Perché questa Russia sbaglia

Si è molto parlato, nelle ultime settimane, del valore giuridico dell’annessione della Crimea alla Russia. In realtà è difficile dare un giudizio certo sulla questione: se è indubbio che il distacco della Crimea dall’Ucraina, reso possibile in grazia dell’avventura militare …Leggi tutto

Si è molto parlato, nelle ultime settimane, del valore giuridico dell’annessione della Crimea alla Russia. In realtà è difficile dare un giudizio certo sulla questione: se è indubbio che il distacco della Crimea dall’Ucraina, reso possibile in grazia dell’avventura militare russa, rappresenta una flagrante violazione del diritto internazionale, è altrettanto certo che quest’ultimo tuteli anche l’autodeterminazione dei popoli. Soprattutto, la circostanza che in Ucraina sia al potere in questo momento – anche lì in assenza di passaggi democratici e dunque senza alcuna rappresentanza del paese – una giunta golpista infarcita di elementi inquietanti (dagli oligarchi ai neonazisti) inficia qualsiasi richiamo da parte di Kiev a una legalità che quello stesso governo non rispetta per primo.

Credo tuttavia che il punto di tutta la faccenda ucraina debba essere ricercato altrove e non sia dunque giuridico, bensì politico. E politicamente la Russia ha sbagliato. Non c’è dubbio che quella di Mosca sia stata una reazione: nei giorni della rivolta di Majdan, il governo di Putin (già dipinto come il burattinaio del corrotto Janukovyč) aveva mostrato notevole pragmatismo e una punta di cinismo, rivelandosi pronto a scaricare il presunto alleato e a derogare su qualche principio di legittimità in cambio di un compromesso accettabile sia ai russi che alla UE; ed è stata la rottura di quell’accordo, e il riconoscimento da parte occidentale – con il deciso ingresso in campo degli Stati Uniti – di un esecutivo violentemente fazioso e provocatorio verso Mosca e verso una buona metà dell’Ucraina, a causare la mossa russa e l’annessione della Crimea.

Ma è stata comunque una reazione sbagliata. Si è trattato di un riflesso imperialista (o forse imperiale), dunque sbagliato e detestabile in sé, perché sbagliati e detestabili sono tutti gli imperialismi; e in più controproducente, perché quello russo attuale è un imperialismo minore e votato, se non proprio alla sconfitta, alla marginalità.

Si è scritto più volte di una nuova Guerra Fredda; più probabilmente, invece, stiamo assistendo al costituirsi di un secondo cordone sanitario, ossia di quel tentativo da parte europea, dopo la prima guerra mondiale e l’affermarsi del potere bolscevico, di chiudere e isolare l’Unione Sovietica dietro una cerniera di stati ostili. L’allargamento della Nato a Est, contro gli accordi raggiunti venticinque anni fa e con tanto di smargiassate quali il posizionamento di missili in Polonia e in Cechia, pare indicare questo copione, motivato non più da preoccupazioni ideologiche ma volto a cristallizzare il declino russo seguito agli spaventosi anni jeltsiniani. E d’altra parte ogni reazione violenta o orgogliosa da parte russa non può che spaventare i piccoli stati esteuropei e spingerli a stringere ancora di più il cordone; come in certe raffinate torture, dove ogni movimento del condannato ne acuisce i supplizi e ne aggrava le sofferenze.

Di sicuro sono in gioco nella faccenda ucraina interessi vitali della Russia, che non può dunque rassegnarsi all’inazione; ma non può neanche agire in modo troppo “russo”, cioè contando sulla forza e sull’autoritarismo o sfruttando cinicamente la posizione di forza all’Onu o nell’approvvigionamento energetico dell’Europa, perché qualsiasi movimento in tale senso viene presentato – legittimamente o meno non fa differenza – come una forzatura e un tentativo di porre il mondo davanti al fatto compiuto.

D’altra parte io non credo alla predestinazione, in nessun senso, né troppo ai condizionamenti storici e ambientali: se è evidente che la Russia attuale e il suo presidente Vladimir Putin sono influenzati, nella propria ideologia e nel modus operandi, dal passato zarista e sovietico e dalla loro provenienza dai cosiddetti “ministeri della forza”, pure sono liberi e hanno sufficiente acume per capire che sul lungo periodo le prospettive migliori della Russia (le sue uniche) non risiedono nella rinascita imperiale o in qualche follia eurasista: bensì, mi pare, nella presa di coscienza che la Russia è essenzialmente uno stato europeo e con l’Europa deve collaborare e integrarsi, pena la sua progressiva e definitiva perdita di importanza. Una Russia che non indulge all’arbitrio verso i vicini più deboli e non desidera lo smembramento dell’Ucraina è una Russia tanto più credibile e onesta se poi rifiuta di riconoscere il diktat golpista e l’opacissima evoluzione del potere a Kiev; una Russia che non ricorre all’esercizio o alla minaccia delle armi è una Russia tanto più legittimata a protestare contro le provocazioni della Nato e i tentativi di polarizzare ancora un continente che dovrebbe essere pacificato e in via di unificazione.

Un esercizio di Realpolitik porta a comprendere, se non a giustificare ampiamente, le mosse di Putin nella vicenda ucraina; ma la Realpolitik ha il difetto di limitarsi appunto al reale e all’esistente. Questa volta dovremmo chiedere alla Russia, proprio per stima e fiducia nei confronti del ruolo storico e strategico di Mosca, un atto di coraggio: la rinuncia alle prerogative imperiali, alla ritorsione, alla logica delle sfere di influenza. Dovremmo chiedere alla Russia di cambiare per prima, per rendere possibile ciò che ora è soltanto l’utopia di un continente in pace e di un mondo meno spartito fra piccole e grandi egemonie.
Al momento, probabilmente, atti del genere da parte del governo russo verrebbero visti in patria come segnali di debolezza; eppure quella della riconciliazione con l’Europa è l’unica strada percorribile nel prossimo futuro. E non solo per la Russia.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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