Uruguay: Pepe Mujica fa volare Tabaré Vazquez
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Uruguay: Pepe Mujica fa volare Tabaré Vazquez

La vittoria al primo turno del candidato del Frente Amplio, già presidente tra il 2005 e il 2010, è anche merito della popolarità dell'ex guerrigliero contadino

Anche in Uruguay, come in Brasile, il centrosinistra esce vincitore dalle urne: Tabaré Vazquez, già presidente dal 2005 al 2010 e candidato del Frente Amplio, la coalizione progressista al potere, affronterà al ballottaggio lo sfidante Luis Lacalle Pou, del Partido Nacional (centrodestra) con un vantaggio che secondo le prime proiezioni supera i 14 punti, ben oltre i sondaggi della vigilia:  46-47% dei voti contro il 32% di Lacalle Pou, che forse, al secondo turno, potrà contare sul soccorso di Pedro Bordaberry, candidato dello storico Partido Colorado (destra), attestatosi al 13% (molto al di sotto del 16% indicato dalle inchieste demoscopiche) e sconfitto, dopo aver sponsorizzato, in un Paese con un tasso di criminalità molto elevato anche per gli standard latinoamericani, la proposta di abbassare a 16 anni l'età minima per l'imputabilità penale nel Paese.

«Se il tempo me lo permette, ora vado a piantare le zucche, perché domani non posso»

Se il Frente Amplio - cui è iscritto anche il popolarissimo presidente uscente Pepe Mujica, sotto il cui mandato l'economia uruguayana è cresciuta a ritmi sostenuti - dovesse raggiungere il 48% dei voti, manterrebbe la maggioranza parlamentare di cui dispone attualmente nelle due camere. Malgrado le molte critiche avanzate al decennio in cui è già stato presidente, Vazquez, che di professione fa l'oncologo, ha saputo resistere alla temuta rimonta di Lacalle Pou, grazie all'estrema popolarità di Mujica (cui la Costituzione impediva un secondo mandato consecutivo) ma anche al sistema di potere e di protezione sociale creato dal Frente Amplio, una coalizione di partiti molto eterogenea  e rissosa tenuta unita anche dal collante del governo e del sottogoverno. 

Mujica, che si è recato alle urne in Maggiolino, è un ex guerrigliero che dona circa il 90% del suo stipendio (circa 12.000 dollari al mese) alle associazioni caritatevoli e che, nel corso del suo mandato iniziato nel 2010, ha contribuito alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali e alla liberalizzazione del commercio della marijuana. Due misure che forse non hanno toccato la vita quotidiana della stragrande maggioranza degli uruguayani, ma hanno trasformato il Paese in un laboratorio che ha attirato l'attenzione e gli sguardi del mondo intero.

Oltre al presidente, che si insedierà il primo marzo per un mandato di cinque anni, gli uruguayani eleggeranno anche il vicepresidente e i membri del parlamento (91 deputati e 31 senatori): tra i temi in agenda, il sistema scolastico che ancora non riesce a garantire il diritto all'istruzione a tutti i cittadini e il tasso crescente di reati, uno dei cavalli di battaglia dei candidati della destra.  L'Uruguay, per ora, come il Brasile, ha scelto la continuità.    

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