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(Ansa)
Salute

Fine Pandemia, forse

Stanno arrivando i vaccini: uno, due, tre, altri... Sembrano efficaci. Ma la nostra vittoria contro il micidiale intruso dipende da tante variabili

Volendo immaginare quella contro il coronavirus come una colossale sfida a scacchi, Covid-19 avrebbe già fatto quasi 70 milioni di mosse vincenti, tante quanti sono i contagi mondiali. Il nostro punteggio sarebbe poca cosa: qual- che sofferto lockdown, mascherine di ogni foggia e formato, un paio di farmaci più o meno efficaci.

Certo, ora la sfida si fa interessante.Tra poco muoveremo almeno tre pedine che potrebbero ribaltare la partita. Tre vaccini che corrono verso il traguardo finale: dare scacco matto al virus.

Lo spazzeremo via, a colpi di siringhe, dalle nostre vite quotidiane? Sì, se... Se i vaccini saranno efficaci quanto promettono. Se riusciranno a prevenire il contagio, e non solo la gravità della malattia. Se la protezione sarà dura- tura. Se si riuscirà a raggiungere gran parte della popolazione terrestre (al momento, gli unici luoghi liberi dalla pandemia sono Polo Nord e Polo Sud) senza ritardi e intoppi.

Nel frattempo, Sars-Cov-2 non smetterà di fare l'autostop tra un individuo e l'altro, ubbidendo all'incalzante logica di ogni forma vivente: replicarsi, replicarsi, replicarsi. Contrariamente ad altri virus «ottusi», che procedono a fiammate, ammazzano tutto quello che trovano e muoiono con le loro vittime (Ebola, per esempio), Sars-Cov-2 mostra un'«intelligenza» notevole, evoluzionisticamente parlando. Nel giro di pochissimo tempo è saltato dal pipistrello a un altro animale intermedio (mai identificato) ed è trasmigrato nell'uomo, accomodandosi meravigliosamente nella nostra specie.

Dare per scontata la vittoria, dunque, non solo non è scaramantico, è anche piuttosto ingenuo. Quando finisce, realmente, una pandemia? Se intorno a sé il coronavirus trovasse tante strade sbarrate (i vaccinati) si estinguerà, o tornerà a immergersi in qualche anfratto naturale per poi riesplodere?

«Questo è un virus nato per restare dentro di noi. E non se ne andrà se non lo cacciamo via» risponde il virologo Carlo Federico Perno, direttore di Microbiologia e Diagnostica immunologica all'Ospedale pediatrico Bambino Gesù (e professore a Unicamillus University, a Roma). «Le sue caratteristiche genetiche gli impongono di infettare continuamente altre persone per sopravvivere. Mi spiego: ci sono virus che possono restare latenti nell'organismo decine di anni, come l'herpes zoster che causa la varicella. Ci infetta da bambini, e si risveglia 60 anni dopo con il fuoco di sant'Antonio. Anche vaccinando tutti, rimarrebbe dentro di noi. Questo coronavirus invece è obbligato a infettare. Se non replica muore, a differenza dei virus erpetici che possono dormire senza replicare».

La vaccinazione di massa equivarrebbe, in pratica, a togliergli il carburante. «Certo. Anche perché, al momento, il Sars-Cov-2 non ha un altro reservoir dove rifugiarsi a parte l'uomo, al contrario dei virus influenzali che vivono negli animali e per caso, nel loro percorso, incontrano l'uomo. E questo è di fonda- mentale importanza» spiega Perno. «Il coronavirus è nato negli animali, poi è mutato per adattarsi all'uomo. E adesso negli animali non c'è più».

Tranne colpi di scena. Qualche settimana fa aveva destato un discreto panico la notizia di alcuni visoni da pelliccia contagiati con Covid-19 dagli umani (in Danimarca), che a loro volta avevano «rimbalzato» l'ospite sgradito a una dozzina di lavoratori dell'alleva- mento intensivo. Per evitare l'incubo, la diffusione di una nuova variante virale capace, potenzialmente, di vanificare i vaccini, milioni di visoni sono stati abbattuti. L'allarme è poi rientrato. Ma, come tutti i coronavirus, anche questo è estremamente plastico e nulla esclude che possa compiere di nuovo il salto di specie in un altro animale, con conseguenze non prevedibili.

