Siria, un nemico irriconoscibile
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Siria, un nemico irriconoscibile

Nel pot-pourri siriano si segnalano diserzioni, omicidi e scontri interni tra le diverse anime dell’opposizione

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“Io conosco i nomi di tutti i loro emiri e non c’è posto dove si possano nascondere. Questa sarà una guerra totale”. A parlare con questi toni alla BBC inglese, è un leader dei ribelli dell’Esercito Libero Siriano (ESL). Ma la notizia è che non si riferisce all’esercito di Assad, ce l’ha invece con il fronte filo-qaedista che sino a poco tempo fa ha lottato a fianco dell’esercito  ribelle contro il regime, mentre oggi si sta accreditando come nuovo nemico dei ribelli stessi.

Tanto per dire, a quest’uomo è stato sequestrato il fratello dagli islamisti di Al Nusra e ha dovuto pagare 50mila dollari di riscatto solo per riaverlo indietro. Cosa che però non è avvenuta e ora, grazie anche a quei soldi, i jihadisti finanziano attività lucrative e non invece la guerra contro Bashar Assad, per la quale dicevano di essere venuti in Siria.

A Latakia solo pochi giorni fa è stato ucciso un anziano leader dell’Esercito Siriano Libero, Kamal Hamami - freddato dagli jihadisti a un posto di blocco - e si ha la netta sensazione che si sia ormai passato il segno e che la frattura interna alla galassia ribelle sia del tutto insanabile.

Rivolgere le armi contro i “compagni di lotta”, infatti, è un gesto che mina le ragioni stesse dell’esistenza di un’opposizione al regime alawita, e aiuta a chiarire non solo come il fronte anti-Assad sia ormai profondamente diviso ma anche come questa vicenda sia destinata a modificare d’ora in avanti le dinamiche di una guerra civile sempre più intricata e dove il nemico appare sempre meno riconoscibile.

Lo Stato Islamico nell’Iraq e nel Levante

Qualcuno, tra le fila dei ribelli, ormai ammette candidamente (pur se a malincuore) che oggi Assad è il “minore tra i due mali” e che vedere colonne di soldataglie dedite all’imposizione della legge coranica - o meglio, di una sua certa interpretazione - agli altri combattenti, non è quello che desideravano quando si sono arruolati per sconfiggere la dittatura in Siria.

Islamici o laici, moderati o meno, i ribelli dell’ESL non credono nell’istituzione di un califfato islamico per il post-regime e, per tale ragione, non si possono più fidare o affidare agli insorti islamisti. I quali al momento si stanno organizzando autonomamente e si vanno aggregando intorno alla siglaStato Islamico nell’Iraq e nel Levante.

Al netto delle operazioni di guerra da coordinare, il problema che si è venuto a creare con simili drappelli di uomini (sparsi su tutto il territorio), consiste soprattutto nelle sacche di resistenza indipendenti e indisciplinate, che rispondono solo a se stesse e ad Al Qaeda. Come possa proseguire la guerra ad Assad in questo modo, resta perciò un vero mistero.

In seguito a simili episodi, intanto, un numero consistente di ribelli avrebbe già deposto le armi in questi ultimi giorni, usufruendo di un’amnistia offerta opportunamente dal regime, consapevole delle difficoltà che sta passando la galassia ribelle. Il fenomeno - apparentemente in crescita - sarebbe motivato non solo dagli scarsi risultati della rivoluzione nel suo complesso o dalla tenacia del regime, ma proprio dall’ascesa dell’estremismo tra le fila dell’opposizione. Questo, più d’ogni altro aspetto, potrebbe minare l’esito della guerra e spegnere le speranze degli insorti.

Le operazioni di guerra: Homs, Aleppo, Damasco

Ciò nonostante, l’esercito ribelle minimizza, riferendo che il fenomeno è limitato a casi isolati. Ma è evidente che tutto ciò aiuta non poco l’esercito regolare, pur se colpito al cuore il 19 luglio all’aeroporto internazionale di Damasco, dove si sono scontrati duramente l’ESL e le forze del regime. I militari fedeli ad Assad sembrano comunque in grado mantenere saldamente le posizioni e di avanzare a Homs e dintorni.

Mentre è intorno ad Aleppo che la situazione resta incerta: il 22 luglio i ribelli hanno occupato il villaggio di Khan al-Assal (nella provincia di Aleppo) e questo risultato potrebbe consentire all’ESL di raggiungere presto l’Accademia Militare, centro operativo delle forze del regime nell’area. Il giorno successivo, l’ESL ha quindi sferrato un’altra offensiva per impadronirsi della maggiore base militare del regime a Idlib, e combattimenti si sono registrati anche a est di Latakia.

Aerei militari del regime hanno risposto bombardando il 25 luglio alcune postazioni ribelli (segnalati altri bombardamenti a Daraa, Hama, Raqa e Idlib), mentre duri scontri si sono concentrati ancora presso l’antica cittadella di Homs.

Conclusioni

In ultima analisi, la guerra civile ha scavato distanze così profonde tra i vari contendenti che nessuno sembra più in grado di offrire un’ipotesi credibile per dare un futuro al Paese. Né il vincitore dalla guerra - se la guerra finirà e se si potrà riconoscere un vincitore - potrà dirsi certo di riuscire a ricucire un tessuto sociale che si è già dissolto tra le due macroregioni di Damasco e Aleppo, così come in Giordania, Libano e Turchia, dove si sono riversati milioni di profughi che non hanno più un’identità né una patria.

Per il resto, l’unica certezza è che l’Occidente resta colpevole di aver lasciato che la Siria si autodistruggesse. E, adesso che la frammentazione è compiuta, un suo intervento sarebbe quanto mai incerto e forse ancor più devastante.

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Luciano Tirinnanzi