Torre Eiffel, parla l'architetto che cambierà il suo look
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Torre Eiffel, parla l'architetto che cambierà il suo look

Ecco come cambierà il primo piano della Torre Eiffel secondo l'architetto Alain Moatti

La visita del cantiere del primo piano della Torre Eiffel comincia sulla spianata battuta da un vento gelido, un mattino di febbraio. Il monumento non è ancora aperto al pubblico ma già i primi giapponesi si affrettano a prendere le migliori pose per scattare la foto migliore. Saliamo al primo piano non prima di aver calzato le scarpe di sicurezza, inforcato gli occhiali di protezione e coperto il capo con un elmetto.

La salita si compie via un montacarichi rosso fissato su un enorme traliccio grigio che collega la spianata della Torre al cantiere. Il primo piano della Torre Eiffel si sviluppa su una superficie di 5000 metri quadri e per fare in modo che i lavori abbiano il minore impatto possibile sulla frequentazione della Torre si è costruita una passerella sospesa nel vuoto larga diversi metri che collega il lato est con l’ovest e che funge anche da superficie di stoccaggio del materiale edile.

Almeno una cinquantina fra tecnici ed operai, sono all’opera per la ricostruzione del padiglione Ferrié, mentre il padiglione Eiffel, esattamente d fronte, fa già bella mostra di se, seppur vuoto in questo periodo. “E’ già stato usato per allestire una mostra”, ci dice Giovanna Carrer, la nostra guida, che dopo aver salutato e chiesto il permesso al responsabile del cantiere, ci conduce nelle coulisse del padiglione in costruzione per mostrarci la pagoda già realizzata e pronta ad essere scartata dagli imballaggi dei materiali.

Queste sorte di navicelle spaziali realizzate in inox e vetro e dipinte con lo stesso colore rosso bordeaux dei padiglioni, servono a proteggere i visitatori dalle intemperie mentre aspettano di prendere l’ascensore per salire o per scendere. Anch’esse sono state concepite con linee inclinate, richiamate da una sorta di magnetismo verso la punta della Torre. La visita, come in un climax narrativo, volge al suo punto culminante: l’unica parte di suolo vetrato già posata ci aspetta. Si tratta del lato sud della Torre. Ci arriviamo e un nastro rosso e bianco ci impedisce ancora di camminare sopra il vetro zigrinato realizzato espressamente da Saint-Gobain. Se non possiamo ancora calpestare la zona vetrata possiamo scattare delle foto ed avvicinarci sino al bordo, dove la sensazione di vuoto e quasi di vertigine è già presente. Con l’aggiunta dei parapetti, anch’essi in vetro ed inclinati verso il vuoto, al centro del primo piano, non abbiamo dubbi che questa striscia trasparente diventerà a partire dal prossimo autunno, uno dei luoghi più ambiti dai turisti per vivere un’esperienza unica.

Abbiamo ancora il tempo per fare un salto al Ristorante 58, che grazie alle nuove vetrate ha guadagnato spazio ed un panorama mozzafiato. E’ tempo di scendere; per non appesantire la Torre, si fanno salire solo pari pesi di materiale, ogni cosa è minuziosamente studiata per un cantiere che deve farsi il più discreto possibile a 57 metri da terra, su un gioiello architettonico che è diventato simbolo della Ville Lumière.  

Architetto Moatti, cosa l’ha spinta a rispondere al bando di concorso per il rifacimento del primo piano della Torre e soprattutto quale punto del suo progetto crede le abbia dato il quid pluris per vincere?
La Torre Eiffel è un luogo di spettacolo e di architettura, è allo stesso tempo un’ esperienza ed un luogo abitato. Io cerco di mettere della scenografia nei luoghi che concepisco e qui c’era chiaramente la possibilità di farlo. Ho messo nel progetto l’obliquità dei padiglioni, che deriva direttamente da quella della Torre. I parapetti ad orientazione inversa sul vuoto. Tutto ciò fa parte di un progetto contemporaneo che ha fatto corpo con la Torre, come una storia d’amore: geometrica ed emozionale nello stesso tempo. Utilizzo la geometria con una forma contemporanea.

