Contro Trump in Messico
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Trump e il muro con il Messico: serve davvero?

Il punto nodale non è se la barriera tra USA e Messico sarà o meno completata, ma quale impatto deterrente essa potrà costituire per migrazioni e narcos

Per Lookout news

Partiamo da alcuni dati certi. Ogni anno oltre 500 milioni di persone attraversano i due soli confini terrestri degli Stati Uniti, Canada e Messico e, di questi, circa 300 milioni non sono cittadini statunitensi. Questo numero corrisponde a circa 118 milioni di veicoli e 22,5 milioni di cargo che ogni anno percorrono le strade americane.


Per quanto concerne il confine USA-Messico, quello dove l’apprensione per la sicurezza è maggiore, si stima che la quota di movimenti illegali sia del 90% rispetto agli stessi movimenti al confine canadese. Da qui l’impellenza di gestire meglio i valichi al confine meridionale. La maggior parte dell’attenzione delle forze dell’ordine è concentrata sull’attraversamento illegale degli immigrati irregolari che dal Messico raggiungono gli Stati meridionali degli USA. Una priorità nazionale, cui seguono il trasporto di droga e il trasporto di merci non regolari.


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I numeri dei migranti messicani

Mentre gli immigrati irregolari totali provenienti da ogni parte del mondo negli Stati Uniti sono pari a 11,3 milioni, i messicani entrati irregolarmente nel Paese erano 6,5 milioni nel 2014. Quelli che vivono regolarmente sul suolo statunitense sono invece 33,5 milioni (quasi un quarto della popolazione messicana). Circa il 65% degli americani-messicani è nato negli USA, mentre il 18% è rappresentato da immigrazione non autorizzata. Ciò detto, a partire dal 2009 la tendenza all’immigrazione dal Messico verso gli Stati Uniti è in costante calo e nel 2015 è scesa a 5,6 milioni.

Il 60% della presenza dei messicani in America è sparso in soli sei Stati: California, Florida, Texas, Illinois, New York, New Jersey. I messicani rappresentano il 5,1% della forza lavoro complessiva statunitense (somma di occupati e disoccupati). L’età media è molto giovane, circa 25 anni d’età. Le politiche che riguardano l’immigrazione non sono un tema molto percepito dalla comunità messicana in America: la priorità è piuttosto l’assicurazione sanitaria, di cui beneficia appena il 29% delle donne di origine messicana (percentuale che cala molto per gli uomini).

 

Il problema del narcotraffico

La stessa questione del muro è un problema relativo per i messicani, mentre rappresenta una questione di primaria importanza per il governo statunitense e, in parte, anche per quello messicano. Questo perché il confine Messico-Stati Uniti è la porta d’accesso non solo per l’immigrazione dei latinos dall’intero continente americano, ma anche perché è la via di accesso preferenziale della droga destinata al mercato di Stati Uniti e Canada. Colombia e Messico, in questo senso, hanno pressoché il monopolio del traffico di cocaina, eroina, marijuana, ecstasy e metanfetamine.

 

Queste droghe vengono trafficate dai cosiddetti “cartelli” ovvero una sorta di consorzi criminali che gestiscono l’intero sistema, dalla produzione allo smercio degli stupefacenti, attraverso metodi brutali e grazie alla presenza militarizzata in regioni dove lo Stato non riesce a penetrare. I ricavi dal settore consentono ai cartelli utili incalcolabili, con un mercato d’affari miliardario.

 

messico_cartelli_droga

 

Per esportare le droghe dal Messico al territorio americano, i narcotrafficanti utilizzano i più disparati metodi, spesso creativi: dagli aerei biplano ai sommergibili, dalle catapulte ai droni, dal camuffamento nei cibi o nei giocattoli, fino ai corrieri che ingoiano la droga e la trasportano nello stomaco oltreconfine.

 

Ma i veri problemi sono il confine naturale del fiume Rio Grande tra New Mexico e Texas, difficilmente pattugliabile, e soprattutto i tunnel scavati sotto le recinzioni, utilizzati tanto dagli immigrati quanto dai narcotrafficanti, che li gestiscono direttamente e ne costruiscono continuamente di nuovi. Questo sistema ha generato anche il fenomeno dei “coyotes”, vere e proprie guide in grado di aiutare i migranti a evitare le zone a rischio e sfuggire a telecamere e pattugliamenti (un fenomeno paradossalmente cresciuto con il progressivo aumento dei controlli).

