L'abbuffata: ecco chi ha fatto (e fa) affari con il Covid
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L'abbuffata: ecco chi ha fatto (e fa) affari con il Covid

Mascherine, tamponi saturimetri e, appena arriveranno, i vaccini. La sconsiderata gestione della pandemia ha splalancato la porta a speculatori senza scrupoli. Che incassano milioni di euro sulla pelle di chi ha bisogno di strumenti efficaci e analisi per combattere il virus. In attesa dell'arrivo dei vaccini...

Li distribuiremo alle Asl, nelle scuole, nei porti, negli aeroporti. E anche ai medici di base!». Più tamponi per tutti. Anzi, chiù tamponi pe' tutti. Perché ormai, il tambureggiante scandire delle promesse di Domenico Arcuri assomiglia ai comizi del suo maramaldo corregionale: l'indimenticabile Cetto La Qualunque. A fine ottobre 2020, dopo mesi di dormiveglia generale, il supercommissario all'emergenza annuncia dunque che il numero dei test forniti al sistema sanitario nazionale verrà raddoppiato. Basterà aspettare ancora un paio due mesi: del resto, cosa volete che siano in tempi di pandemia? Nell'attesa che l'impetuoso agire dispieghi i suoi effetti, un incalcolabile numero di italiani è costretto a organizzarsi da solo: pagando di tasca propria quello che dovrebbe avere gratuitamente.

Per carità. Da sempre, ogni urgenza cela un business. Figurarsi nel caso di questa, epocale, pandemia. Tamponi, mascherine, saturimetri, vaccini. L'indispensabile, volente o nolente, diventa un affare per molti. Tanto da aver scatenato anche gli appetiti criminali di malavitosi e furbastri. Degenerazioni a parte, il virus ha inevitabilmente sviluppato una fiorente economia. A maggior ragione, visti i balbettii statali. Per salvare la pelle non si bada a spese. A cominciare dai tamponi. Certo: c'è chi si rivolge ai laboratori privati perché vuole essere certo di non essere positivo. Ma la maggior parte lo fa invece per necessità, visti ritardi del pubblico. Come a Milano, per esempio. L'attesa per i test a pazienti sospetti può arrivare a una settimana. Senza considerare che l'azienda sanitaria meneghina non fa più esami ai contatti stretti.

Così non restano che i privati, appunto. Dove un tampone oscilla tra i 75 i 125 euro. Perfino le tariffe degli ospedali non sono di conforto: senza impegnativa, si sborsano almeno 70 euro. Insomma, se una famiglia ha la malaugurata impellenza, deve tirar fuori anche 500 euro. La spesa, ovviamente, lievita nel caso di visite a domicilio. Al San Raffaele il primo consulto, video o telefonico, costa 90 euro. Poi, se è necessario approfondire, si può acquistare il pacchetto «diagnostica domiciliare»: prelievo del sangue, radiografia toracica, misurazione della saturazione, referto. Conto finale: 450 euro. L'istituto replica: «Il servizio di telemedicina è stato implementato ben prima dell'emergenza sanitaria per il Covid-19 e nasce con l'obiettivo di portare l'ospedale a casa dei pazienti».

Del resto a Firenze, in caso di urgenza, la tariffa per un tampone può arrivare a 152 euro. E non sono poche le strutture che, nelle ultime settimane, hanno ritoccato all'insù il costo del test: «Colpa dei reagenti, sempre più cari» fanno sapere all'unisono i direttori sanitari. Ah, maledetti reagenti. Pure l'infaticabile Arcuri li ha cercati per mesi in ogni angolo del globo… E anche altrove, dal Lazio alla Campania, è facile sfiorare il centinaio di euro, nonostante le regioni abbiano imposto quasi ovunque tariffe calmierate alle strutture in convenzione. A Varese, la provincia più martoriata nella seconda ondata, è dovuta intervenuta perfino la Camera di commercio: per cercare di evitare speculazioni, ora vige un dettagliato listino.

Il solito Arcuri ha fatto di meglio. Lo scorso maggio, impone dunque un prezzo massimo di 50 centesimi per le mascherine chirurgiche. Tralasciando, per carità di patria, gli avvilenti ritardi con vengono rifornite all'inizio le farmacie, allora la scelta del commissario sembra quasi donchisciottesca. A distanza di mesi, e riletta sotto la solita lente della mancata lungimiranza, l'imposizione s'è trasformata in un favore a distributori e farmacie. Tanto che, come dimostrano recenti inchieste giudiziarie, centinaia di aziende si sono riconvertite a un business semplice e redditizio. L'offerta, rispetto a qualche mese fa, è decuplicata. E quel costo calmierato, imposto dal supercommissario a dispetto dei «liberisti da divano», può garantire adesso enormi guadagni.

