Tumore al seno: le nuove scoperte sul rischio genetico
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Tumore al seno: le nuove scoperte sul rischio genetico

Due ricerche mettono in luce la complessità dei fattori ereditari che predispongono al cancro della mammella

I più famosi e famigerati sono BRCA1 e 2, la cui sigla è ormai nota anche al grande pubblico: sono i geni le cui mutazioni sfavorevoli aumentano il rischio di ammalarsi di cancro al seno e all’ovaio. Di una di queste, sul gene BRCA1, è portatrice l’attrice Angelina Jolie, che ha scelto di sottoporsi prima a doppia mastectomia e dopo alla resezione di entrambe le ovaie, nella speranza di evitare le malattie che avevano già colpito diverse donne della sua famiglia.

Oggi si stanno però ampliando le conoscenze sui fattori ereditari che influiscono su questi tipi tumori. Poche settimane fa, per esempio, due studi pubblicati su Nature e Nature Genetics hanno aggiunto nuovi importanti dati al quadro.

Panorama.it ha chiesto a Paolo Peterlongo, ricercatore all’Ifom (Istituto Firc di Oncologia Molecolare) di Milano e tra gli autori degli studi, di fare chiarezza sulle scoperte, e su come potrebbero essere utilizzate per migliorare la prevenzione.

Che cosa si sa oggi sulla predisposizione genetica al tumore al seno?
L’elemento principale cui oggi possono fare riferimento i medici per valutare il rischio di una donna è la sua storia familiare. Se in famiglia ci sono stati casi – la madre, le zie, le sorelle – si considera che il rischio sia aumentato. I casi associati a una storia familiare, in cui cioè è identificabile una chiara componente ereditaria, sono circa il 25 per cento. In un caso su 4 di questi, l’aumento di rischio è dovuto a mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2: le donne con una mutazione in BRCA1 hanno un rischio di sviluppare un cancro al seno entro i 70 anni del 65 per cento, e un cancro dell’ovaio del 40 per cento, sempre entro i 70 anni. Nel caso di BRCA2, il rischio è un po’ inferiore, ma comunque alto.

Sono noti altri geni che comportano un rischio così elevato?
Sta venendo in luce il ruolo di altri geni. Uno noto da alcuni anni è il gene chiamato PALB2. Le mutazioni in questo gene sono meno frequenti di quelle in BRCA1 e 2, ma comportano un rischio che è paragonabile: in particolare il rischio è del 40 per cento per il cancro al seno, e del 20 per cento per l’ovaio, simile a quello di BRCA2.

Che cosa aggiungono al quadro le ultime scoperte?
Ancora più di recente è emersa una serie ulteriore di fattori di rischio genetico. Si tratta di mutazioni che, a differenza di quelle dei geni già noti, sono molto comuni nella popolazione, ciascuna associata a un rischio leggermente aumentato. Conosciamo ormai circa 170 di queste varianti, e considerate nel loro insieme possono essere utilizzate come fattori predittivi di rischio.

Queste conoscenze possono già essere sfruttate?
Non vengono ancora utilizzate nella pratica clinica, ma probabilmente lo saranno in un futuro non troppo lontano. Sulla base della conoscenza di queste varianti genetiche si potrebbe mettere a punto un test per stimare un “indice di rischio poligenico” specifico per ciascuna donna. E in base a questo indice, e agli altri fattori di rischio conosciuti, si potrebbero eseguire screening di prevenzione nella popolazione. Oggi, per esempio, si valuta che il migliore rapporto tra rischi e benefici per la popolazione femminile in termini di prevenzione del tumore al seno si ha cercando di individuare eventuali lesioni con la mammografia a partire dai 45-50 anni. In futuro si potrebbe essere in grado di fare una sorveglianza anticipata o più stretta indirizzata alle donne che hanno un rischio genetico che si è dimostrato più alto.

C’è qualche altra applicazione?
Si è visto che alcune decine delle nuove varianti identificate modificano anche il rischio di sviluppare la malattia delle donne che sono portatrici dei geni BRCA1 e 2. Alcune di queste varianti influiscono sul rischio aumentandolo ulteriormente, anche fino all’80 per cento, altre lo mitigano, facendolo scendere al 20 per cento. È plausibile che nel giro di poco si possa cominciare a tenere conto anche di questi fattori per calcolare in modo più preciso il rischio reale per una donna e i suoi familiari.

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Chiara Palmerini