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(Getty Images)
Salute

Chi aspetta un vaccino e chi aspetta un cuore

In pandemia sono diminuiti i donatori. Ma l'offerta di organi è il solo modo per salvare tante vite, come ricorda la Giornata nazionale dei trapianti

Non solo Covid. Durante la pandemia le altre malattie non sono certo scomparse, così come non sono spariti i pazienti che attendono un organo per sopravvivere o avere una vita normale. In Italia quasi 8.500 persone sono in lista di attesa, e in occasione della Giornata nazionale della donazione di organi e tessuti, l'11 aprile, il ministero della Salute insieme al Centro nazionale trapianti lancia da oggi la campagna «Donare è una scelta naturale». Oggi sono quasi 9 milioni e mezzo le dichiarazioni di volontà registrate nel Sistema informativo trapianti, di cui 7 milioni di SI e 2 milioni e mezzo di NO: le opposizioni restano ancora alte, troppo. E pandemia e lockdown non hanno certo aiutato. Eppure, offrire i propri organi a chi, dopo di noi, ne avrà bisogno è un gesto prezioso, capace di salvare molte vite, come spiega Antonio Amoroso, coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte, e rappresentante di Fondazione D.O.T. (Donazione Organi e Trapianti).

Durante questo periodo di pandemia, c'è stato un calo nell'offerta di organi?

Si è in effetti verificata una riduzione nel numero dei donatori e dei trapianti eseguiti in tutta Europa, con percentuali diverse da paese a paese. In Italia abbiamo avuto una diminuzione di circa il 10 per cento rispetto all'anno precedente, in Francia e Spagna anche del 20 per cento però. Questo a causa del carico di pressione sulle rianimazioni, il luogo da cui vengono generati i potenziali donatori di organi. E poi c'era il problema delle persone decedute per il Covid, che nella prima fase impediva l'utilizzo dei loro organi.

Perché «nella prima fase», ora è cambiato qualcosa?

Adesso, secondo le linee guida, anche i soggetti che hanno superato l'infezione e in seguito sono morte per altre cause, possono essere donatori di organi, se chi li riceve a sua volta ha avuto il virus e ha superato la malattia.

Questo calo di donatori persiste ancora oggi?

No, ora la situazione è migliorata. Ma vorrei precisare che non dappertutto è stato così: in Piemonte siamo riusciti, rispetto all'anno prima, ad aumentare del 7 per cento donatori e trapianti. Merito della generosità dei cittadini piemontesi e della buona tenuta di tutto il sistema regionale delle donazioni: qui in Piemonte abbiamo puntato parecchio sulla formazione del personale sanitario dei reparti di terapia intensiva e di rianimazione, molto sensibilizzato sul tema delle donazione. E poi in questi anni abbiamo creato una rete fra tutti gli ospedali, per cui è stato possibile dirottare i potenziali donatori in altre terapie intensive Covid free.



Quante sono in Italia le persone che aspettano un trapianto di organo?

Al 31 dicembre 2020 in lista di attesa ce n'erano più di 8 mila, di cui 6 mila per il rene. Comunque chi aspetta un rene nuovo può fare dialisi, non si pone a breve termine il rischio di morte. Altri 1.000 aspettano un fegato, 700 circa un cuore, più di 300 un polmone e circa 250 un pancreas. Circa il 10 per cento di chi è in lista di attesa, però, ogni anno muore mentre aspetta. Anche perché il numero dei potenziali donatori, in Italia tra 1.300 e 1.400, è pur sempre inferiore alla necessità. Mentre non si ferma l'afflusso dei pazienti che ne hanno bisogno. Le liste di attesa per il rene tendono a essere costanti, negli altri organi aumenta un po' ogni anno.

Se una persona muore senza aver lasciato una precisa volontà di donare gli organi, che cosa succede in genere?