Al momento, non ci sono segnali in questo senso. E fintanto che il suo genoma resta abbastanza stabile, un'immunizzazione di massa avrebbe la meglio sulle sue microbiche strategie. Contro il suo «parente» più stretto, il virus della Sars di 17 anni fa, non ci fu invece bisogno di vaccino: Sars-Cov-1 si estinse dopo circa 800 vittime. Un dilettante, al confronto. A fermarlo fu l'alta mortalità (il 10 per cento, uccideva troppo i suoi ospiti prima di replicarsi), e la minore velocità di trasmissione: contagiava quando apparivano i sintomi, e i focolai rimasero contenuti. Esaurito il «bacino di utenza», e senza un rifugio animale alternativo, sparì.

Se ne andarono senza troppi danni anche l'influenza aviaria, che nel 1997 «uscì» dagli uccelli e passò all'uomo, e quella suina, nel 2009, che qualche individuo lo contagiò. Ma nessuno dei due virus riuscì a stabilirsi con successo negli umani. «Per adattarsi all'uomo virus come quelli fanno una fatica terribile, come sollevare un masso di due quintali. Lo tengono su due minuti e poi mollano» fa capire Perno. «Questo coronavirus invece, non si sa bene co- me, si è adattato a noi con una facilità incredibile».

L'unica mossa sarebbe sottrargli il cibo di cui si nutre (noi). Attenzione però, avvertono su Plos Biology David A. Kennedy e Andrew F. Read dell'Università della Pennsylvania: mentre mettiamo a punto i vaccini, il virus non smette di mutare. Per ora lo fa con una certa indolenza, ma guai a fidarsi. Di recente, per esempio, si è scoperto che nella prima fase dell'epidemia una mutazione (presente da sempre nel suo genoma) ha preso il sopravvento rendendolo assai più contagioso. In pratica, gli ha messo il turbo. E nei giorni scorsi gli esperti inglesi si sono chiesti se l'ultima accelerazione dei contagi in Gran Bretagna sia dovuta a un'altramutazione (definita VUI-202012/01). Infine, uno studio italiano, su Molecular Ecology, analizzando 15 mila sequenze virali, ha fatto luce sui meccanismi con cui il virus evolve per aggirare gli anticorpi. Niente paura, non staremo a spiegarli qui, la conclusione però è che va tenuto d'occhio, anche nell'eventualità che possa sviluppare resistenza ai vaccini. È raro che i virus lo facciano, ma il fenomeno esiste (si chiama «viral escape»).

Esplorando il mondo dell'invisibile, per capire come e quando finisce un'epidemia, nel formidabile saggio Spillover di David Quammen leggiamo che a parte la terribile Spagnola (50 milioni di morti) «l'influenza del 1957 causò circa due milioni di vittime, e nel 1968 la cosiddetta "Hong Kong" ne fece un milione». Più o meno quanto Covid-19, che di vittime ne ha collezionate finora oltre un milione e 700 mila.In quelle due occasioni però, nessuno pensò a lockdown o sistemi di contenimento. Perché mai? «Furono due influenze molto gravi, è vero» riflette Guido Alfani, demografo storico, professore di storia economica presso la Bocconi (e autore nel 2010 del libro Pandemie d'Italia. Dalla peste nera all'influenza suina, l'impatto sociale). «Non si intervenne come oggi sostanzialmente per due motivi. Non potevamo permettercelo; e, soprattutto per la prima, uscivamo da una guerra mondiale e avevamo un rapporto diverso con la morte. Eravamo disposti ad accettare un prezzo che ora rifiutiamo di pagare, il raddoppio di morti negli anziani. Nel calcolo del danno accettabile, oggi qualcosa è cambiato».