Mancano 6 mesi alla chiusura del cantiere, il progetto sta diventando materia. Visitando il cantiere quale sentimento prevale, la soddisfazione o la delusione per i particolari che non sono come nei disegni?
E’ vero che visitando il cantiere mi è capitato di dirmi: questa porta avrei potuto metterla di là, questi materiali avrebbero potuto essere diversi. Nel complesso però sono molto soddisfatto del lavoro che, con mille difficoltà, è realizzato giorno per giorno. A parte questo sono molto contento: il progetto mi piace così e non avrei potuto farlo in altra maniera. Sono contento del colore e dei materiali utilizzati.    

Se dovesse stilare una classifica fra i suoi progetti e le sue realizzazioni, a quale posto metterebbe quello della Torre Eiffel?
(ride) I progetti sono come i figli, sono tutti belli, anche se hanno il naso storto, la bocca grande… Ciascuno ha una storia, io sono una persona che ama moltissimo la letteratura, leggono molto e penso che ogni progetto sia come una storia. Mi stanno molto a cuore quelli di Calais e di Miramar (Cannes) e quello della Torre è un po’ figlio di questi e figlio della tecnologia moderna che ci consente di avere degli strumenti diretti di comunicazione con chi realizza. Questa tecnologia digitale ci permette di fare dell’artigianato, dei pezzi unici, su scala industriale.
Che sensazioni le ha dato la possibilità di lavorare su uno dei monumenti più conosciuti al mondo ?
Innanzitutto è una grossa responsabilità: se ti sbagli qui, non ti resta altro da fare che chiudere bottega e scappare il più lontano possibile. La pressione è enorme. Nella vita di un architetto è però una possibilità più unica che rara, si prendono dei grossi rischi, ma è una chance incredibile che ti è capitata e vale la pena di viverla.

Parla di grandi rischi: quali sono state dunque le difficoltà maggiori incontrate nel progetto?
Abbiamo incontrato problemi di tutti i tipi, tutti i giorni. La Torre Eiffel è un monumento che come tale non si può toccare, tutto deve essere rispettato al massimo. Pensi che i nuovi padiglioni sono in sostanza fissati con delle grosse pinze al suolo e questo perché si deve intaccare la Torre il meno possibile, oltre che per una necessaria flessibilità e resistenza alle intemperie. Il contesto amministrativo poi… Non so come sia in Italia ma ho dovuto passare un numero di ore incalcolabile a presentare i progetto, ad ascoltare le opinioni di decine e decine di commissioni, a dire di si a tutti per poi cercare di mantenere intatto il mio progetto del quale rispondo ovviamente. Da un punto di vista puramente architettonico credo che per rispondere alla domanda basti dire che tutto è un prototipo.  

Alain Moatti ha un maître à penser nel mondo dell’architettura? In quale scuola si iscrive la sua arte?
Non ho una persona che mi influenza, ma molte persone attorno a me, che mi illuminano, persone che svolgono spesso attività differenti dalla mia. Mi piace lavorare a partire dal contesto. Ho bisogno di vedere i luoghi, di ascoltare a lungo le persone che vi vivono e che vogliono trasformali. Il contesto è il punto di partenza necessario. Esacerbandolo ed aggiungendo dell’invenzione riesco a portarlo più lontano ed a produrre un progetto. Se vuole sono l’esatto contrario di Zaha Hadid. Io non faccio dell’architettura concettuale. La Hadid che faccia una torre o un vaso poco importa, sono sempre uguali. Io credo che bisogna fare leva sul valore simbolico dei luoghi e partire dalla conoscenza di questo valore per aumentarlo e sublimarlo. Realizzare un progetto è aumentare la conoscenza, se dopo un progetto la tua conoscenza non è aumentata significa che tutto è stato piatto e noioso.

Noioso… dopo un progetto come quello della Torre Eiffel tutto rischia di essere noioso ai suoi occhi.  
E’ come quando vinci una medagli alle Olimpiadi. Bisogna ritornare ad una quotidianità fatta di storie diverse ma non meno interessanti che quelle della Torre Eiffel. I progetti prolungano storie esistenti, noi facciamo della narrazione, dell’architettura narrativa.  

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Luca Endrizzi