Nel registro del Sistema Informativo dei Trapianti oggi ci sono quasi 9 milioni di registrazioni che raccolgono le disposizioni di volontà (3 su 4 sono favorevoli). In assenza di una volontà manifesta, sono i familiari a riportare ai medici se il loro congiunto aveva espresso, in vita, la disponibilità a donare gli organi. Se manca una testimonianza precisa di volontà, la decisione spetta agli aventi diritto, cioè alla famiglia.

Sono molte le opposizioni?

In genere, in Italia, il 30 per cento degli organi non viene trapiantato perchè il soggetto deceduto o i suoi familiari non volevano donare..

Quali sono i motivi di questo rifiuto?

Sostanzialmente due: una è la convinzione che i propri organi non vanno rimossi per mantenere l'integrità del corpo, questo è uno zoccolo duro di persone che rappresenta il 15-20 per cento dei rifiuti. Poi c'è un altro 10 per cento che ha la sua spigazione nella percezione che il cittadino ha del proprio sistema sanitario.

Ossia?

Per esempio i familiari sci convincono, a torto o a ragione, che il loro caro poteva o doveva essere curato meglio, e sono i medici a non essere riusciti a salvarlo. Quindi non pensano certo a donarne il corpo. Si può dire che la disponibilità a offrire gli organi o, al contrario, l'opposizione a farlo sia un buon indicatore indiretto del funzionamento del sistema sanitario.

Non ci sono anche, nell'opposizione, motivi religiosi?

Quelli sono abbastanza superati, non c'è più la convinzione che un corpo non integro pregiudichi la resurrezione. Ormai tutte le grandi religioni moderne incoraggiano la donazione come gesto altruistico. Il Giappone invece, dove lo Schintoismo intende il corpo come unità inscindibile, è uno dei paesi con il più basso numero di donatori deceduti.

Si possono trapiantare anche organi «anziani» o c'è un limite?

L'età degli organi è quella biologica più che anagrafica, di fatto non esiste un vero limite anagrafico per donare. Abbiano trapiantato organi provenienti da ultra 90 enni, l'importante è che siano in buono stato. Certo, ci sono delle differenze: il cuore, come il polmone, sono organi più delicati, i donatori in genere sono sotto i 60 anni. Ma la vita degli organi è incredibile: a Torino abbiamo fatto decine di trapianti di fegato che, tra la vita precedente del donatore e quella attuale del ricevente, adesso hanno più di 100 anni.

Gli organi vecchi si possono ringiovanire, e in che modo?

Si chiama in realtà rigenerazione. Gli organi prelevati sono tenuti in liquidi freddi, a 4 gradi, che conservano cellule e tessuti, per un periodo variabile: da alcune ore per il cuore a 24 ore per il rene. Così, «addormentati» insieme a tutti i loro processi biologici, con il trapianto in un nuovo corpo tornano in vita.

Ci sono altre novità nella «tecnologia» dei trapianti?

Oggi esiste anche il sistema della perfusione: attraverso una pompa fa passare liquidi nutritivi dentro gli organi e stimola la circolazione, così si possono mantenere per più tempo e capire, con ulteriori indagini, se sono validi a scopo di trapianto. In questo modo si recuperano organi altrimenti esclusi. È una tecnica si sta diffondendo sempre più. Più costosa e impegnativa per l'équipe medica, ma di fatto ha permesso di aumentare una certa quota di potenziali organi.

Chi ha ricevuto un trapianto, e quindi deve assumere per la vita farmaci immunosopressori, che tipo di risposta anticorpale avrà con il vaccino?

Forse potrà avere una risposta immunitaria un po' minore, ma ci aspettiamo che anche in questo caso il vaccino sia efficace contro il rischio di infezioni. Che, in una persona trapiantata, quindi più fragile, possono essere ben più pericolose che nella popolazione generale. Nelle norme del ministero della Salute, chi ha ricevuto un organo e chi è in lista di attesa rientra in quelle categorie per le quali il vaccino, per loro è Pfizer o Moderna, è prioritario. Anche e soprattutto per questi pazienti il rischio di complicanze per il Covid è di gran lunga maggiore rispetto a potenziali eventi collaterali della vaccinazione.

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Daniela Mattalia