Maltempo: neve in Veneto, imbiancata anche Venezia
ANA /Andrea Merola
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Venezia affonda e il sindaco Cacciari è messo sotto accusa

Le case troppo care, il turismo in calo del 30 per cento, le vendite in contrazione. La città patrimonio dell'Unesco paga l'immobilismo decisionale di questi ultimi anni

Tutte le sere alle 5, prima di prepararsi a chiudere la loro bottega, Rosa e Rita, le sorelle paralumaie, fanno la stessa sofferta telefonata: chiamano il Centro maree per sapere se quella notte il loro cestino pieno di mollette di legno potrà rimanere sul pavimento o dovrà essere messo al sicuro sulla mensola in alto. "Dobbiamo tenerci tutto stretto, anche gli attrezzi del mestiere, che qui da noi costano di più" spiegano in veneziano le due artigiane.

"Con l'ultima acqua alta di dicembre, per la prima volta in 48 anni, abbiamo avuto paura: i tempi, a Venezia, sono cambiati e noi dobbiamo riuscire a pagare l'affitto". Nello sguardo quasi infantile delle signorine Greco si legge un po' della malinconia che si respira nella città bagnata e segnata dall'ultima acqua alta del 1k dicembre.

Per più di una ragione, la Serenissima sembra essere in crisi. E non è solo questione di centimetri. Esasperati dall'ultima inondazione e dalle polemiche intorno all'incerto risarcimento dei danni (calcolati intorno ai 10 milioni di euro), i veneziani chiedono attenzione, risvegliandosi forse da quel torpore di cui, già negli anni Sessanta, Indro Montanelli li accusò prevedendo la futura decadenza della città.

Sono infastiditi dai nervosismi del sindaco Massimo Cacciari: non sono piaciuti né l'invito a non percorrere più il ponte di Calatrava rivolto alla signora che là è caduta fratturandosi, né la minimizzazione dei danni causati dall'inondazione.

Sono preoccupati per la crisi economica che tiene lontani sempre più turisti dalla laguna. Gli americani stanno quasi sparendo e il settore alberghiero accusa una perdita che tocca il 30 per cento rispetto all'anno scorso. Sono schiacciati dall'aumento dei prezzi: l'afflusso di acquirenti stranieri ha fatto impennare i costi degli immobili.

Il rischio è che anche i 60 mila abitanti rimasti nel centro storico (negli ultimi 10 anni se ne sono andati più di 8 mila) siano costretti a emigrare verso la terraferma, più economica e meglio servita, dando ragione a chi sostiene che l'unico destino dell'ex repubblica sia quello di diventare una città-museo o, peggio, una Disneyland, come ha provocatoriamente ipotizzato l'economista britannico John Kay.

"Ormai è troppo tardi. E' già un museo, scrivetelo che stanno facendo di tutto per fare andare via i giovani" si sfoga Nicola Vianello, 23 anni, appena laureato a Venezia ma costretto a emigrare a Mestre. "Abitare qui è diventato impossibile. I veneziani non sono considerati dall'amministrazione che non fa nulla per abbassare i prezzi degli alloggi e creare posti di lavoro diversi da quello di cameriere".

Sarà anche per questo che la giunta Cacciari ha raggiunto il suo picco di impopolarità. "E ci credo, come fai a fidarti di un sindaco che, mentre tu ti spezzi la schiena a svuotare secchi d'acqua per salvare ciò di cui campi, ti viene a dire che non è stata una calamità perché non è morto nessuno?" si sfoga l'artista vetraia Zora Renier. "Sono capaci tutti di affrontare le emergenze invitando la cittadinanza a mettersi gli stivali" le fa eco il marito Pino, che si autodefinisce uno sfiduciato. "Venezia non ha bisogno di un filosofo ma di un uomo concreto che sappia risolvere i nostri problemi pratici" aggiunge Marco Vianello, 30 anni, agente commerciale nel settore del vetro, innamorato e preoccupato per la sua città. "Vivo ancora a Venezia, alla Giudecca, perché ho comprato casa prima che i prezzi raddoppiassero. La spesa, però, la vado a fare con il vaporetto a Mestre: stanno scomparendo i negozi di alimentari ma nessuno sembra preoccuparsene".

Difficile trovare chi difenda Cacciari, basta scorrere le pagine del Gazzettino per vedere un malcontento diffuso. "La sensazione è che non ci sia nemmeno la volontà politica di agire" commenta Franca Coin, presidente della Venice international foundation, che si occupa anche del restauro del patrimonio artistico in collaborazione con i musei civici. "Sembra che manchi una visione globale, la sensazione è quella di annaspare senza sapere dove si andrà a finire. Ma attenzione" ammonisce "non ci dobbiamo nemmeno permettere di dire che Venezia è finita. Diamoci da fare e cerchiamo innesti positivi per evitare di svendere la città più bella del mondo al peggior offerente".

