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Alessandro Di Meo/Ansa
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Dal Dna il volto dell'assassino

Sono ora a disposizione del Ris, il reparto delle investigazioni scientifiche dei Carabinieri, metodi che permettono di risalire dal Dna lasciato sulla scena del crimine all'identikit del presunto assassino

Se l’assassino mente, il Dna dice la verità. Decifrarla è stato da sempre un obiettivo difficile da raggiungere, ma oggi la genetica forense è entrata in una fase decisiva. La possibilità di predire le fattezze fisiche del viso e la provenienza etno-geografica di un presunto colpevole sulla base delle tracce del Dna lasciate sul luogo del delitto è ormai concreta.

Si stanno sperimentando diversi metodi, tra i quali il cosiddetto “Dna Phenotyping”, che mira a un identikit il più possibile preciso sulla base delle informazioni genetiche, in previsione di una possibile futura applicazione nei kit a disposizione delle forze di polizia di molti Paesi, e in particolare dei reparti del RIS, il reparto di investigazioni dell’Arma dei Carabinieri deputato a svolgere accertamenti tecnico-scientifici.

Da molti anni, l’identificazione di un presunto colpevole viene fatta comparando le informazioni ricavate dal materiale genetico trovato sul luogo del delitto con quelle di un possibile sospettato o di soggetti presenti nella Banca Dati Nazionale del DNA. Vi sono infatti nel genoma alcune sequenze ripetute per un numero di volte che varia da individuo a individuo e che possono essere utilizzate per identificare un colpevole.

Anche se questo metodo resterà un punto di riferimento nella ricerca, i suoi limiti sono evidenti: se il presunto colpevole non è già conosciuto dagli investigatori, o se il suo profilo del DNA non è mai stato censito, il metodo della comparazione del Dna è un’arma spuntata. Il Maggiore Filippo Barni, biologo della Sezione di Biologia Forense del Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) di Roma, dice: “Ci sono due importantissimi sviluppi nella ricerca genetica forense che già oggi permettono di facilitare le indagini.

Il primo è frutto di una ricerca condotta in collaborazione tra RIS di Roma, il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie "Charles Darwin" della Sapienza Università di Roma e il Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Torino che sarà a breve pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Forensic Science International: Geneticse che, rispetto ai sistemi commerciali attualmente a disposizione, è in grado di migliorare notevolmente l’accuratezza di predizione dell’origine etnica e geografica di un individuo fino ad un livello di oltre il 90%.Per fare un esempio: riusciamo a sapere se una traccia di Dna appartiene a una persona originaria dell’Europa dell’est o del sud o se viene dal nord Africa o se è asiatico». 

L’individuazione della discendenza etnica e dell’origine geografica con questo metodo si basa sulla cosiddetta “analisi statistica multivariata” che viene effettuata – e questo è un ulteriore grande vantaggio di questo approccio – utilizzando i dati di tipizzazione del DNA comunemente impiegati nella identificazione personale. Si cerca, in particolare, di valutare le differenze tra le strutture genetiche esistenti tra popolazioni “diverse”, cioè che appartengono a differenti etnie ed origini biogeografiche, per poter predire a quale di questi gruppi appartenga un individuo ignoto il cui DNA è stato rilevato sulla scena di un crimine. 

È evidente che tanto maggiori saranno le differenze genetiche tra popolazioni, quanto più sarà possibile predire la provenienza di un individuo. Popolazioni molto divergenti tra loro in termini genetici (ad es. le popolazioni africane sub-sahariane, le popolazioni asiatiche, etc.) consentiranno una risoluzione ed una attendibilità di classificazione molto migliore rispetto a popolazioni che si sono “geneticamente mescolate” tra di loro oppure differenziate in tempi recenti.

«Un secondo importante sviluppo della ricerca genetica forense riguarda il phenotyping, una nuova tecnica che ci consente di predire il colore degli occhi, della pelle e dei capelli» aggiunge il Maggiore Barni che precisa «questa stessa tecnica permetterà a breve di risalire ad altre caratteristiche come la morfologia dei capelli (ricci o lisci), la presenza di calvizie e di lentiggini, la stima dell’altezza, e nei prossimi anni, a caratteristiche cranio-facciali come la forma del viso, del naso e della bocca».

Alcune di queste caratteristiche antroposomatiche sono attualmente già analizzabili mediante sistemi di analisi  prodotti da diverse aziende straniere, come la Thermo Fisher Scientific o la Illumina, che produrranno presto versioni più evolute. « Il kit che permette l’attribuzione etno-geograficae il colore degli occhi e dei capelli è in nostro possesso da pochissimo e, vista la complessità e l’onerosità di tale approccio, potrà essere usato in casi giudiziari solo dietro esplicita richiesta delle autorità competenti» conclude il Maggiore Barni. 

