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Se il sud va oltre Camilleri

Il voto in Abruzzo e la vittoria della Lega mostrano un cambiamento profondo del sud che ora si fida di politici lontani dai soliti stereotipi

Benvenuto al Sud. Sembra un film surreale e invece la storia si sta avverando. Matteo Salvini verrà incoronato Re del Sud fin dalle Europee di primavera? Finora raccoglieva simpatie, pacche sulle spalle, folle di curiosi, promesse di consensi. Ora, con la conquista dell’Abruzzo, la passione meridionale per la Lega non è più una diceria ma una realtà certificata. Salvini ha cominciato dall’Abruzzo la conquista del Sud. E il Sud si appresta a spalancargli le porte e a incoronare la Lega come primo partito. È una novità con triplice salto: dopo aver voltato le spalle al ceto politico meridionale della prima Repubblica, e dopo la stagione berlusconiana più An, il Sud volta ora le spalle all’ultimo impresario della protesta, il Movimento 5 stelle, e apre le porte al nemico padano di ieri, l’ammazzaterroni. Come si può spiegare questo cambiamento così radicale? È solo un’infatuazione passeggera, un fenomeno di illusionismo mediatico che colpisce un elettorato psicolabile, spaesato, cangiante?
Di sovrani e conquistatori venuti dal Nord e accolti con entusiasmo dalle genti meridionali sono pieni i secoli andati. Quel Sud che rifiutò la conquista piemontese, che rimpiangeva i Borbone e rigettava la dinastia subalpina che parlava francese, alla fine restò fedele ai Savoia al punto che al Sud, al referendum, vinse la monarchia contro la repubblica.

Oggi il Sud vive uno svuotamento senza precedenti. Figli ne nascono perfino meno che al Nord, i ragazzi vanno via dal Sud a studiare o a lavorare, i genitori cadono in depressione o a volte li seguono per accudire i nipoti. Restano i vecchi, i migranti, il vuoto. E le mafie, anch’esse però in parte emigrate. Il Sud fa poca impresa, non fa storia, non fa opinione. Non produce cultura: un tempo sfornava «intellettuali della Magna Grecia»; ora manco quelli. Con la seconda Repubblica non espresse più leadership nazionali. Ora, invece, per una coincidenza di fattori, abbiamo un presidente della Repubblica siciliano, un premier pugliese, un vicepremier e capo dei Cinque stelle campano e un presidente della Camera napoletano. Non accadeva da decenni. L’anno scorso il Sud ha tributato ai Cinque stelle un consenso popolare che nemmeno la Dc dei tempi migliori...
Un mix di protesta e di aspettative, diciamo un voto contro il potere e per il reddito di cittadinanza. Il Sud aveva ritrovato i Tre d’a chiazze, gli storici tribuni della plebe che occupavano a Napoli i sedili del popolo: il Masaniello-sindaco - l’ex magistrato Luigi de Magistris -, il Masaniello-leader - il guaglione Luigi Di Maio - e il Masaniello di Montecitorio, il tardo-giacobino Roberto Fico. Il resto del paesaggio al potere è targato Pd, Sicilia a parte; il più a destra è il governatore Vincenzo De Luca.
Ma, a giudicare dai sondaggi, dall’aria che si respira, dal voto in Abruzzo, il Sud sta archiviando anche quest’ultima stagione e sta imboccando un’altra strada: quella di Salvini. Cosa sta succedendo, cosa si aspettano dalla Lega?
La prima cosa da notare è che il consenso alla Lega rispecchia quello nazionale. Il Sud stavolta non vota diversamente dal Nord e dal Centro, è al loro passo. Evidentemente la percezione della realtà e della politica è comune. Ma questa conformità si rispecchia anche nei contenuti. Il Sud non chiede alla Lega un trattamento da Meridione, non solleva la questione meridionale ma la questione nazionale riguardo all’Europa e riguardo agli sbarchi dal sud del mondo. E Salvini non promette vantaggi particolari al Sud, leggi speciali, aiuti ad personam, come i redditi di cittadinanza. Il suo messaggio diretto è sicurezza, prima gli italiani, prima il popolo, stop ai migranti che premono dal basso e ai potentati che opprimono dall’alto, tutela dei confini, opere pubbliche, cantieri. Salvini appare poi colui che difende il senso religioso, la sovranità nazionale e la famiglia nell’epoca global del «politically correct». Ai tempi di Bossi la Lega tentò lo sbarco al Sud ma promettendo un’alleanza antiunitaria contro Roma. Stavolta il richiamo è opposto.

Il messaggio di Salvini attecchisce a Sud, al suo antico populismo reazionario e modernista, qualunquista e monarchico, anti-sistema ma non anti-Stato e alla sua antica anima di destra, quella destra di popolo che fu di Lauro e di Almirante o che pur votando per la Dc era cattolico-nazionale, anticomunista, conservatore e tradizionalista. Rispetto al Movimento Cinque stelle, la Lega appare un ritorno alla realtà, alle radici nazionali e popolari, ma al tempo stesso sposa lo sviluppo e non la decrescita come i grillini. A sorpresa, non si annuncia alcuna promessa di clientelismo, come è per certi versi il reddito grillino che rischia di essere un boomerang perché la platea degli inclusi sarà inferiore a quella degli esclusi che nutrono aspettative; e questa delusione genera contraccolpi, ripicche e rivolte.
A Sud, a parte le «guapperie» di alcuni sindaci come Leoluca Orlando, de Magistris e Mimmo Lucano, l’opposizione più forte alla Lega arriva da due campi opposti: la fiction sulla malavita organizzata e la malavita stessa. La prima, con Roberto Saviano ma anche con Andrea Camilleri-Montalbano, allestisce «paranze» per sbarcare i migranti (più il vate radicale Erri de Luca); la malavita, a sua volta, diffida di tutto ciò che non controlla, con cui non ha stretto patti e non ha aderenze territoriali o agganci parentali. E poi la Lega si presenta come il partito dell’ordine e della polizia. Il primo vero scoglio nell’idillio tra Sud e Salvini sarà la promessa di autonomia fatta alle regioni del Nord. E al Sud come la prenderanno? Finora non male, ma non sappiamo poi - se e quando il progetto si farà realtà - se saranno ancora della stessa idea. Intanto l’amore è sbocciato e va da Napoli a Bari, dall’Abruzzo alla Sicilia. Non solo Salvini, ma anche il Sud cambia gioco.

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Marcello Veneziani