Non solo. Le misure di contenimento, prosegue l'esperto, hanno senso perché permettono di guadagnare tempo nella prospettiva di un vaccino. Ipotesi impossibile all'epoca, e un lockdown non sarebbe servito a granché.

Quel fatalismo sembra lontano anni luce. L'idea di un'immunità di gregge «naturale», ipotizzata per un fuggevole istante dal premier inglese Boris Johnson, è stata subito rigettata. «E poi teniamo contro che quelle due pandemie causarono 1-2 milioni di vittime senza interventi» precisa Alfani. «Questo coronavirus sta uccidendo lo stesso numero di persone, e lo supererà, nonostante gli sforzi per contenerlo. Solo nel nostro Paese abbiamo rischiato di trovarci in una situazione in cui un terzo o metà degli abitanti era infetta: cosa che avrebbe causato il collasso del sistema sanitario e moltiplicato le morti, esattamente come accadde con la Spagnola del 1918».

Tornando alla nostra immane partita, il 2021 sarà l'anno in cui milioni di dosi dovranno addestra- re il sistema immunitario a battere l'intruso. Il 2022sarà invece l'anno della liberazione, come qualcuno azzarda? «Pur essendo decisamente ottimista, trovo stupefacente queste capacità divinatorie» polemizza Perno. «Troppe incognite... Ancora non conosciamo con certezza quale sarà l'efficacia finale dei vaccini. Due prodotti su tre, altri ne arriveranno, hanno poi il problema della catena del freddo. Non sappiamo se riusciremo a distribuirli dappertutto. E, quarto punto, quanto sarà la durata della protezione vaccinale».

Infine, l'obiettivo è immunizzare almeno il 70 per cento degli italiani, così se anche il virus tornasse da un altro Paese avrebbe difficoltà ad attecchire, perché le persone infettabili sarebbero non più di una su tre. Non è detto però che tutti offrano il braccio. Tra ideologiche avversioni no vax, infondate paure e comprensibili dubbi, il bacino dei vaccinati potrebbe fermarsi al 50 per cento. E Covid-19 continuerebbe il suo sinistro girotondo in mezzo a noi.

Le FAQ sui Vaccini del Covid

1- Cosa cambia con la scoperta della variante inglese del Covid?

Per il momento, non cambia nulla per quanto riguarda il piano vaccinale stabilito in Italia (e nel resto del mondo). La mutazione individuata (VUI202012)non pregiudica, secondo la comunità scientifica che studia il Sars-Cov-2, l'efficacia dei vaccini che stanno arrivando. Affinché una mutazione riesca a vanificare l'azione del vaccino devono passare anni e accumularsi una serie di varianti virali multiple. Cambiano invece le regole per la mobilità e i viaggi: voli bloccati da e per la Gran Bretagna. E aumenta la soglia di attenzione del Sistema sanitario nazionale e dei laboratori che studiano le sequenze genetiche del virus, nel caso di altre eventuali mutazioni che abbiano potenziali conseguenze sul piano clinico e terapeutico.

2- Quali sono le ultime novità sui vaccini Pfizer e Moderna?

La Fda americana, dopo aver dato l'approvazione per il vaccino di Pfizer, ha autorizzato anche un secondo vaccino, quello di Moderna. Entrambi utilizzano l'Rna (un acido nucleico) come vettore per fornire all'organismo le istruzioni a produrre anticorpi contro il coronavirus. Le due multinazionali in questi giorni stanno testando i loro vaccini anche sulla variante inglese. «In base ai dati ottenuti fino a oggi, ci aspettiamo che l'immunità indotta dal nostro vaccino protegga anche contro le varianti scoperte nel Regno Unito. Faremo test addizionali nelle prossime settimane per confermarlo» ha dichiarato Moderna. Allo stesso modo, Pfizer ha annunciato che analizzerà la risposta delle persone immunizzate al nuovo ceppo virale.

3- Chi sarà a fare le vaccinazioni?

