Lo scacco di Vladimir Putin a Barack Obama
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Lo scacco di Vladimir Putin a Barack Obama

La proposta del Cremlino di mettere sotto controllo internazionale le armi chimiche di Bashar al-Assad è una via d'uscita per Obama. Ma anche uno smacco per lui

Barack Obama ha adesso un'onorevole possibilità di ritirarsi, di uscire dall'angolo in cui egli stesso si è ficcato con la sua politica sulla Siria, dalla trappola dove è rimasto da solo, isolato a livello internazionale e nel suo paese. Una via d'uscita che potrebbe evitargli una disastrosa bocciatura al Congresso e un'ulteriore perdita di consenso nell'opinione pubblica.

La mano non gli è stata tesa da un fedele collaboratore, o dal leader di un paese alleato: è stato Vladimir Putin a dargliela. Con la sua proposta di mettere sotto controllo internazionale le armi chimiche del regime di Damasco (accettata da Bashar al-Assad), il presidente russo, il Grande Competitore (insieme alla Cina) degli Stati Uniti, l'uomo con cui i rapporti sono congelati dopo il caso di Edward Snowden, ha offerto al suo collega americano la possibilità di uscire dall'empasse. Ma, così facendo, con questa mossa, allo stesso tempo ha evidenziato ancora di più la debolezza e l'assoluta mancanza di strategia di Barack Obama

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Tutto inizia martedì mattina, quando il Segretario di Stato John Kerry in una conferenza stampa a Londra afferma che Bashar al Assad ha la possibilità di evitare l'attacco americano consegnando tutte le armi chimiche in suo possesso. Sembra una dichiarazione estemporanea, basata più sulla necessità di uscire a tutti i costi dal cul de sac in cui si trova  Obama che su di un lucido calcolo tattico. Kerry sa che la situazione è molto difficile per la Casa Bianca: il Congresso è indirizzato verso il no, i sondaggi dicono che l'opposizione al blitz militare aumenta tra gli americani. Cerca in ogni modo di trovare una soluzione. Lo fa con quella uscita quasi accidentale e con la promessa che i raid saranno limitati, molto limitati, il più possibile limitati. L'ennesima retromarcia dell'amministrazione sulla portata dell'attacco militare, segno di estrema debolezza e confusione.

Quell'amo però viene raccolto. L'idea viene presa al volo dalla Russia, che la rende sua. Ci sono contatti con gli Usa e nel pomeriggio, il Cremlino si muove per renderla una proposta formale. Più tardi, fa sapere che il regime di Damasco è favorevole. Sembra essere la svolta. Le prime reazioni di Washington sono positive; nelle interviste concesse ai grandi network televisivi, Barack Obama si dice scettico (non può fare altrimenti), ma non chiude la porta. Anzi. E perché dovrebbe, visto che questo può diventare il suo Piano B dopo che il Piano A (la guerra) sembra destinato a fallire?

La tela di Vladimir

Barack Obama ha voluto far passare un concetto: se Assad si piega sulle armi chimiche, il merito è suo, delle sua minaccia a usare la forza. La Casa Bianca per evitare una sconfitta politica, è costretta a far buon viso a cattiva sorte: comunque sia, si tratta di una pessima figura internazionale. Ma, il danno è già fatto. E il presidente Usa, in questo momento ha solo la possibilità di limitarlo. Vladimir Putin gli ha dato una mano, ma gli ha anche inflitto uno smacco. E'riuscito con le armi della diplomazia laddove Obama ha fallito con la minaccia delle armi. Negli Usa si chiedono. ma non poteva pensarci prima?

Il presidente russo aveva un obiettivo nella vicenda: mantenere la sua influenza in Siria, unico paese che ospita una base militare russa al di fuori del territorio dell'ex Unione Sovietica. L'ha raggiunto. Ma non solo. Nella nuova Confrontation con gli Usa (il clima da Guerra Fredda che gli serve per ristabilire un'influenza internazionale della Russia, anche e soprattutto in Medioriente), Vladimir Putin ha segnato un punto a suo favore, gestendo la crisi siriana in modo tale da imbrigliare prima Obama per poi lanciarli una corda di salvataggio, che alla fine appare più il lazo di un cowboy che cattura la preda piuttosto che una fune alla quale attaccarsi per uscire dal pantano. 

Basta guardare la sequenza dei fatti: il leader del Cremlino ha prima negato il segnale verde a una risoluzione per l'uso della forza al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, ha poi evitato che Barack Obama potesse guadagnare consenso per la sua guerra al G20 di San Pietroburgo; a sua volta, lo stesso Putin ha alimentato l'isolamento internazionale della Casa Bianca, e infine, quando "l'avversario" era all'angolo, ha visto lo spiraglio, si è infilato direttamente nella contesa, mettendo sul piatto una soluzione pacifica al conflitto che salva capra e cavoli, Obama in primo luogo, ma che, allo stesso tempo, non fa altro che evidenziare i grossolani errori commessi dal presidente statunitense.

Una debàcle per la Casa Bianca

Solo qualche settimana fa, Barack Obama aveva annullato il faccia a faccia con Vladimir Putin a Mosca a causa dell'ospitale offerta dalla Russia a Edward Snowden. Ora, il presidente americano è costretto a dire grazie al suo rivale. Con una abilissima mossa, il leader del Cremlino ha ripreso il terreno che aveva perso quando Obama aveva deciso di sbattergli la porta in faccia. Per il prestigio internazionale russo, un ottimo colpo. Per la Casa Bianca una pericolosa debàcle, da sommare ai danni già causati (autoinflitti) dalla incredibile serie di passi falsi sulla Siria.

"E'l'ora dei dilettanti alla Casa Bianca" ha detto l'altro giorno Karl Rove, braccio destro di George W. Bush. La rivista on linePolitico ha pubblicato un pezzo dal titolo dal titolo "Gli Stati Uniti della Debolezza", una sintesi impietosa dello stato della presidenza Obama, che mai come in questo momento si trova in un difficilissime acque, con una pericolosa perdita di credibilità. Il rinvio del voto al Senato e la proposta russa potrebbero farlo uscire dall'angolo, ma l'ironia della sorte è che se questo dovesse veramente avvenire, come appare, sarebbe merito dei più forti rivali storici di questo presidente: i russi e i repubblicani.

La sua debolezza è emersa con tutta la sua forza nelle interviste che ha concesso in vista del discorso alla Nazione. Obama ha candidamente ammesso di non essere sicuro di avere i numeri per far passare la sua risoluzione al Congresso, di comprendere le ragioni per cui gli americani non vogliono l'intervento armato e ha confessato che sua moglie Michelle, al First Lady è contraria alla guerra in Siria. Per un presidente Usa non è possibile essere più solo di così. 

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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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