza fronzoli dove Putin mangerebbe benissimo?

L'Antica Osteria La Rampina dei fratelli Gagliardi a San Giuliano Milanese. Non chiedete robe strane, ma quello che fanno, lo fanno benissimo.

Il fatto che i pizzaioli siano tutti egiziani le dà fastidio?

No, sono contentissimo. La pizza migliore della mia vita l'ho mangiata al Kincho, dentro lo Sheraton di Como, dove tra l'altro fanno anche un grandissimo churrasco brasiliano. E il pizzaiolo, mi risulta, è proprio egiziano.

Renzi a tavola, invece?

Mah, non posso dire cosa penso davvero... Non mi sembra uno interessato alla cucina, diciamo così. Anche perché poi, col nome che ho, è venuto a Milano e non ha mangiato da me (con il capo di Apple, Tim Cook, ha pranzato da Cracco, ndr). Certi personaggi, come io ho reverenza verso alcuni maestri, dovrebbero dimostrare nei miei confronti maggior rispetto.

Alle prime della Scala la invitano?

Mai. Né Lissner e neppure Pereira, nonostante da sette anni il mio ristorante sia praticamente dentro il teatro.

Volontà o dimenticanza?

Ai loro occhi sono semplicemente un oste, e per questo non mi considerano. E invece l'arte della cucina, come mi disse Ermanno Olmi, è la più alta di tutte perché comprende anche la scienza.

Nella toilette del suo ristorante c'è un quadro emblematico del nostro periodo storico: un uomo che, osservando a sua volta un nudo femminile, si disinteressa al corpo della donna per concentrarsi sul cesto di cibo appoggiato al suo fianco. Siamo ridotti così?

La Bonne chère? Opera meravigliosa. Io, sia ben chiaro, vedo solo la ragazza nuda...

Chi la conosce bene infatti lo dice: ultimamente Marchesi parla più volentieri di gnocca che di gnocchi.

Vero, le donne mi piacciono ancora. Ma dico io, ce le siamo dimenticate? E poi: saranno pur contente se al posto di pensare solo a cucinare torniamo a occuparci anche un po' di loro!

Il suo terreno di conquista qual è, la balera?

No.

Dove seduce, quindi?

Così... .

Così come?

Eh, colgo l'occasione: se mi piacciono, faccio il filo e gliela tiro. Se non va, pazienza.

Di che età le piacciono?

Beh, non proprio giovani giovani eh. Quello che capita: quaranta, cinquanta.

Se l'aspettano l'avance, da lei?

Eh beh, certo, le stuzzico. Poi sono simpatico, carino, ci so fare.

Le porta al cinema?

Come al cinema? A letto!

Ok, ma prima, una cena? L'importante non è portarle a cena, mi creda.

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Raffaele Panizza