Studenti, proposta per non fermare scuola per tre mesi in estate
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Una proposta per non fermare più la scuola per tre mesi

Siamo alle solite, la scuola chiude i battenti e milioni di studenti da oggi saranno parcheggiati da qualche parte. Niente di nuovo: ogni anno ci si accorge che tre mesi di vacanza sono difficilmente sostenibili per le famiglie e anche pedagogicamente poco utili agli studenti, ma nessuno fa nulla. Ecco una proposta.

L’Italia è una repubblica fondata sugli oratori estivi, sui nonni e – per chi può permetterselo – su vari e onerosi campi estivi basati sullo sport e sull’inglese. Ed è così perché la scuola termina per tutti l’8 giugno per riprendere quattordici settimane dopo, il 12 settembre, mentre i genitori, entrambi lavoratori, di settimane di ferie estive ne hanno mediamente quattro. Serve quindi sempre impiegare in qualche modo per dieci settimane i ragazzi - fin dai più piccoli della primaria - che non possono stare a casa da soli e che devono essere iscritti ad attività di vario tipo, dando spazio alla creatività dei genitori, attingendo al loro conto in banca per i summer camp, oppure confidando sulla disponibilità dei parenti, per lo più nonni che però sono sempre più anziani, e non ci sono per tutti.

Quello italiano è un sistema ancora basato sulle lunghe vacanze gestite da madri non lavoratrici, da nonni presenti, vicini e in pensione, è un sistema che conta sulla casa in villeggiatura di proprietà o di amici, vicini, conoscenti. E’ un sistema modellato sulla società di quaranta, cinquanta, sessanta anni fa che ora non è più proponibile dal punto di vista educativo, gestionale, pedagogico e di pari opportunità.

Sgomberiamo il campo con alcune premesse: non ha senso tirare bordate sui tre mesi di vacanza dei docenti - che tre mesi non sono e annesse infinite polemiche - perché la questione è qui rivolta alla giornata degli studenti con uno sguardo sistemico e di riforma. Non è vero nemmeno che in Italia e solo in Italia ci siano tutte queste vacanze, e basta guardare il numero di giorni di lezione per accorgersi che l’Italia è tutto sommato nella media. E’ la concentrazione estiva che genera il corto circuito.

Che fare quindi? Lo Stato non garantisce un sistema ricreativo ed educativo continuativo, in qualche modo agganciato alle scuole, che certamente costerebbe denaro e pianificazione, che possa soddisfare una richiesta sempre più stringente per le famiglie che vedono la fine della scuola come un vero problema di gestione dei tempi, oltre che una questione economica rilevante.

La soluzione non può essere certo allungare la scuola, prolungando la didattica di venti o trenta giorni, considerando tutto il mese di giugno e i primi giorni di settembre, e magari dotando le scuole di costosissimi e inquinanti sistemi di condizionamento. Sarebbe una toppa – come si dice – peggiore del buco: più stress, più disagio e l’istituzione scolastica vissuta come un parcheggio a tutte le età, con tanto di rivolta di chi a scuola lavora. A torto o a ragione, non è questo il tema in discussione.

Ripensare all’estate sarebbe invece un’occasione da sfruttare con lungimiranza per mettere alla prova una proposta di scuola diversa, dando spazio a modi di insegnamento differenti, senza banchi, posti assegnati, quaderni e valutazioni, dando vita a una proposta che fosse anche una sperimentazione didattica diversa, a cento anni dalla riforma Gentile che ancora oggi dà forma alle nostre scuole. Dal 12 al 30 giugno nelle scuole primarie e medie si potrebbero realizzare tre settimane incentrate per due giorni sullo sport, per due giorni sull’arte e per un giorno sull’inglese, vale a dire sui grandi assenti – o sui grandi bisogni – della scuola e per i nostri giovani.

E’ difficile strutturare in trenta righe un piano di riforma, ma da qualche parte bisognerà iniziare e l’abbrivio in questa caso nasce dalla possibilità di sfruttare il patrimonio artistico e culturale italiano, organizzando visite e approfondimenti, ma anche dando spazio a laboratori di vario tipo in aula, così come un laboratorio linguistico sarebbe necessario per i nostri ragazzi, sempre al gancio se si tratta di comunicare in inglese, sia nella comprensione che nell’espressione. E poi lo sport, con la necessità reale di investire in strutture che siano poi sfruttate e consumate dall’utilizzo.

Sono spunti che invitano a pensare a un modello diverso, superando i confini dell’aula ma tenendo la scuola come uno dei cardini della nostra società. Sono spunti che suggeriscono di impiegare risorse anche oltre il reclutamento scolastico canonico, affidandosi a docenti madre lingua per l’inglese, a restauratori, artigiani e musicisti per la parte artistica, a istruttori e atleti per lo sport. Sono spunti che non fanno i conti con i soldi, ma per l’istruzione e l’educazione dei più piccoli non si deve badare a spese. O no?

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Marcello Bramati