Giovanni Pirovano (Mediolanum): ecco perché la banca tradizionale è in crisi

Il vicepresidente del gruppo fondato da Ennio Doris spiega i motivi della crisi dei 30mila sportelli italiani - FOTO

“I tassi d’interesse sono oggi negativi in molti Paesi del mondo, tutti quelli a economia avanzata. Oggi un governo autorevole di un Paese forte come la Svizzera emette titoli a 30 anni che chiedono a chi li acquista di essere lui a pagare gli interessi allo Stato, un premio in cambio della certezza di aver affidato in buone mani i propri soldi, e quindi di ritrovarli. E anche in Italia, per esempio sui Buoni Postali, per i primi anni si guadagna lo 0,01%. Sugli investimenti finanziari si paga poi, ogni anno, la cosiddetta tassa patrimonialina, che incide per lo 0,20% e che rischia di penalizzare gli investimenti considerati sicuri e che offrono un rendimento molto basso, come i titoli di Stato”. Giovanni Pirovano parla ad una platea di cittadini e di clienti di Banca Mediolanum nel Salone d’onore del Palazzo della Provincia a Salerno, e non si sente volare una mosca. Il vicepresidente di Banca Mediolanum che nel ’97 il fondatore Ennio Doris volle al suo fianco per strutturare l’azienda bancaria vera e propria – proveniva da una banca tradizionale come la Popolare di Novara – è anche membro del Comitato Esecutivo e di Presidenza dell’Abi e parla di due temi strettamente connessi, che riguardano direttamente le nostre tasche e i nostri interessi: come andrà a finire la crisi delle banche in atto; come faremo, intanto, a non perdere i nostri risparmi e a farli fruttare.

Il futuro delle banche

“La responsabile della vigilanza europea sulle banche, la signora Daniele Nouy, ha detto chiaramente che in futuro sopravvivranno solo le banche che guadagneranno, e Banca Mediolanum ha sempre macinato utili, accantonandone circa la metà per rafforzare il proprio patrimonio arrivando così ad un CET 1 al 30 giugno 2016 pari a 20,2%”, ricorda Pirovano. Che cita anche Renzi, quando a Cernobbio nei giorni scorsi” ha pronosticato che la metà degli attuali dipendenti delle banche italiane è di troppo” e che il posto fisso in banca non rappresenta più una certezza. Troppe filiali bancarie, troppa nuova concorrenza e all’orizzonte le nuove società fintech – per esempio PayPal che in Italia milioni di clienti utilizzano per gli acquisti on line. E troppe banche tradizionali, una vicina all’altra, che fanno le stesse cose: "abbiamo circa 30 mila sportelli in Italia, in linea con la media tedesca e spagnola, ma non con quella inglese. Se avessimo la stessa densità che c’è in Gran Bretagna dovremmo avere 10 mila sportelli. I numeri ci dicono che gli accessi fisici in filiale si fanno sempre più rari e ormai oltre il 55% dei correntisti   utilizza il web per accedere alla propria banca".

"Le banche come le abbiamo finora conosciute non esistono più", continua Pirovano: "Sono oppresse da tre clamorose discontinuità: da una parte la rivoluzione tecnologica, che appunto rende in parte superflue le loro costose strutture fisiche e i relativi dipendenti; dall’altra la stasi dei tassi d’interesse, che li priva di una storica fonte di utili; e ancora la stretta regolatoria che impone loro di accantonare moltissimi denaro a fronte di quello che prestano, rendendo il prestare oneroso e quindi poco o nulla remunerativo. Il tutto, mentre in molti Paesi del mondo la crescita economica è minima.

Le sofferenze bancarie

“L’Italia dal 2006 a oggi ha perso il 25% della sua capacità produttiva e mentre il Pil americano cresceva da 100 a 114 il nostro calava da 100 a 94”, spiega Pirovano: “Chiaro che le sofferenze bancarie siano esplose: molte aziende non sono riuscite a rimborsare i loro debiti. E questo ha messo in crisi molte banche e anche i loro azionisti e obbligazionisti subordinati, secondo le regole europee.

Nel 2008 i crediti in sofferenza lordi erano di 41 miliardi, oggi 198. Quelli netti, cioè non coperti da garanzie reali, erano 22 e sono 84. E anche incassare il valore di queste garanzie è lungo e complesso a causa delle nostre leggi e della nostra burocrazia, a cui il governo Renzi sta cercando di porre rimedio.

In questi anni di crisi, dice infine il vicepresidente di Banca Mediolanum, mentre tutti gli Stati europei hanno rifinanziato le loro banche con soldi pubblici –la Germania con ben 247 miliardi di euro – l’Italia l’ha fatto con appena 4,1 miliardi. Non ha potuto o voluto chiedere di più essendo già in difetto sul fronte del debito pubblico. E il sistema bancario italiano nel suo insieme si è autoricapitalizzato con risorse di mercato per 55 miliardi: che evidentemente non bastano.

L'ansia delle famiglie

In questo quadro allarmante, le famiglie italiane sono floride ma ansiose. Sono piene di risparmio privato: ben 4.117 miliardi, più 7.000 miliardi di immobili, 11 miliardi di ricchezza privata, 137 mila euro a famiglia, contro i 120 mila dei tedeschi. Ma dove possiamo mettere questi soldi per continuare a proteggerli e, se possibile, farli prestare?

Non certo mettendoli in una banca qualsiasi: dobbiamo capire che glieli stiamo prestando, non credere più che glieli stiamo affidando affinchè li custodiscano. Con quei soldi a loro volta le banche fanno prestiti, e quindi li potrebbero mettere a rischio, se impiegati male. In questo quadro, Banca Mediolanum gode della lungimiranza con cui è stata creata. Pochi costi fissi, perché non ha mai avuto filiali bancarie, e i suoi 500 uffici in giro per l’Italia non sono complessi e costosi come le filiali; il numero giusto di collaboratori, rispetto al milione e duecentomila clienti; 71 miliardi di raccolta contro 30 miliardi di impieghi, e un tasso di sofferenze dello 0,76%. Quindi l’indice patrimoniale di solidità tra i più alti in Italia e l’indice di liquidità – cioè la capacità di rimborsare in tempi brevi i clienti che chiedono indietro i loro soldi - e già oggi più del quadruplo del valore che sarà obbligatorio nel 2019.

Il modello Mediolanum

Il suo lavoro essenziale consiste nell’investire bene i soldi dei clienti. Lo fanno i Family Banker, affiancando come consulenti i risparmiatori e liberandoli, nelle loro scelte, dell’emotività che gliele fa sbagliare. “Puntiamo su uno strumento essenziale”, spiega Pirovano, “che nel lungo termine rende sempre, cioè i fondi comuni d’investimento con cui investiamo in tutti i settori e in tutti i mercati del mondo, con la massima diversificazione, e quando i mercati scendono, investiamo, cioè facciamo il contrario di quel che fa la gente comune, che quando la Borsa scende, vende. Ad agosto, ad esempio, abbiamo ottenuto risultati strepitosi perché abbiamo lanciato Intelligent Investment Strategy, una formula che permette di dosare automaticamente i propri investimenti sia quando i mercati scendono, per coglierne le opportunità, sia quando salgono, per consolidare i guadagni. Ma sono sistemi complessi, che il semplice risparmiatore difficilmente riesce a comprendere fino in fondo e usare al meglio: di qui l’esigenza di essere affiancato dal consulente. E quando l’alchimia riesce, anche in tempi di crisi la tutela del risparmio e il suo incremento non sono risultati impossibili".

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Sergio Luciano