Ghouta orientale
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Armi chimiche: chi controlla gli arsenali nel mondo

La mappa dei depositi di gas e agenti chimici, ora che l'incubo è tornato con i bombardamenti in Siria

Sono tornate alla ribalta prima con il caso Skripal in Russia e ora in modo ben più drammatico, con le morti in Siria. Sono le armi chimiche che terrorizzano il pianeta dagli anni '60, dalle prime sperimentazioni.

Ma dove si trovano gli arsenali chimici più pericolosi e grandi al mondo?

La produzione russa

In Russia, tra gli anni '70 e gli anni '90, è stato sviluppato il cosiddetto programma Novichok, per creare l'A-234, l'agente nervino che sarebbe stato usato per avvelenare Sergei Skripal. A confermare l'esistenza del progetto è stato di recente Leonid Rink, lo scienziato che coordinò i lavori: "Al Novichok lavorò un grosso gruppo di esperti a Sichany e Mosca, e i risultati furono ottimi", ha dichiarato Rink all'agenzia russa Ria Novosti, che lo ha definito il creatore del Novichok.

A smentire categoricamente l'esistenza del programma, invece, sono stati sia il viceministro degli Esteri di Mosca, Serghei Ryabkov, che il delegato russo alle Nazioni Unite, Vassily Nebenzya, che ha rispedito al mittente le accuse: "La fonte più probabile di questo agente sono i Paesi che hanno portato avanti ricerche su queste armi, compresa la Gran Bretagna".

A-234 o altra sostanza?

Il lavoro degli ispettori dell'OPCW, in corso in Gran Bretagna, mira a fugare i dubbi sull'impiego dell'A-234 nel Regno Unito. Si tratta di una sostanza ancora più potente del Vx,l'agente chimico nervino usato per uccidere Kim Jong-nam, il fratellastro del leader nordcoreano Kim Jong-un, all'aeroporto di Kuala Lumpur, in Malaysia. La famiglia dei "nervini" include diversi agenti, dei quali il Vx è considerato di gran lunga il più letale: inodore, di consistenza oleosa e colore giallo paglierino, ha la caratteristica di risultare tossico anche una esposizione di pochi minuti. Mantiene la propria tossicità anche fino a 6 giorni al suolo e, in condizioni di clima freddo, potrebbe risultare fatale anche dopo un mese.

È anche molto versatile, perché può essere impiegato tramite inalazione, ingestione o contatto (con gli occhi o la pelle): agisce paralizzando i muscoli, compreso il diaframma, dunque provoca la morte per asfissia.

Messo al bando con la Convenzione sulle armi chimiche del 1993, oltre alla Russia, era (e si ritiene sia ancora) in possesso di Paesi come Siria, Iraq e Corea del Nord.

Novichok, armi chimiche e laboratori nel mondo

Il Novichok non è presente nell'elenco dell'OPCW e non è ancora chiaro quali siano i suoi componenti chimici. Questo è uno dei nodi del caso Skripal: il nome degli specifici elementi che compongono questo agente nervino sono fondamentali perché alcuni possono essere detenuti in modo legale, secondo la Convenzione sulle armi chimiche (CWC o di Parigi).

Il loro impiego civile è ammesso, ad esempio, in alcuni settori industriali, agricoli, medici e di ricerca. L'accordo internazionale ne ammette l'uso solo in quantità stabilite. Per questo gli ispettori delle Nazioni Unite sono al lavoro per identificarli.

A fare ricerche sul Novichok, in laboratori off limits se non a pochissimi addetti, non sarebbe stata solo la Russia, ma anche Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Usa e persino Gran Bretagna. A sostenerlo è stata la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, che ha ricordato come uno degli scienziati russi che avevano lavorato al programma Novichok, Vil Mirzayanov, avesse condiviso le sue informazioni con stati membri della Nato, una volta fuggito e accolto negli Usa.

La convenzione sulle armi chimiche: chi ha detto no

Dal 1997 è in vigore la Convenzione sulle armi chimiche, firmata quattro anni prima  da 192 Paesi membri per mettere al bando e distruggere questo tipo di sostanze, stabilendo anche ispezioni periodiche per accertare eventuali violazioni. I siti individuati all'epoca erano 5.426.

Gli unici quattro Stati che non hanno aderito sono la Corea del Nord, Israele, l'Egitto e il Sud Sudan, che però di recente ha iniziato il processo di inserimento tra i firmatari.

Israele ed Egitto

Nessuno dei due Paesi ha ratificato la Convenzione sulle armi chimiche, in entrambi i casi per ragioni di "deterrenza":  il loro possesso avrebbe la funzione di disincentivare possibili attacchi nemici, come la Siria, il Libano o altri. Secondo la Swedish Defence Research Agency, Israele avrebbe sviluppato un programma potenzialmente in grado di produrre agenti nervini come il Vx, gas mostarda come il Sarin, ma anche agenti cosiddetti "binari", composti da due sostanze di sé innocue, ma che unite diventerebbero tossiche.

Molte anche le infrastrutture dual use: industrie chimiche civili, capaci però anche di trasformarsi in produttori di armi vere e proprie.

Il tutto pur aderendo alle dottrine di non proliferazione delle armi di distruzione di massa.

