Stamina ed il rapporto tra giudici e scienza
ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO
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Stamina ed il rapporto tra giudici e scienza

Il processo a Vannoni ripropone quesiti mai risolti tra etica, giustizia, tecnologia

Il 27 gennaio Vannoni, guru del metodo Stamina, sotto processo a Torino per truffa e associazione a delinquere, ha chiesto di patteggiare. Il pm ha accolto la richiesta (1 anno e 10 mesi di reclusione con condizionale la pena proposta) a patto che Vannoni dia garanzia della sua precisa volontà di non procedere a nuove sperimentazioni, né in Italia né all’estero.

Molti hanno definito il patteggiamento la "morte" di Stamina.


Tutti ricordano il caso, soprattutto per le immagini forti dei bambini affetti da gravi malattie e per i loro genitori che, tenendoli in braccio, lanciavano disperati appelli ai media, invocando la prosecuzione delle cure, contro il blocco imposto nel maggio 2012.
In quel periodo, infatti, l’AIFA (Agenzia Nazionale del Farmaco) a seguito di un’ispezione disposta dalla Procura di Torino, aveva vietato agli Spedali Civili di Brescia di effettuare “prelievi, trasporti, e somministrazioni di cellule umane” in collaborazione con la Stamina Foundation ONLUS; il metodo era sponsorizzato dal suo promotore come utile cura per malattie neurodegenerativeanche molto diverse tra di loro (come la sindrome di Kennedy, la paresi cerebrale infantile, la SLA) e  consisteva, sinteticamente, nel prelievo di cellule staminali dal midollo osseo dei pazienti, nella manipolazione in vitro delle stesse cellule mediante incubazione in una particolare soluzione, ed infine nella loro reinfusione nei malati.

Molti genitori si rivolgevano ai giudici per ottenere l'accesso alle ‘cure’ proposte da Stamina e molti Tribunali accoglievano i ricorsi, di fatto autorizzando un trattamento sperimentale invasivo, decretato privo di validità scientifica ed oggi abiurato dal suo stesso promotore.
Sia chiaro, la richiesta di patteggiamento non implica un’ammissione di colpevolezza. Ma la validità del metodo Stamina è stata negata per ben due volte dal Comitato scientifico per la sperimentazione nominato dal Ministero della Salute  (nel settembre 2013 e poi nell’ottobre 2014), smentita dalla letteratura scientifica, attaccata dall’AIFA edalle Autorità penali. Eppure, nonostante sembri che non vi siano dubbi, ormai, circa l’infondatezza del metodo, sono moltissime le pronunce che hanno imposto coattivamente la prosecuzione delle infusioni.

Le decisioni sono giunte da tutta Italia, per lo più in procedimenti cautelari, promossi d’urgenza, a seguito di un’istruzione nulla o del tutto sommaria, da parte di giudici non specializzati in materia, in genere appartenenti alle Sezioni di diritto del lavoro; talvolta gli stessi Giudici esprimevano la propria perplessità in merito al trattamento, ma lo autorizzavano comunque in base ad un principio di “difesa a tutta oltranza” del diritto alla salute.

Viene dunque spontaneo chiedersi, oggi e con una dose fin troppo abbondante ed amara del ‘senno di poi’, se nel rendere effettivo il fondamentale ‘diritto alla salute’ i Tribunali in questione avessero a loro disposizione tutti gli strumenti utili per una corretta valutazione, ovvero se vi siano ancora molti passi da fare per rendere eufonico il rapporto tra i Giudici e la Scienza.

Di fatto, nel caso Stamina, i Tribunali hanno dimostrato di non essere in  grado di distinguere tra scienza e pseudoscienza, e quindi tra un trattamento medico o non medico, benefico, dannosoo innocuo. 

La tecnologia, è innegabile, corre più veloce della Legge ed invade il campo della medicina, della salute, delle scienze e, infine, del diritto; sempre più spesso i magistrati sono chiamati a pronunciarsi laddove il Legislatore non è ancora arrivato: come nel caso della fecondazione eterologa, della maternità surrogata,dell’eutanasia, o dell’accesso a cure particolari, sperimentali o palliative, da parte di soggetti incapaci di intendere e volere.

In tale contesto, i Tribunali sono dunque pericolosamente costretti a compiere valutazioni di natura prevalentemente etica, più che giuridica; ma l’etica, a differenza dell’equità, non è un criterio di giudizio ammesso dalla legge.
Non posso non pensare come la disperazione dei malati abbia subito una duplice illusione, trovando falso conforto prima in una cura-non cura e, poi, in una legge-non legge; dove, se non di fronte a questa disperazione, dobbiamo sentire il dovere di trovare delle soluzioni?

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Daniela Missaglia

Avvocato matrimonialista e cassazionista, è specializzata in Diritto di famiglia e in Diritto della persona. Grazie alla sua pluridecennale esperienza è spesso ospite in trasmissioni televisive sulle reti Rai e Mediaset. Per i suoi pareri legali interviene anche su giornali e network radiofonici. Info: https://www.missagliadevellis.com/daniela-missaglia

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