Lo stesso vale per le richiestissime Fpp2. Un mese fa, per esempio, tutte le farmacie di Torino hanno deciso di aumentare i prezzi: da 3,50 a 4,50 euro. Colpa degli esosi distributori, si difendono gli interessati. E, magari, dei soliti furbastri. Così la Procura di Milano indaga sul sospetto viavai dalla Svizzera di mascherine chirurgiche, con un rincaro all'ingrosso del 300 per cento: ottenuto, accusa il pm Paolo Filippini, grazie al «cosiddetto giro del piazzale». Una presunta esportazione fittizia: perché i dispositivi, in realtà, sarebbero rimasti sempre in Italia. Curiosa anche l'evoluzione commerciale dei salvifici saturimetri, apparecchietti digitali che misurano l'ossigenazione del sangue. Prima della pandemia, si trovavano in farmacia a meno di 30 euro. Ora veleggiano sui 50. Unica soluzione per risparmiare è l'acquisto su Amazon, metodo spesso rifuggito dagli anziani, più bisognosi ma meno tecnologici. Durante l'ultimo il Black friday, gli strumentini salvavita venivano offerti anche con sostanziosi sconti. Preziose armi per combattere il virus diventate occasioni da non perdere.

L'Autorità nazionale anticorruzione, intanto, continua a investigare: com'è stata usata la spesa pubblica per fronteggiare la pandemia? Riempiendo in molti casi le tasche di fornitori «inaffidabili», «senza requisiti» e «inadempienti», conclude l'Anac. Grazie soprattutto alla «variabilità elevata dei prezzi». Un eufemismo. Solo tra marzo e aprile scorsi, le aziende sanitarie hanno usato circa 5,8 miliardi di euro: nel 93 per cento dei casi, con affidamenti diretti e procedure negoziate. Insomma, senza bandi né gare. Da fregarsi le mani. La stessa mascherina chirurgica pagata da 0,4 centesimi a 1,82 euro. Il prezzo di un identico ventilatore polmonare fluttua tra i 6.950 e i 38.200 euro. L'identico copricalzare che va via a 0,03 centesimi, così come a 1,28 euro: quaranta volte di più. E poi visiere, mascherine, camici… Da una regione all'altra ci sono aumenti iperbolici. Con l'inarrivabile picco raggiunto da certi, sofficissimi, guanti: 4.250 per cento.

«Vergognose speculazioni» le definisce Arcuri. E ha ragione da vendere. Al boiardo più amato dal premier, Giuseppe Conte, resta però da chiarire la bizzarra vicenda della fornitura di chirurgiche rivelata dalla Verità. Un'affare gestito dalla sua struttura commissariale che, in pochi giorni, avrebbe fatto guadagnare ben 72 milioncini a due intermediari: un ex giornalista e un esperto di difesa militare. Con l'atroce dubbio che aleggia sull'operazione: perché lo Stato ha comprato 10 milioni di mascherine a 55 centesimi l'una se, poco dopo, ha imposto la vendita delle medesime a 50 centesimi?

Nell'attesa di chiarimenti, sul web cominciano a circolare pericolosi vaccini tarocchi contro il Covid. Lo rivela Marcello Minenna, direttore generale dell'Agenzia delle dogane: «I nostri sistemi di intelligence ne hanno intercettato la potenziale distribuzione sul territorio nazionale» assicura l'ex assessore al Bilancio nella giunta Raggi. «Sono vaccini che si vendono online e vengono trasportati in maniera non opportuna».

Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha tirato fuori un'altra ipotesi: la 'ndragheta potrebbe mettere le mani sui preparati che ci salveranno dal virus. Uguale rischio, lo scorso giugno, paventava il capo della polizia, Franco Gabrielli: per «vaccini, cliniche e dispositivi di protezione». Il rischio è alto, soprattutto in Lombardia. Alessandra Cerreti, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Milano, spiega: «Abbiamo avvisaglie che la criminalità organizzata stia puntando al mercato delle mascherine e dei tamponi. Ovvero, il business più lucroso che ci sia ora». E pure Maurizio Vallone, capo della Direzione investigativa antimafia, nell'ultima audizione in Parlamento, segnala «la propensione a espandersi oltre i propri territori e in settori economici meno consueti: in questa particolare contingenza, c'è il settore sanitario».

Pesci grossi. E una miriade di pesci piccoli. Anche le cronache giudiziarie, ormai da mesi, disegnano il desolante spaccato: impresari e faccendieri che sgomitano e millantano, pur di vendere al miglior offerente e approvvigionare maldestre aziende sanitarie. A perfetta riprova di come il virus sia diventato un disastro per tutti. E un affare per pochi.

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Antonio Rossitto