Perché Claudio Scajola è stato assolto
Il giudice ha ritenuto credibile la versione dell'ex ministro. Chi in effetti avrebbe mai pagato con assegni (consapevolmente) una parte del prezzo «in nero»? Ma Scajola ha anche depositato un documento a sorpresa....
Claudio Scajola assolto perché il fatto non costituisce reato. La sorpresa è stata grande. Eppure, già nell'ottobre 2010, Panorama aveva scritto che, sullo scandalo mediatico-giudiziario scatenato sulla compravendita della casa romana di via del Fagutale i dubbi erano... grandi come una casa. Negli interrogatori, infatti, nessun teste aveva dichiarato (contrariamente a quanto nell'aprile 2010 avevano scritto tutti giornali) che Scajola avesse visto o saputo che parte della cifra era stata pagata dal costruttore Diego Anemone. Ma sulla sentenza ha probabilmente giocato anche un meccanismo temporale e soprattutto l'efficace difesa di Scajola.
Secondo l'accusa, retta dai pubblici ministeri romani Ilaria Calò e Roberto Felici (che nella sua requisitoria, incdentalmente, ha avuto la pessima idea di sostenere che «il Tribunale del popolo aveva già espresso la sua condanna» sul comportamento del ministro, come se l'opinione pubblica potesse o dovesse influenzare il giudice) il costruttore Anemone aveva pagato parte della somma (1,1 milioni di euro su un totale di 1,7) versata per l'immobile alle proprietarie, le due sorelle Papa: 1 milione di euro circa al rogito del 7 luglio 2004 e il resto (altri 100 mila euro) con i lavori condotti sempre da un'impresa del gruppo Anemone, iniziati nel 2005 e terminati nel maggio 2006, quando l'ex ministro si era trasferito nella casa.
Il conteggio della prescrizione sarebbe quindi dovuto partire da quel momento, oppure (al più tardi) dall'aprile 2007, con la presentazione dei bilanci del gruppo Anemone dove non veniva annotata la «donazione» a favore di Scajola. Per la difesa dell'ex ministro, affidata all'avvocato Giorgio Perroni, tutto andava invece retrodatato di un anno: nella primavera del 2005, infatti, i lavori di ristrutturazione erano già terminati e tutte le accuse, a questo punto dovevano considerarsi prescritte.
Scajolain una delle ultime udienze, il 30 settembre 2013, aveva poi depositato una nota del Dipartimento di pubblica sicurezza datata 23 marzo 2005. In quella nota il ministero dell'Interno comunicava al servizio scorte che l'allora ministro per l'attuazione del Programma si era trasferito in via del Fagutale. Quel fatto dimostrava, al di là di ogni ragionevole dubbio, che a quella data i lavori di ristrutturazione erano già terminati perché l'ex ministro già viveva nella casa. Il proscioglimento di Anemone per intervenuta prescrizione del reato potrebbe essere legato proprio a questo documento.
Ma sempre nell'udienza del 30 settembre Scajola aveva anche spiegato ai giudici, in modo decisamente credibile e convincente, di non avere mai detto che la casa di via del Fagutale era stata comprata “a sua insaputa”. «Io pensavo di averla pagata a quotazioni di mercato» aveva dichiarato Scajola «però non avevo mai parlato del prezzo con le sorelle Papa, le proprietarie, ma soltanto con Anemone».
La ricerca della casa era stata inizialmente affidata da Scajola all'ex provveditore ai lavori pubblici Angelo Balducci. «Era stato lui» aveva detto l'ex ministro «a riferirmi che l'appartamento era stato già opzionato da Anemone, il quale era disposto a cederlo per 700 mila euro. Verificai anche sul sito degli agenti immobiliari italiani e la loro quotazione non si discostava di molto da questa. Forse avrei dovuto metterci più attenzione, ma avevo delegato Anemone e Balducci, con i quali c'era un rapporto di stima. Quando ho scoperto dai giornali il prezzo effettivo dell'appartamento sono rimasto perplesso. Forse c'era stata la ricerca di benevolenza nei miei confronti».
Scajola aveva aggiunto che il rogito davanti al notaio era stato firmato «in una saletta del ministero», che lui si era limitato «a firmare, a consegnare gli assegni e a pagare i 66.600 euro del notaio». Aveva aggiunto di avere saputo soltanto nell'aprile 2010, dai giornali, degli 80 assegni da 1 milione consegnati quello stesso 7 luglio 2004 alle sorelle Papa, per conto di Anemone, dall'architetto factotum Angelo Zampolini. Scajola aveva avuto anche gioco nel dimostrare la sua inconsapevolezza: se il pagamento era parzialmente in nero, effettuarloo con assegni circolari sarebbe stato in effetti un controsenso totale.
La sentenza emessa a Roma lunedì 27 gennaio dimostra che il giudice monocratico Eleonora Santolini ha creduto in pieno a questa versione dei fatti. In caso contrario, il giudice avrebbe potuto limitarsi, anche per Scajola, al proscioglimento per prescrizione del reato. Il fatto che abbia optato per la formula «perché il fatto non costituisce reato» lascia credere che il giudice abbia ritenuto del tutto credibile la versione dell'ex ministro: e cioè «io ho acquistato un appartamento convinto di pagarlo 700 mila euro, mentre alle mie spalle qualcun altro pagava una differenza rispetto al prezzo reale».
Resta da capire, adesso, perché mai Anemone (o chi per lui) abbia sostenuto l'esborso. Per saperlo non resta che attendere le motivazioni della sentenza: servirà un mese o poco più.