Un innesto c'è stato. Eppure, c'è voluto parecchio perché tutti (o almeno la maggioranza dei cittadini) guardassero di buon occhio il Mose, sistema di dighe mobili e opere fisse pensato già negli anni Ottanta per proteggere la laguna dalla sempre più ricorrente minaccia dell'acqua alta. Avviato dal governo di Silvio Berlusconi nel 2003 e confermato da quello di Romano Prodi nel 2006, il lavoro per proteggere la città, patrimonio mondiale dell'Unesco, costerà allo Stato 4,2 miliardi di euro. Troppi secondo molti degli oppositori all'opera, il sindaco Cacciari e i Verdi in testa, che avvrebbero investito diversamente quei finanziamenti provenienti da Roma.

"Queste opposizioni non hanno fatto altro che ritardare di sei anni i lavori di un progetto partito già in ritardo rispetto ai rischi che corre Venezia" ricordano al Consorzio Venezia Nuova che realizza il sistema Mose. In seguito all'ultima inondazione del 1k dicembre, comunque, sembra che anche i detrattori si siano orientati su una posizione di pacifica accettazione.

"L'opera è compiuta per il 46 per cento: è anacronistico oggi contestarla" riconosce, un po' a sorpresa, Gianfranco Bettin, consigliere comunale dei Verdi. "Ho sostenuto alternative secondo noi meno invasive, ma non ho mai negato che occorresse intervenire per arginare le alte maree. Il Mose è una realtà, che si diano da fare a terminarlo".

Quanto alla crisi della Serenissima, Bettin si dichiara realista: "Da un lato assistiamo al declino dell'industria chimica a Marghera, dall'altro all'inondazione di turisti che snaturano l'identità della città. Per uscire dallo stallo Venezia deve puntare sull'artigianato e sul rilancio dell'attività portuale, altrimenti soccombe". E dire che sono passati quasi 30 anni da quando era Francesco Guccini a cantare della città che muore, fra giorni tristi, turisti e i fumi di Porto Marghera. "Il tema non è più Mose o non Mose" sostiene Paolo Costa, l'ex sindaco della Margherita che nel 2003 convinse il consiglio comunale ad approvare quel progetto. "Spostiamo l'attenzione su altro, chiediamoci di cosa vivranno i veneziani, perché sembra mancare un progetto strategico" prosegue l'attuale presidente dell'Attività portuale. Costa è tra i sostenitori della necessità di aprire il collegamento sublagunare: per ora in fase progettuale, renderebbe la città più accessibile anche dall'aeroporto. "Venezia è una Ferrari, se non la sappiamo guidare, meglio scendere per evitare di passare alla storia come degli incapaci" conclude.

"Saranno i veneziani a salvare Venezia" garantisce Mariagrazia Zanaboni, milanese, approdata alla Giudecca da pochi anni. "In questa città c'è ancora il calore del quartiere che si respirava a Milano quarant'anni fa" prosegue la professoressa di greco.

Il rischio è che tutto si raffreddi. "Solo i suoi abitanti possono garantire un futuro alla città" ribadisce Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. "I lavori di protezione della laguna hanno come finalità quella di rendere più sicuri e meno disagiati gli abitanti, la vera risorsa che la città ha il dovere di trattenere". Per sostenere la validità del suo progetto l'ingegnere fa leva sul problema specifico di Venezia, l'acqua alta. "Non sarà l'unica ma è certamente una delle cause che costringono alla fuga. Non per niente, per arginarne i danni all'intera laguna, lo Stato ha stanziato dal 1984 a oggi ben 10 miliardi, di cui sinora solo 2,5 sono stati utilizzati per la realizzazione del Mose".

A detta di Mazzacurati, non esiste nessun'altra città italiana tanto sostenuta dal governo centrale, "neppure Roma capitale". Eppure, anche sulla gestione dei fondi ottenuti dal comune grazie alla legge speciale (nata nel 1973 per sostenere gli interventi di protezione della laguna), si discute sempre.

Tanto più adesso che la legge rischia di non essere più rifinanziata. "Non è detto, speriamo che il governo trovi i soldi, altrimenti la proposta del comune è quella di dirottare una parte delle risorse per il Mose su altri lavori per la salvaguardia di Venezia" spiega Michele Zuin, consigliere comunale del Pdl.

Difficile andare d'accordo (e farsi capire) in una città le cui sorti sono contemporaneamente nelle mani del comune, del governo e della regione, compresenti nel comitato che coordina, da Roma, tutte le opere di salvaguardia. "La conseguenza di questo assistenzialismo è aver trasformato i veneziani in parassiti" sbuffa Giancarlo Galan, presidente della Regione Veneto. "Il capitano dei parassiti, comunque, è il sindaco Cacciari, che piatisce soldi da chiunque incontri".

Bordate per risvegliare i suoi concittadini arrivano anche da Arrigo Cipriani: "Se le cose vanno male" dice il titolare dell'Harry's bar, che lamenta di avere perso in un mese il 40 per cento di incassi, "è colpa dei veneziani che si sono lasciati trasformare in venditori di souvenir dalle masse di turisti invasori. Da loro hanno imparato anche la villania. Venezia deve reagire".

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Lucia Scajola

Nata e cresciuta a Imperia, formata tra Milano, Parigi e Londra, lavoro a Panorama dal 2004, dove ho scritto di cronaca, politica e costume, prima di passare al desk. Oggi sono caposervizio della sezione Link del settimanale. Secchiona, curiosa e riservata, sono sempre stata attratta dai retroscena: amo togliere le maschere alle persone e alle cose.

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