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Brunello Cucinelli: «Il capitalismo umanistico renderà grande l’Italia»

Brunello Cucinelli: «Il capitalismo umanistico   renderà grande l’Italia»

L’imprenditore che va verso il miliardo di fatturato vestendo di cachemire «il mondo che conta», oggi si allea con Chanel, produce vino «per celebrare Madre terra» e sogna un nuova era che valorizzi lavoro manuale e sapienza artigiana.


Nel suo famedio il personaggio non c’è, eppure gli si attaglia. Si tratta di San Bernardino da Siena, il predicatore del giusto profitto. Con Marsilio Ficino – il suo nume tutelare che spiega all’uomo «faber» come senza anima non ci sia né bellezza né qualità – farebbero una coppia formidabile a Solomeo: nel piccolo paese umbro che Brunello Cucinelli ha portato a nuova, smagliante vita popolandolo di busti di filosofi, ornandolo di citazioni filosofiche, di aspirazioni al nuovo Rinascimento per guadagnarsi imperitura memoria. Intorno al «borgo del cachemire e dell’armonia» c’è una campagna «ricostruita». Ha comprato migliaia di metri cubi di capannoni, li ha rasi al suolo, ha bonificato la valle andando controsenso nella via Gluck di Adriano Celentano; là dove c’era il ferro ora ci sono ulivi, grano e la vigna che si fa vino da vendere per alimentare l’ultima utopia: costruire la biblioteca universale a imitazione degli ellenistici Tolomei,
a gloria di Alessandro Magno. Tutto legato
da un filo di cachemire. Camminiamo, chiacchierando, tra le sue vigne da cui Riccardo Cotarella ricava un incrocio bordolese arricchito dall’identità del Sangiovese mentre le agenzie economiche pronosticano: Brunello Cucinelli verso il miliardo di fatturato. Il fu ragazzo di Corciano, periferia di Perugia, tre anni d’ingegneria svogliatamente condotti, orgogliosamente figlio di contadini che ha frequentato – dice lui gigioneggiando un po’ – l’università del bar, ha 69 anni e una vitalità da Generazione Y, veste il mondo che conta facendosi pagare assai. «Il miliardo? Se arriva è buono perché vuole dire che il progetto funziona: se fai un giusto profitto puoi fare tanto altro di buono».

Cominciamo con la storia del capitalista che guadagna e si pente?

Ma non mi pento affatto, ragiono però sulla necessità ineludibile, soprattutto in Italia, di costruire una visione nuova del capitalismo: serve un umanesimo economico. Bisogna tornare al profitto facendo a regola d’arte ciò che sappiamo. E bisogna preoccuparsi di non disperdere il sapere che è nelle mani di chi lavora.

Dunque fa bene il Governo a puntare sul liceo del Made in Italy?

Fa bene a porre la massima attenzione al made in Italy e alle competenze anche artigiane che lo rendono possibile. Però a me non piace che lo chiamino «liceo». È come se ci si vergognasse del lavoro manuale e questo fa sì che oggi un genitore fa fatica a pensare che suo figlio possa fare l’operaio. O possa andare a raccogliere le olive. Dobbiamo affermare il ruolo indispensabile di chi fa e bisogna pagarlo.

Salario minimo?

Finisce per essere una disputa sugli slogan: conta la sostanza e l’idealità che ti muove. Bisogna – e questo è il capitalismo umanistico – rendersi conto che destinare un 2-3 per cento dell’utile di un’azienda per remunerare meglio chi lavora è un enorme vantaggio per l’azienda, per la società. E poi va ricostruita la dignità del lavoro.

Però lei, comprata la Cariaggi, la prima filatura di cachemire d’Europa con la qualità migliore del mondo, l’ha subito girata per metà a Chanel. Non è un’operazione da capitalismo finanziarizzato?

