Telecom: a che titolo parla il presidente del Copasir?
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Telecom: a che titolo parla il presidente del Copasir?

Non doveva essere il presidente Stucchi a lanciare l’allarme. Ma la sicurezza dello Stato è davvero a rischio

by LookOut News

Prima di commentare le dichiarazioni del presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, e di valutare l’effettivo rischio per la sicurezza dello Stato italiano in seguito alla vendita di Telecom, è opportuno capire a che titolo egli parla: perché la scorciatoia dialettica secondo la quale il presidente di un Comitato di controllo sui Servizi Segreti è di conseguenza anche un esperto professionista d’intelligence, è quantomeno azzardata. 

Quali sono, infatti, i suoi poteri? Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, organismo di vigilanza del parlamento italiano, “verifica in modo sistematico e continuativo, che l’attività del Sistema di informazione per la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione, delle leggi, nell’esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni”. Tutti i suoi membri, nessuno escluso, “sono tenuti al segreto relativamente alle informazioni acquisite, anche dopo la cessazione del loro incarico”. 

È compito del Comitato accertare che “le funzioni attribuite al DIS, all’AISE e all’AISI (ovvero i tre organi preposti alla sicurezza dello Stato) non siano svolte da nessun altro ente, organismo o ufficio”. E al Comitato non può essere opposto il segreto d’ufficio, né il segreto bancario o professionale, fatta eccezione per il segreto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato. 

E, come in questo caso, il Comitato può anche “ottenere, da parte di appartenenti al Sistema di informazione per la sicurezza, nonché degli organi e degli uffici della pubblica amministrazione, informazioni di interesse, nonché copie di atti e documenti da essi custoditi, prodotti o comunque acquisiti”.

Ma sul tavolo di via del Seminario non è giunto niente di tutto questo, nessuna informativa relativa a Telecom è stata vagliata per poi essere trasmessa al governo (altrimenti, tutto questo lo si sarebbe potuto evitare) perché il Copasir è soltanto un organo di controllo e né Stucchi né gli altri membri sono uomini d’intelligence o dispongono di una rete informativa autonoma tali da avere la titolarità per giudicare autonomamente i “pericoli per la sicurezza dello Stato”. 

Il senso dell’allarme di Stucchi

Anche se non spettava a lui, ciò nonostante l’allarme di Stucchi è più che mai opportuno e giustificato: Telecom, infatti, è il centro nevralgico delle più importanti operazioni che attengono alla sicurezza e alla segretezza dello Stato, attraverso cui sono collegati e si snodano tutti i maggiori centri decisionali del sistema Paese. Ma questo non lo si sapeva già?

Cedere Telecom a un Paese straniero sarebbe come cedere a un altro servizio segreto le chiavi della banca dove sono custoditi i conti corrente con cui gli agenti segreti operano in Italia e nel mondo: poter guardare indisturbatamente quali operazioni non sarebbe proprio il massimo della sicurezza e significherebbe non solo abdicare alla propria indipendenza ma, come minimo, essere persino ricattabili.

L’uomo Stucchi ha dunque sentito di dover lanciare un allarme che, altrimenti, non avrebbe lanciato nessun altro in questo deserto di controlli e controllori dello Stato. Carità di patria o quel che sia, la sostanza è un’altra: il presidente Copasir ha sottolineato le incredibili inefficienze che ormai avviluppano tutto il sistema amministrativo italiano.

La legge che poteva impedire la vendita Telecom 

Nota molto acutamente Enrico Marro sul Corriere della Sera, che esisterebbe una legge capace di evitare simili situazioni: è il decreto 15 marzo 2012, n. 21, recante “norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni”. 

Una legge che, se in vigore, consentirebbe in teoria all’esecutivo di esercitare la cosiddetta “golden share” e dunque un diritto di veto sulla vendita di quelle parti di Telecom ritenute sensibili e comunque attinenti a questioni di sicurezza nazionale. 

Ma c’è un problema grosso come una casa con questo decreto: gli uffici legislativi competenti che debbono predisporre successivi provvedimenti di attuazione, non lo hanno ancora fatto. Per cui la legge c’è ma non la si può applicare. 

L’Italia che non funziona più

Questo è il nostro Paese oggi, un’espressione geografica (ricordate gli austriaci?) dove la sicurezza nazionale è un concetto astratto, dove il presidente di un così importante organismo come Telecom non sa quello che fanno i suoi uomini, e dove l’alta amministrazione dello Stato non costituisce più la cinghia di trasmissione tra l’esecutivo e il resto della società italiana, ma è diventata ormai un enorme macigno che si frappone tra le decisioni dell’esecutivo e la loro attuabilità o attuazione. 

Il punto è, insomma, che nessuno sa o ha intenzione di fare un bel niente e i servizi segreti non vengono neanche consultati o stimolati a produrre sforzi per evitare simili situazioni. 

Come possono gli spagnoli comprare Telecom all’insaputa del governo e dei servizi segreti italiani? Ma soprattutto: come possono gli spagnoli comprare Telecom all’insaputa del suo amministratore delegato? Sarebbe questo il controllo di gestione di Franco Bernabè? 

Solo dopo che gli italiani hanno appreso della vendita dai giornali, ora tutti scoprono che Telecom è anche strategica e sensibile sotto il profilo della sicurezza nazionale. Ma va? In Paesi attenti e seri come il Regno Unito e gli Stati Uniti (ma tanti altri ne potremmo citare), dove i servizi segreti vigilano compiutamente sulle vicende interne e internazionali, non sarebbe ammissibile non avere il controllo su realtà di primaria importanza come le telecomunicazioni.

A Londra il capo dei servizi di sicurezza riferisce ogni mattina al premier britannico, così come alla Casa Bianca ogni giorno il capo della CIA riferisce in un briefing delle situazioni critiche da affrontare. Da noi, il governo non riceve i servizi se non in casi limitati, senza scadenze precise e di solito solo dopo una frittata come quella del caso kazako. 

Cosa si può fare allora stando così le cose? Molto poco. Come diceva Ennio Flaiano, questa “è una situazione drammatica ma non seria”. E questo ormai è un Paese in saldo, avanti il prossimo.

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Luciano Tirinnanzi