Terrorismo ed immigrazione: Italia a rischio?
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Terrorismo ed immigrazione: Italia a rischio?

Mentre in Europa cresce l’incubo di attentati terroristici uni-personali e da noi si discute di ius soli, la realtà dell’immigrazione italiana è meno pericolosa di quanto sembri - LookOut news -

Nicole Lynn Mansfield, 33 anni, nata in una famiglia battista di Flint, nel Michigan, e morta in Siria al fianco dei ribelli. Michael Adebolajo, 28 anni, nato a Londra, oggi in carcere per aver ucciso un soldato britannico inneggiando ad Allah. I fratelli Tsarnaev, nati in Cecenia ma vissuti negli Stati Uniti fin dall’adolescenza, autori di un clamoroso quanto indiscriminato attentato alla Maratona di Boston.

Sono tutti ragazzi giovani e occidentalizzati, di seconda o terza generazione d’immigrati, che in comune hanno solo la volontà di modificare radicalmente la propria vita, forse alla ricerca delle proprie origini o forse nel disagio di non sentirsi integrati nella comunità che li ha adottati. E che, improvvisamente, attraverso la violenza trovano uno scopo o meglio uno sfogo a quel bisogno di ribellarsi, comune ai giovani di tutto il mondo.

- Gli attentati uni-personali

Per loro, non si può parlare d’infiltrazione terroristica. Si tratta di un problema più profondo e oscuro, sul quale la società occidentale deve riflettere e che certo ancora deve decifrare, per poi affrontarlo correttamente. Alcuni analisti hanno ribattezzato il fenomeno “individual jihad” per riferirsi a individui che operano senza legami apparenti alle reti terroristiche o alle cospirazioni estremiste strutturate, e che agiscono senza ordini o collegamenti diretti. Il termine “jihad” in questo caso non vuol riferirsi direttamente alla cosiddetta “Guerra Santa” combattuta da Al Qaeda contro l’Occidente, ma più semplicemente alle tecniche del terrorismo che le sono affini.

Se le motivazioni che spingono questi soggetti sono insondabili, è l’accesso a Internet ad aver dato origine al fenomeno: i giovani cercano consapevolmente (o in seguito a suggestioni) una motivazione in rete e, quando la trovano, ottengono anche una “formazione online” per perseguire l’obiettivo. Dunque, la rete è sia lo strumento di auto-reclutamento sia il mezzo di diffusione delle tecniche necessarie a trasformare un proposito in atto pratico. Solo dopo arrivano le armi. Il risultato sono operazioni spontanee che confondono l'intelligence locale e internazionale, e che non permettono di risalire ad alcuna organizzazione. L'individuo è, cioè, geograficamente indipendente.

- Il fenomeno in Italia

Questi terroristi improvvisati e indipendenti non sono ancora un pericolo sistemico in Europa ma cresce l’allarme, visto che il fenomeno è senza dubbio in aumento. Studi d’intelligence rivelano che l’Italia è ancora piuttosto al riparo da simili attacchi, nonostante i suoi 5 milioni di immigrati (su un totale di oltre 33 milioni in Europa), semplicemente perché non è stata una potenza coloniale, non è impegnata in prima linea nelle guerre e non conosce pertanto il “ritorno di fiamma dell’Impero”.
La minaccia terroristica globale, infatti, si è spostata dai Paesi colonizzati - in cui ieri come oggi si combatte o si è combattuto - ai Paesi colonizzatori. Prendiamo il caso di Regno Unito e Francia: qui tali eventi sono più diffusi sia per l’attivismo militare dei relativi governi sia perché i cittadini immigrati spesso arrivano già con il passaporto, che detengono in ragione dell’appartenenza ai territori d’Oltremare o del Commonwealth, sia ancora perché, parlando la stessa lingua della madrepatria, si pretende da loro che si sentano in tutto e per tutto cittadini inglesi o francesi. In Italia, il fenomeno è ben diverso.
- La teoria dei “quattro mondi”

Oggi forse non è più valida la suddivisione del mondo attraverso i numeri e la nota definizione “Terzo Mondo” ha sempre meno valore, ma rende ancora bene il senso della diversità di scopo di un viaggio intrapreso per raggiungere Italia o Germania, rispetto a Francia e Regno Unito.

Questa definizione prevede implicitamente anche un “primo” e un “secondo mondo”. Ma qual è la chiave per distinguere con esattezza questi “mondi”? L’economia, ovviamente. Al primo mondo, infatti, appartengono i Paesi che possiedono materie prime e le capacità/tecnologie per usarle. Al secondo, i Paesi che non dispongono di materie prime ma hanno le capacità per usarle. Al terzo, i Paesi che hanno materie prime ma non la capacità di sfruttarle (al quarto mondo, infine, i Paesi senza materie prime e senza capacità di usarle).

Ora, seguendo questa cinica semplificazione, ne consegue che l’immigrazione va sempre dal terzo verso il secondo e il primo mondo (il quarto mondo non ha spinta migratoria perché non possiede gli strumenti per poterlo fare). L’Italia appartiene al secondo mondo, perché non dispone di materie prime ma ha la capacità e la tecnologia per lavorarle. E la manodopera gli è necessaria al punto che il saldo di bilancio tra il totale dei costi dell’immigrazione (11,10 miliardi euro nel 2011) e i benefici (12, 80 mld) è addirittura positivo (1,70 miliardi di euro) e il numero di lavoratori stranieri occupati cresce nonostante la crisi. Dunque, più integrazione che frizione sociale.

Conclusioni

Il dato fondamentale è però un altro: quando un Paese del terzo mondo sviluppa un Pil che lo porta nel secondo mondo, il flusso migratorio cessa (è il caso dell’Albania, che dagli anni Novanta ha avuto una spinta notevole grazie agli sforzi dei suoi emigrati e ai soldi che sono ritornati in patria per essere reinvestiti là).

La differenza, secondo questa teoria, sta pertanto nel fatto che i “nostri immigrati” spesso non vogliono restare per sempre in Italia ma preferiscono lavorare il tempo necessario per poi tornare nel Paese d’origine. Dunque, l’Italia viene vista come un’opportunità di lavoro e non come un approdo definitivo o una nuova patria: nel migrante non scatta necessariamente quel senso d’appartenenza, che può degenerare in meccanismi - simili a quelli sopra descritti - di attribuzione di colpa e in sentimenti di vendetta nei confronti dello Stato, a cui viene direttamente addebitata la condizione di povertà e ingiustizia delle proprie origini. Ed è anche questo che, finora, ci ha affrancato dal rischio terrorismo.

By LookOut news

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Luciano Tirinnanzi