Sta scherzando? Con Cariaggi ho una storia di quasi mezzo secolo. Tutto è cominciato nel 1979. L’anno prima avevo prodotto una collezione di maglioni ipercolorati che vendevo a buon prezzo, e tutti dicevano che erano normali nonostante la tintura, i colori, il filato fossero di prima qualità e innovativi. L’anno dopo ho aumentato il prezzo del 30 per cento e li hanno trovati eccezionali. Così ero rimasto senza filo e sono andato a Cagli col furgone dove avevo anche il mio fucile da caccia, scarico s’intende. Ma dissi ad Aurelio, il fondatore, o mi dài il filato o ti sparo! Da quel momento sono 44 anni che compro filati da Cariaggi. Poi l’anno scorso è capitata l’occasione di rilevare metà delle azioni e l’abbiamo colta. A Chanel abbiamo ceduto il 24,5 per cento. Cariaggi è leader nel cachemire e l’arrivo di Chanel che condivide i nostri valori è un rafforzamento di questa leadership. Non c’è nulla di finanziario, c’è molto di creativo e d’industriale.

L’arrivo di Chanel proietta tutto in una dimensione più alta, anche la Cucinelli?

Non facciamo confusione, Brunello Cucinelli ha i suoi orizzonti e non c’è nessuno scambio tra noi e Chanel. C’è invece, il vero valore aggiunto, un dialogo sulla qualità della materia prima.

Ce n’era bisogno?

Sul cachemire la domanda è in forte crescita. È vero che ora i pastori possono allevare fino a 500 capre ciascuno, ma lavorano a quattromila metri di altitudine e faticano a trovare chi continua quella pastorizia. Bisogna pagare di più; la collaborazione con Chanel serve a immettere valori là dove c’era solo sfruttamento.

Lei lo dice anche dei «fasonisti», coè le aziende di confezioni…

Il ricambio generazionale riguarda tutti. Il sistema moda si regge anche sul lavoro delle aziende che collaborano con noi, ma alle nuove generazioni devi dare il senso di appartenenza, l’amore per l’impresa. Bisogna pagare il giusto. Il capitalismo umanistico, lo dissi al G20 di due anni fa quando mi fecero l’immenso onore di farmi parlare, è non voltare le spalle alla povertà, significa essere sostenibili. Volevo un’impresa che facesse sani profitti, ma con etica, dignità e morale. Volevo che le persone lavorassero in luoghi più belli, guadagnassero qualcosa in più come salario e si sentissero al lavoro come anime pensanti. Dopo la pandemia abbiamo bisogno di maggiore umanità.

Lei usa la finanza e però non la ama?

La finanza e la manifattura sono due mestieri diversi. Io faccio manifattura.

Teme una possibile nuova crisi? Pensa che l’Italia ce la farà?

Le crisi ti fanno crescere: non vanno temute, bensì anticipate e studiate per ricavarne esperienza. Quanto all’Italia non è mai stata in un momento così favorevole. Noi siamo i leader nella manifattura di qualità: nell’acciaio come nel filato. Noi abbiamo mani che creano bellezza e qualità. Nessuno al mondo lo fa come noi. Ma ci dobbiamo credere.

Si è messo a fare vino e l’Irlanda lo punisce, eppure è un simbolo del made in Italy…

Produco vino in onore della Madre terra e delle mie radici. La mia cantina, costruita con 178 mila mattoni e con le volte che ricordano Santa Sofia di Istanbul, celebra tutto il vino italiano. Quando Dioniso e Apollo dialogavano sul destino dell’uomo, in Irlanda c’erano solo pietre. Difendere e diffondere i nostri valori significa diffondere conoscenza. Il vino è conoscenza, la manifattura è conoscenza.

L’intelligenza artificiale non finirà per distruggere la creatività?

Io sono comunque affascinato dall’intelligenza artificiale e credo che ci sia del buono. Tuttavia sono pure convinto che abbiano ragione i miei amici monaci buddisti; tre cose non si possono nascondere: il Sole, la Luna e la verità. Io credo che sarà la verità a vincere. I libri veri, i giornalisti veri, l’arte vera, la capacità vera di fare saranno sempre superiori all’intelligenza artificiale e acquisteranno ancora più valore. Perché ci sarà sempre un uomo che guardando le stelle verserà una lacrima di emozione. n

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