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Il professor Andrea Crisanti (M. Bertolini/Getty Images).
Salute

Crisanti: «Un altro lockdown non basta. Occorre monitorare le varianti e fare tamponi»

Il padre del primo modello Veneto spiega come si dovrebbe contrastare il Covid. Perchè con la variante inglese i casi esploderanno.

«Un nuovo lockdown non basta». Il professor Andrea Crisanti, vox clamans nel deserto del Covid, non sa più come ripetere quello che bisognerebbe fare. Oltre a chiudere, occorrerebbe testare, monitorare e prevenire. L'ordinario di microbiologia all'Università di Padova ribadisce questi concetti incessantemente, ma continua a essere inascoltato. E pensare che un anno fa, grazie alle sue intuizioni, aveva salvato il Veneto dal coronavirus. Ecco perché vale la pensa di sentire cos'ha da dire.

Professor Crisanti, negli Stati Uniti sono appena state individuate sette nuove varianti. Che cosa sta succedendo?

«Sta succedendo quello che è sempre successo. Ma si ricorda tutte le stupidaggini che venivano dette ad aprile e a maggio? "Il virus è diventato più buono. È cambiato". Si ricorda che io rispondevo che il virus evolve ed eventualmente diventa più aggressivo?».

Ahimé, sì.

«Ebbene, sta accadendo quello che accade normalmente: i virus vanno incontro a un processo di selezione naturale e nella fase iniziale (perché siamo ancora nella fase iniziale) hanno un vantaggio competitivo le varianti più aggressive. Cioè quelle che si propagano di più. Se nel frattempo, cioè in una situazione di elevata trasmissione, noi vacciniamo, quello che succede è che potenzialmente possiamo favorire varianti resistenti al vaccino. In una situazione ideale bisognerebbe portare la trasmissione vicina allo zero e incominciare a vaccinare più gente possibile nel più breve tempo possibile. Questo bisognerebbe fare».

Bisognerebbe fare un nuovo lockdown?

«Un nuovo lockdown non basta. Anzitutto bisogna monitorare tutte le varianti, cioè implementare un piano nazionale di monitoraggio delle varianti. E fare un nuovo lockdown per abbassare i casi, ma non a 10.000: a poche centinaia, come a maggio-giugno. A quel punto occorre fare una politica aggressiva di interruzione delle catene di contagio. Con politica aggressiva intendo dire che, se ci sono 30-40 casi, si fa come in Corea del Sud, in Giappone e in Australia: si blocca un'intera città e si testano tutti».

Questo lei ce lo sta ripetendo da un anno.

«Non ci sono alternative, mi creda. Non ci sono alternative».

Il dato di fatto è che siamo molto lontani dallo scenario che lei prefigura.

«Il dato di fatto è che io penso che il ministro sia stato consigliato male. E probabilmente il governo passato ha ceduto di interessi di parte. È un film che abbiamo visto 100 volte: prima gli operatori turistici delle spiagge e delle località balneari, poi quelli delle discoteche. Adesso quelli degli impianti sciistici. Per carità, tutto legittimo. Ma, se si dà retta a tutti questi, non si controlla il virus».

Lo sapevamo, ma non ci siamo preparati. È così?

«Per forza. Perché invece di avere una visione globale di lungo respiro, abbiamo sempre preso soluzioni che in qualche modo mettevano una toppa. E in ogni caso pronti a derogare alla minima protesta o anche a manifestazioni di esigenze legittime, ma che sicuramente erano in totale conflitto con l'esigenza primaria: controllare la trasmissione del virus».

Ma quanto incidono le nuove varianti? Solo quella inglese ha una prevalenza nel 20% dei casi.

«Questo significa che se si testano a caso 100 persone positive, 20 hanno la variante inglese».

Più tutte le altre...

«Più tutte le altre, che però al momento sono minoritarie».

È una percentuale destinata ad aumentare?

«È una percentuale destinata ad aumentare in maniera esplosiva. I Paesi che hanno sperimentato la variante inglese nel giro di due-tre settimane si sono trovati a passare da 10.000 a 70/80.000 casi».

Prospettiva terrificante.

«Con la variante inglese non si scherza. Guardi, se noi avessimo fatto un lockdown a Natale di 20/30 giorni, come avevo auspicato io, oggi non avremmo questo problema».

Un disastro... Ma quanto proteggono i vaccini contro le varianti?

«I vaccini attuali proteggono sicuramente contro la variante inglese. E hanno una capacità di protezione ridotta nei confronti della variante brasiliana e di quella sudafricana. Ridotta non vuol dire zero: vuol dire che in genere il livello di protezione si abbassa intorno al 50%. Ancora significativo ma assolutamente non sufficiente».

Poi non sappiamo niente di quelle trovate negli Stati Uniti.

«Chiaramente le altre andranno valutate una ad una».

Ma con le varianti c'è il rischio di ricontagio dei pazienti che hanno avuto il Covid l'anno scorso?

«Certo: è evidente. Se la variante sfugge alla risposta immunitaria è come se uno si infettasse con un virus diverso. Questo è il problema delle varianti. Senza contare che non si è finora ragionato sul fatto che le varianti possono avere in qualche modo un impatto sui famosi test antigenici, cioè di fatto neutralizzarli».

E che cosa succede?

«Succede che noi, involontariamente, favoriamo varianti virali che non vengono riconosciute dai test».

Quindi rischiamo di non accorgerci di quelle nuove.

«Esatto, esatto, esatto».

L'unica via d'uscita è chiudere tutto?

«Posso dire una cosa? Se chiudiamo tutto e non facciamo un piano di sorveglianza delle nuove varianti e allo stesso tempo non ci dotiamo della capacità, come hanno fatto Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone, di testare centinaia di migliaia di persone al giorno con i tamponi molecolari, non ne usciamo».

Attualmente quante persone testiamo al giorno?

«Con i tamponi molecolari forse 150/160.000».

E quante dovremmo testarne?

«Secondo me intorno ai 400.000. Invece, siccome non hanno fatto alcun investimento strutturale, hanno preferito comprare questi tamponi antigenici, che obiettivamente non servono a niente».

Quindi stiamo anche buttando via soldi?

«Ah, sicuro. Sui tamponi antigenici stiamo buttando via soldi».

Ma per prima cosa nei drive-through fanno proprio gli antigenici.

«I tamponi antigenici sono veramente la fotografia della incapacità di programmare del nostro Paese».

Insomma, ci siamo concentrati solo sui vaccini, peraltro con risultati modesti, senza capire che dovevamo concentrarci sui tamponi molecolari.

«Dovevamo concentrarci su strumenti veri di sorveglianza e prevenzione. Perché non si tratta solo di tamponi».

Tracciare, oltre che testare?

«Eh, certo».

Lei quindi la vede brutta?

«La vedo brutta... Non so, non riesco a capacitarmene. Sono scoraggiato nel vedere che vengono commessi tutti questi sbagli, uno appresso all'altro».


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Elisabetta Burba