Uno dei biologi che ha collaborato allo studio degli scienziati del RIS, Fulvio Cruciani, professore della Sapienza nel Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”, spiega:« Il punto chiave di queste ricerche risiede nel fatto che gran parte della variazione fenotipica umana è determinata geneticamente. In particolare, la diversità dei caratteri visibili dipende principalmente da polimorfismi per singolo nucleotide, ovvero delle variazioni di una singola unità della catena del Dna. Analizzando specifici polimorfismi del Dna è quindi possibile dedurre i tratti somatici di un ignoto a partire da un qualsiasi reperto forense».

Il problema è che la genetica non determina totalmente le caratteristiche fisiche di un individuo, in quanto queste sono modulate anche da fattori ambientali. Per esempio, l’altezza raggiunta in età adulta è influenzata dall’alimentazione, lo stress e altri fattori ambientali. «Quindi la tecnica del phenotyping è molto precisa per quelle caratteristiche, come il colore degli occhi, che non dipendono dall’ambiente e meno precisa per quelle caratteristiche come l’altezza, dove la predizione è complicata sia dal numero elevato di geni coinvolti che dalle influenze ambientali. Il colore dell’iride oggi può essere predetto con un’accuratezza maggiore del 93 per cento, mentre siamo molto lontani dal riuscire a predire anche in modo approssimativo un carattere complesso come l’altezza» conclude Cruciani.

Per comprendere quanto queste nuove ricerche potranno essere utili, se accoppiate a quelle di comparazione già in uso, si può citare un episodio avvenuto nella contea inglese del Leicestershire, nel 1983, quando in una zona isolata fu ritrovato il corpo di una giovane donna di nome Lynda Mann. Dalle analisi del liquido seminale ritrovato e analizzato con le tecniche allora disponibili si comprese che poteva appartenere al 10 per cento della popolazione.

Il caso rimase irrisolto finché un’altra ragazza coetanea di Lynda fu uccisa e non fu ritrovato lo stesso Dna sul luogo del reato. Nel frattempo un diciassettenne del luogo si dichiarò colpevole, ma la comparazione dei due Dna rivelò che si trattava di un mitomane. A quel punto, data la gravità del caso, le autorità decisero di prelevare un campione di sangue a circa cinquemila uomini residenti nella contea.

Purtroppo, nonostante l’enorme dispendio di denaro ed energia, il profilo genetico dell’omicida era diverso da tutti quelli prelevati. Il caso sembrava ormai irrisolto quado nel 1987 ci fu la svolta nelle indagini: un tale si vantò di aver accettato duecento sterline da un amico, Colin Pitchfork, uomo sposato e con figli al di sopra di ogni sospetto, per fornire al suo posto un campione di sangue. Le analisi comparative del Dna identificarono Pitchfork come l’assassino, che fu poi condannato all’ergastolo per duplice omicidio aggravato. 

Questa storia insegna che, quando le informazioni genetiche del colpevole non possono essere comparate con altre disponibili nella banca dati dei sospetti, solo un colpo di fortuna può talvolta aiutare gli inquirenti. In questi casi, sapere che un individuo ha, per esempio, occhi azzurri, pelle chiara, lentiggini, calvizie, capelli ricci e altezza di uno e novanta, può essere una discriminante importante per concentrare le analisi degli investigatori laddove sia necessario. 

Metodi della genetica piuttosto simili stanno dando risultati eccellenti nella ricostruzione delle origini evolutive della nostra specie. Qualche anno fa uno studio su Science ha determinato le caratteristiche somatiche di due individui Homo neanderthalensis analizzando un loro gene e ha stabilito che avevano pelle chiara e capelli rossi, caratteristiche molto divergenti dalle nostre. Un ulteriore indizio che non ci siamo evoluti dagli uomini di Neanderthal.

Insomma questi ultimi sono solo nostri cugini. Ma ancora più eclatante è il caso di Homo di Denisova, un gruppo di umani vissuto circa 40mila anni fa di cui è stato ricostruito il volto con una tecnica che, sebbene diversa dal phenotyping, pur sempre indaga quali geni sono espressi in un reperto di Dna antico.

Queste stesse ricerche testimoniano come sia possibile trovare Dna ancora non deteriorato, quando le condizioni ambientali lo permettono, dopo migliaia di anni permettendo così importanti conclusioni. Un monito per tutti quelli che criticano le ricostruzioni sulla base del Dna nei delitti che hanno recentemente acceso il dibattito sui media. Dai casi del delitto dell’Olgiata fino a quelli di Yara Gambirasio a Chiara Poggi e molti altri, in tutti questi casi sono state inflitte condanne anche sulla base dei tradizionali accertamenti di tipizzazione del DNA. Ma altri delitti aspettano una soluzione. È lecito supporre che nel futuro sarà sempre più difficile sfuggire alla maglia degli inquirenti.

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Luca Sciortino