Il divorzio indiano e la perduta dignità del maschio dominante
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Il divorzio indiano e la perduta dignità del maschio dominante

Quando il "mal di testa" viene a lui a giudicare sarà il tribunale del buonsenso

La moglie voleva fare sesso. Il marito ha preteso il divorzio.

Siamo a Mumbai, in India. Secondo quanto riportato da The Times of India, fin dalle nozze, nell'aprile 2012, l’uomo ha dovuto fronteggiare “continue richieste di prestazioni sessuali” (?!?) da parte della moglie.

Così, dopo aver denunciato la cosa, il tribunale gli ha concesso il divorzio.

La donna è descritta come “aggressiva e dispotica”, dall’“insaziabile appetito sessuale”, talmente insaziabile che quando l’uomo si rifiutava di soddisfarla, veniva costretto con la forza e il raggiro: gli somministrava farmaci e alcolici e abusava di lui.

Pare che, anche quando fu ricoverato in ospedale per disturbi intestinali, tornato a casa bisognoso di assoluto riposo, la donna l’abbia costretto a ripetuti rapporti che hanno rischiato di compromettere la sua salute.

Sta bene, la legge è dalla sua.

E non c’è dubbio che, soprattutto non conoscendo l’aspetto della donna (neanche dell’uomo, se è per questo, di cui è celata l’identità, per il momento) possiamo figurarci l’arpia che lo insidiava come una bisbetica e disgustosa compagna con cui sarebbe insopportabile condividere la vita.

In ogni caso, a prescindere dall’avvenenza, è tutto fuorché raro, nonostante spesso ci si coccoli con l’idea opposta, che siano le mogli ad avere più voglia di intimità rispetto ai mariti.

Accade spesso che la quotidianità uccida più la libido maschile rispetto a quella femminile. E il classico “mal di testa” per evitare di fare sesso è un’arma sempre più utilizzata anche dagli uomini.

Che i rapporti fra i generi siano sempre più confusi e i ruoli si invertano su ogni piano è un fatto che può rattristare o entusiasmare a seconda della propria idea di mondo (per come la vedo io è l’Apocalisse).

Comunque, tra moglie e marito, mai mettere il dito.

Il fatto che questo tizio non abbia trovato un modo per far valere le sue ragioni all’interno delle mura domestiche, salvaguardando il suo matrimonio, mi trova abbastanza perplesso, ma è affar suo.

Però, ecco, su notizie del genere la gente mormora.

E se l’uomo (in ogni caso non un grand’uomo, visto che si è fatto definire “poveretto” dai giornali di mezzo mondo) può avere avuto tutte le ragioni del mondo per volersi separare dalla ninfomane, non riesco a trovarne nessuna per cui abbia ritenuto opportuno specificarne le ragioni in tribunale, quindi, viste le lunghe boccacce dei palazzacci, alla stampa.

Voglio sperare che, oltre a quello che l’ha favorito nella causa, esista un tribunale indiano del buonsenso, la cui sede si trovi di volta in volta al bar, al lavoro, alle cene in famiglia. E che questo derelitto, che ha avuto così poco a cuore la propria dignità e la propria virilità da sputtanarsi volontariamente, sia emarginato e canzonato da tutti.

Esiste un senso del pudore che dovrebbe spingerci a salvaguardare la nostra immagine.

Che chi ne è privo sia pure tutelato dalla legge, ma venga almeno sbeffeggiato dalla società.

A futura memoria.

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Marco Cubeddu

Nato a Genova nel 1987, vive a Roma, è caporedattore di Nuovi Argomenti e ha pubblicato i romanzi Con una bomba a mano sul cuore (Mondadori 2013) e Pornokiller (Mondadori 2015). Credits foto: Giulia Ferrando

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