 

Il muro al confine, da Clinton a Bush

Al fine di arginare l’immigrazione irregolare e il traffico di stupefacenti, gli Stati Uniti hanno attivato numerose iniziative volte alla repressione del fenomeno già a partire dagli anni Sessanta, quando il numero di stranieri fermati dalla polizia di frontiera era nell’ordine delle centomila unità. Già nel 1977, però, la cifra salì a un milione; da allora e sino al 2007 non si è mai avuta una diminuzione del fenomeno, con una media dei fermati di origine messicana di 7 su 8.

 

Il potenziamento dei pattugliamenti ha portato negli anni Novanta a un cambio di strategia: a partire dal 1993 per volere dell’Amministrazione Clinton ha preso vita un’operazione nella zona di El Paso, in Texas, soprannominata Hold the Line, che ha portato già l’anno seguente alla costruzione di un muro anti-immigrazione lungo tutta la linea di confine, che comprende quattro stati: California, Arizona, New Mexico e Texas.

 

La linea di confine Stati Uniti-Messico complessivamente si dipana poco oltre i 3.000 chilometri, mentre il muro voluto da Bill Clinton oggi non raggiunge i mille chilometri di ampiezza: attualmente si sviluppa lungo 930 km non consecutivi, intervallati da confini naturali, filo spinato e zone dove sono presenti solamente recinzioni blande e sensori elettrici. A pattugliare il confine è la polizia di frontiera, sovvenzionata attraverso i progetti Gatekeeper (California), Hold-the-Line (Texas) e Safeguard (Arizona).

 

Da allora, l’esigenza di un efficace controllo di frontiera ha assunto un’importanza sempre più cruciale, divenendo un problema di sicurezza nazionale in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 (nonostante, come noto, i terroristi in quel caso fossero entrati negli USA con i visti regolari). In questo senso va letta anche l’operazione Streamline, iniziata nel 2005 sotto la presidenza di G.W. Bush, che ha reso obbligatoria la detenzione delle persone accusate di recidiva nell’ingresso illegale sul territorio americano. Streamline ha suscitato molte polemiche per le accuse di aver incrementato la popolazione carceraria degli Stati Uniti e aver portato a una criminalizzazione generalizzata dei migranti.

 

Nel 2006, il Secure Fence Act ha poi autorizzato l’espansione del muro per altri 1.100 km in Arizona e California, e innalzato le forze per il pattugliamento dei confini nazionali a un totale di quasi 20mila agenti. I punti critici sono le città di confine: dal lato messicano Tijuana, Nogales, Juarez e Nuevo Laredo, e dal lato americano San Diego (California), Tucson (Arizona), El Paso e Laredo (Texas).

 

La sfida di Trump

Con l’elezione a presidente degli Stati Uniti di Donald J. Trump nel 2016 la questione sembra essere divenuta prioritaria per il governo federale, visto che il repubblicano in campagna elettorale ha promesso di portare a termine il mastodontico progetto del muro. Trump sostiene che il costo totale dell’opera si aggirerà tra i 10 e i 12 miliardi di dollari per coprire la restante parte (poco meno di 2.000 km) che manca per sigillare interamente la frontiera. Ma le stime di numerosi ingegneri parlano di costi ben più alti, visto che i primi 930 km già in piedi complessivamente sono costati al governo più di 7 miliardi di dollari. Un recente studio condotto dal Washington Post ha stimato il costo definitivo in circa 25 miliardi.

 

In definitiva, però, il punto nodale non è se il muro sarà o meno completato, piuttosto quale impatto deterrente esso possa costituire per le migrazioni e il narcoterrorismo in entrata. E, al contempo, quale impatto avrà sui rapporti bilaterali con il secondo partner commerciale degli Stati Uniti, cioè appunto il Messico. Valgano per tutti questi interrogativi le parole di Juan José Guerra Abud, ambasciatore del Messico in Italia: “Chi si oppone all’apertura e agli scambi tra questi mercati non sta comprendendo dove stia andando l’economia mondiale. La soluzione non è chiudere le frontiere e fermare gli scambi, ma svilupparli e generarne di nuovi”.

Jeff Topping/Getty Images
Nogales, Sonora, Messico, 2006

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Luciano Tirinnanzi