Così le pistole stampate in 3D sono diventate armi vere e pericolose
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Tecnologia

Così le pistole stampate in 3D sono diventate armi vere e pericolose

Un anno dopo il primo modello si moltiplicano in rete le alternative evolute da realizzare in casa a basso costo

Il prima è poco oltre un anno fa, il 6 maggio del 2013, quando sul web compare il nome, e non solo, di «Liberator». È una pistola che non si compra con regolare licenza, in qualche vicolo buio o entrando nel vortice di un giro losco: si scarica un file da internet e poi la si crea, la si realizza direttamente a casa, in ufficio, in garage. Basta avere una stampante 3D. La forma è abbozzata, quasi buffa, fa sorridere. L’utilizzo limitato in partenza: rispetto ai modelli tradizionali, può sparare un colpo soltanto e poi va ricaricata, ma per il resto è un’arma a tutti gli effetti. Che può accanirsi contro un bersaglio inanimato, bucarlo o farlo saltare come un birillo, ma anche spaventare un intruso. E certo, nei casi più estremi, ferire oppure uccidere.

Il dopo sono le reazioni che esplodono non appena la notizia si diffonde: paura, confusione, diffidenza, critiche alla tecnologia, tentativi di levare di mezzo il file, scaricato centomila volte in due giorni. Un boom. Missione impossibile, come i muscoli della pirateria insegnano. Chiudi un sito che regala musica e film incastrati tra mille banner pubblicitari, ne riaprono altri due. Rimuovi un file, e quello ricompare dietro un cespuglio di bit nel sottobosco del web. Stessa sorte per Liberator, che nel frattempo si è diffusa, ha prosperato. Soprattutto, si è evoluta.

Ieri era la dimostrazione che con le stampanti 3D si può stampare di tutto, veramente di tutto. Oggi, un anno dopo, è l’antesignana, la capostipite di una schiera di armi automatiche e semi-automatiche che sparano più colpi e si possono realizzare con qualche limitatissima competenza tecnica e parecchio senso di impunità. Perché la legislazione non è chiara, è confusa, soprattutto negli Stati Uniti, dove fa a botte con il secondo emendamento (che protegge il diritto a possedere armi) e dove il fenomeno comincia a irrobustirsi. Perché non è facile, oltre che faticoso, pensare di punire chi si limita a scaricare un file, magari solo per curiosità. Serve la flagranza di reato, come in Giappone, dove un ventisettenne, tal Yoshimoto Imura, è stato arrestato. Come? È stato così furbo, o solo così provocatore, da creare cinque pistole ed esibirle su YouTube. Un’autodenuncia in piena regola. Salvo poi smarcarsi dalle accuse, dichiararsi innocente, far notare di non avere nemmeno un proiettile in casa.

Magari lui no, ma basta fare un giro sul portale dei video per eccellenza per imbattersi in decine di filmati in cui gente comune, spesso a volto scoperto, altre camuffandosi o senza inquadrarsi direttamente, dimostra l’efficacia di queste pistole stampate in 3D e 2.0, di nuova generazione. Che dalle loro bocche fumanti fanno partire sei proiettili calibro 38 o tre colpi calibro 22. Di seguito. A costi contenuti. Un po’ di tempo fa le macchine per realizzarle superavano i tremila euro, oggi sono sotto i mille. E il materiale ha prezzi irrisori: la Liberator, per esempio, richiede appena 18 dollari di plastica.

C’è un sito in particolare, Fosscad.org che ospita diversi modelli, inclusi fucili e mitraglie, pronti per essere stampati e testati. Dall’aspetto tutt’altro che innocuo, come quello nell’immagine di apertura. O come la «Pentagun», pistola a cinque bocche che potete vedere in azione nel video qui sotto. Ricorda quelle del vecchio West, ma non è un film. Per realizzarla basta cercarla su Defcad , il motore di ricerca dei modelli, il Google dei file delle stampanti 3D. Più di 800 persone lo hanno prelevato sul loro computer. Volendo, potreste farlo anche voi. Il sito declina ogni responsabilità, tutto è per scopi meramente educativi, la solfa è quella, pesantemente assolutoria, sentita mille volte per le violazioni del diritto d’autore: noi mettiamo il film a disposizione, ma ricordati che se non hai la copia originale è illegale. Arrangiati, fatti tuoi. Qui, traslando il ragionamento, servirebbe un porto d’armi.

Il punto cruciale è che a creare questa versione ecumenica delle armi, questo inno a una pistola all’occorrenza in ogni casa, non sono terroristi o criminali incalliti. Loro probabilmente guardano il fenomeno con sospetto e qualche preoccupazione, visto che può ingoiare quote dei loro affari illeciti. Dietro ci sono ingegneri, appassionati, di sicuro qualche fanatico. «Prima di Liberator» ha spiegato uno di loro all’edizione americana della rivista Wired «se avessi chiesto a qualcuno se le pistole di plastica fossero possibili, probabilmente ti avrebbe riso in faccia». Sulle sue motivazioni, sul motivo perché ha trasformato la sua stampante 3D in un conio di armi, ha invece risposto mescolando echi di filosofia open source con la confessione di una passione pericolosa: «Per prima cosa, mi piacciono le pistole. E poi, penso che dovresti essere in grado di stampare con la tua stampante 3D tutto ciò che vuoi».

Superfluo dire che alla fine qualcuno potrebbe finire per farsi male. La colpa non può essere della tecnologia, né dello strumento in sé, resta di chi lo impugna. Come per qualsiasi arma forgiata in modo tradizionale. Comunque è troppo tardi per congetture e teorie, il fenomeno non si arresta anzi avanza. Liberator continua a far figli. Basta premere stampa e la pistola è già pronta.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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