Nelle prime fasi, quando saranno immunizzate le categorie più esposte al contagio e quelle più fragili, sarà il personale sanitario degli ospedali a occuparsene: medici, assistenti sanitari, operatori socio sanitari, personale amministrativo e specializzandi. Anche i medici in pensione potranno eventualmente dare un contributo. Per le prime categorie esposte al contagio, nelle varie Regioni è già attivo un sistema di prenotazione sui portali regionali.

4- E per il resto dei cittadini, come avverrà la somministrazione del vaccino?

Quando si passerà alla popolazione in generale, entreranno in attività medici e infermieri assunti apposta per questa emergenza. Verranno coinvolti anche medici di famiglia, pediatri, personale sanitario delle forze dell'ordine, farmacie. Il Comitato tecnico e scientifico e il Governo hanno già individuato 1.500 punti di somministrazione. Nel caso di persone anziane o con problemi di salute e che non possono muoversi, saranno le Usca (Unità mobili assistenziali) a fare arrivare il vaccino direttamente a casa. Medici di base e Asl segnaleranno i loro pazienti più fragili cui dare priorità. Il vaccino anti-Covid, ricordiamolo, è facoltativo e gratuito.

5- L'efficacia annunciata di oltre il 90 per cento, nei vaccini di Pfizer e Moderna, significa che il vaccino impedirà il contagio?

Se questi dati avranno conferma, chi si vaccina dovrebbe essere immune all'infezione (anche se non al cento per cento). Per ora le due aziende, nei loro test, hanno verificato se chi riceve il vaccino sviluppa o no i sintomi della malattia; non è esclusa però (né è stata indagata) l'eventualità di contagi asintomatici. Certo, se la protezione dovesse essere inferiore, per esempio intorno o meno del 70 per cento, significa che chi riceve il vaccino potrebbe comunque infettarsi ma non sviluppare la malattia, o farla in maniera molto più blanda. Potrebbe essere però ancora contagioso.

6- Quanto durerà l'immunità indotta dai vaccini?

Non c'è per ora un modo veloce per saperlo, gli scienziati dovranno monitorare attentamente questo aspetto nei prosimi mesi o anni. Nelle persone guarite spontaneamente dal Covid, si è visto che gli anticorpi durano da tre a sei mesi e poi declinano (è un fenomeno fisiologico in ogni infezione, anche se i tempi cambiano). Resta tuttavia un'immunità di memoria in grado, potenzialmente, di riconoscere il virus e contrastarlo.

7- Ci sono stati casi di reinfezione, persone guarite che si sono riammalate, quanto può essere frequente questo fenomeno?

Non è chiaro se i casi di reinfezione (per ora pochi) rappresentino delle eccezioni. È probabile. In ogni caso, i vaccini sono messi a punto per attivare una risposta immunitaria maggiore rispetto a quella naturale dopo la guarigione. Occorrerà però tenere traccia, nelle persone vaccinate, del livello di anticorpi e cellule immunitarie.

8- Quanto sono efficaci i vaccini nelle persone sopra i 65 anni?

Le sperimentazioni più ampie hanno arruolato decine di migliaia di volontari, e ci sono indicazioni, per ora preliminari (serviranno test maggiori), che i tre vaccini principali proteggono anche chi ha più di 65 anni. Gli anziani hanno un sistema immunitario meno reattivo, per questo nei vaccini over 65 vengono spesso aggiunte sostanze particolari, dette «adiuvanti», proprio per potenziarlo. 5-E sui bambini?Non ci sono ancora indicazioni su quanto i vaccini funzionano sui più piccoli, così come nelle donne incinte. Test di questo tipo, su sottogruppi di individui, spesso vengono effettuati in un secondo tempo, anche per avere maggiori informazioni sulla sicurezza dei prodotti messi a punto. Il 2 dicembre, Moderna ha annunciato un programma per testare il vaccino anche nei bambini.

9- Che tipo di effetti collaterali potrebbero dare i vaccini?