L'Egitto, invece, ufficialmente ha dichiarato che non ratificherà il CWC fino a che non lo farà Israele stesso. E' in possesso di arsenali chimici usati in passato, ad esempio contro lo Yemen negli anni '60.

Corea del Nord e Sud Sudan

Il regime di Pyongyang detiene armi chimiche ed esistono prove del loro utilizzo anche di recente, come in occasione della morte di Kim Jong-nam, fratellastro di Kim-Jong-un. Secondo RealClearDefence, la Corea del Nord potrebbe contare su 5 mila tonnellate di sostanze, realizzate con 25 categorie differenti, da impiegare in modo autonomo o montandole sulle testate missilistiche sviluppate negli ultimi anni.

Sempre in Asia, esistono denunce relative all'uso di agenti chimici da parte di ribelli birmani (anche se mancano prove concrete), mentre in Sud Sudan è stata Amnesty International a denunciare nel 2017 le torture subite da alcuni giornalisti della tv britannica Channel 4, che stavano investigando proprio sull'impiego di armi chimiche in diversi villaggi del Paese contro i ribelli.

Gli stock in Russia e Usa

La Russia, il detentore dei maggiori depositi al mondo, aveva inizialmente fissato al 2020 la ratifica completa del CWC, ma a settembre 2017 ha annunciato di aver concluso il programma di distruzione del materiale chimico stoccato sul proprio territorio, con tre anni di anticipo.

Secondo gli ispettori del CWC, nell'ottobre del 2016 il 97% dei depositi mondiali di agenti chimici era stato distrutto (67.098 tonnellate su 72.304), ma il processo di eliminazione richiede molti anni. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno dichiarato di essersi disfati del 90% del materiale e di poter completare il processo entro il 2021-2022.

Il vero problema è però rappresentato dalle armi chimiche non regolarmente "denunciate". Ancora un volta la storia riporta al ventennio tra il 1970 e il 1990, quando venne sviluppato il programma Novichok e quando il Sovietic Scientific Research Institute for Organic Chemistry and Technoogy lavorò anche ad altre armi chimiche, sperimentate nel poligono di Nukus, in Uzbekistan.

Proprio nel paese ex sovietico, precisamente nella base K2 di Karshi-Khanabad, la BBC nel 2002 ha riferito della scoperta statunitense di tracce di sostanze chimiche altamente tossiche.

Secondo quanto pubblicato nel 1992 su Moskovskiye Novosti dagli scienziati russi Vil Mirzayanov e Lev Fedorov, nei depositi ex sovietici sarebbero rimaste accantonate armi di terza generazione, che in anni più recenti potrebbero essere state trasferite nelle basi russe di Tartus e Latakia, in Siria, o cedute a Paesi "amici".

La Siria e le armi chimiche

Il regime di Damasco, pur essendo tra i firmatari del CWC, è uno dei possessori di arsenali chimici più pericolosi al mondo. Le prime denunce su depositi e usi di agenti tossici nocivi risalgono al 2013, quando venne inviata all'Onu una denuncia della United Nations Mission to Investigate Allegations of the Use of Chemical Weapons in the Syrian Arab Republic. Nel documento di parlava dell'impiego di sostanze come il Sarin nelle località di Khan Al Asal, Saraqueb e Sheik Maqsood.

Altri arsenali sono indicati nel territorio siriano, alcuni di sospetta provenienza russa, altri invece frutto di furti e saccheggi nei depositi iracheni dei tempi di Saddam Hussein, come quello di Muthanna. E' qui che i militari statunitensi rimasero contaminati da gas Sarin, una volta scoperto l'impianto.

Parte di questo arsenale sarebbe, però, anche caduto nelle mani dei miliziani dell'Isis.

Anche in Tagikistan, altra ex repubblica sovietica, sono presenti depositi di armi chimiche che risalgono ai tempi del Patto di Varsavia.

L'Italia e la presenza di ordigni chimici

Il nostro Paese ha sottoscritto la Convenzione sulle armi chimiche per la distruzione di materiale risalente per lo più alla Seconda Guerra Mondiale. Se sulla quantità di armi prodotte dall'Italia vige il segreto militare, sulla qualità esistono diversi documenti che indicano l'impiego di iprite (senape di zolfo) soprattutto tra il 1935 e il 1945, in particolare per bombe sganciate in Etiopia.

Sono invece stimate in 200 mila gli ordigni chimici stoccati dagli anglo-americani in porti e aeroporti del Sud. Secondo un documento del 2001 dell'Icram (oggi Ispra), la nave statunitense Uss John Hervey venne affondata nei pressi di Bari, sversando in mare un ingente quantitativo di iprite.

Secondo Legambiente, tra il 1944 e il 1947 sono diversi gli ordigni chimici scaricati al largo delle coste italiane, come Molfetta e Pesaro, mentre nel golfo di Napoli è stata denunciata la presenza di una discarica sottomarina di armi chimiche.

E' sempre l'organizzazione ambientalista a denunciare come il basso Adriatico sia stato usato dai caccia Nato come area di sgancio di materiale bellico tossico durante il conflitto in Kosovo del 1999.

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Eleonora Lorusso