Al momento entrambi i vaccini più vicino alla distribuzione, Moderna e Pfizer, appaiono generalmente ben tollerati. Moderna ha reso noto effetti collaterali temporanei e moderati, come dolori muscolari, affaticamento, emicrania, febbre. Pfizer ha affermato che controlli indipendenti sul suo prodotto non hanno riportati effetti collaterali gravi. Durante le fasi cliniche 1 e 2, il suo vaccino ha provocato casi di febbre leggera o moderata e dolore nel punto dell'iniezione, durati poco. C'è da aggiungere però che i dati di sicurezza definitivi arriveranno dopo diversi mesi (o anche anni) dalla somministrazione. Pfizer and Moderna hanno assicurato che eventuali problemi saranno annunciati in modo tempestivo.

10- Che differenza c'è fra i vaccini Moderna e Pfizer e quelli di Astrazeneca e Johnson & Johnson?

I primi due sono vaccini a Rna, basati su una metolologia più veloce ed estremamente innovativa: usano cioè l'acido nucleico Rna per «istruire» le cellule del sistema immunitario a riconoscere e contrastare il coronavirus. Anche Sanofi usa l'Rna, ma è più indietro nella sperimentazione. I vaccini di Astrazeneca e Johnson & Johnson invece utilizzano l'adenovirus: un vettore virale in grado di «produrre» la proteina spike, l'uncino con cui il virus aggancia le cellule umane, e innescare in tal modo la reazione immunitaria. Tutti i vaccini candidati, comunque, indipendentemente dalla piattaforma tecnologia scelta, hanno come target la proteina spike.

11- Il coronavirus potrebbe evolvere e non essere più riconoscibile dai vaccini?

Tutti i virus evolvono. Per quello dell'influenza, per esempio, ogni anno gli esperti devono mettere a punto un nuovo vaccino. Il Sars-Cov-2, però, quello che causa la malattia Covid-19, ha un genoma che per ora si è mostrato abbastanza stabile, e non desta particolari preoccupazioni di questo tipo.

12- C'è il rischio che il coronavirus possa sviluppare resistenza ai vaccini, un po' come fanno i batteri nei confronti degli antibiotici?

In genere i virus non sviluppano resistenza ai vaccini, o almeno lo fanno molto meno dei batteri. Questo perché i vaccini, rispetto ai farmaci, agiscono in una fase più precoce, quando il virus non si è ancora moltiplicato. Nel caso dei farmaci, i microrganismi (virus o batteri) si sono già replicati nell'organismo, e se una variante si dimostra in grado di resistere alla terapia, avrà il sopravvento, continuando a moltiplicarsi più delle altre.

13- Perché per il coronavirus si è potuto realizzare un vaccino in tempi brevi e, per l'Hiv, per esempio, non si è mai riusciti a fare altrettanto dopo circa 40 anni?

L'Hiv, che causa l'Aids, è uno di quei virus ch, sotto pressione vaccinale, mostra una capacità anguillesca di sfuggire al vaccino dando ceppi resistenti.Proprio per questo gli scienziati non sono mai riusciti a realizzarne uno. Non è il caso del coronavirus, che muta assai meno, e ciò lo rende molto più vulnerabile al vaccino

14- Negli anni, il Sars-Cov-2 potrebbe mutare al punto da adattarsi al nostro organismo, patteggiando una convivenza meno dannosa per noi?

È assolutamente plausibile, ed è quello che in genere fanno tutti i virus. Diversi studi suggeriscono che dei quattro coronavirus umani che oggi danno il raffreddore, almeno uno era simile al Sars-Cov 2. Causò danni circa un secolo fa, poi si adattò all'uomo.

15- Nell'attesa, dovremo vaccinarci tutti gli anni

È assai probabile. Non si sa quanto dura l'immunità conferita dai vaccini (sei mesi, di più?), ma in ogni caso è facile che ogni anno, così come avviene con il virus dell'influenza stagionale, si debba rifare il vaccino. E, almeno per tutto l'anno prossimo, aspettando l'ummunità di gregge indotta dalla campagna di vaccinazione (ammesso che raggiunga il 70 per cento della popolazione esposta), occorrerà sempre seguire le regole di contenimento, distanziamento sociale, mascherine e igiene della mani.
Fonti: Science News, Nature Stat, PloS Biology


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Daniela Mattalia