Renzi, taglia qui. Parola di diplomatico
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Renzi, taglia qui. Parola di diplomatico

Indennità, rimborsi spese e privilegi. Ecco come ottenere qualche risultato in più dalla spending review della Farnesina

Un Ambasciatore italiano a Parigi prende 20.995 euro al mese, mentre quello tedesco ne raccoglie solo 8.449. A Mosca l'Ambasciatore italiano riceve 26,998 euro e quello tedesco 10.018. In altre sedi le remunerazioni addirittura si triplicano. A Tokyo chi rappresenta l'Italia percepisce 27.028 euro al mese. Il rappresentante tedesco 10.018. A Washington l'italiano guadagna 24.606 euro mensili, il tedesco 9.495. Certo, stando a queste cifre è naturale pensare che riducendo gli stipendi degli Ambasciatori, e magari anche quelli del restante corpo diplomatico, l'Italia riuscirebbe a risparmiare un po' di risorse, che magari un governo saggio e lungimirante potrebbe addirittura riuscire a investire meglio, per il "bene del Paese". Ma siamo sicuri che i nostri diplomatici guadagnino davvero troppo? Siamo sicuri che questo tipo di confronto tra ambasciatore italiano e ambasciatore tedesco, francese o giapponese sia alla pari? E infine, è vero che togliendo qualche migliaio di euro dalle tasche di Ambasciatori & co. riusciremmo a risolvere i problemi dell'Italia?

Che la Pubblica Amministrazione sia un covo di sprechi è la verità, e questo non vale solo per il Ministero degli Esteri ma per tutti, solo che l'immagine un po' distorta della vita dei diplomatici sempre in giro per il mondo a organizzare cocktail, cene sontuose e serate danzanti in abito lungo li trasforma inevitabilmente nella casta dei privilegiati tra i privilegiati. Eppure, stipendi alla mano, è un dato di fatto che in Italia le loro retribuzioni siano proporzionate, se non inferiori, a quelle delle altre carriere dello Stato. I diplomatici, insomma, non se la passano meglio di un magistrato o di un funzionario dell'ASL con pari anzianità e responsabilità. All'estero, le cose possono cambiare, perché viene loro corrisposta un'indennità destinata a compensare i disagi di una vita trascorsa con la valigia in mano, vivendo qualche anno a Kabul, qualche altro ad Hanoi e qualche altro a Chicago. Con mogli e figli al seguito naturalmente, sfruttandone sì le opportunità, ma cercando anche di convivere con i disagi causati dai tanti spostamenti, che sono molti di più di quanto, dall'esterno, si possa immaginare. Pensiamo anche solo al fatto che mogli e mariti debbono mettere da parte ogni aspirazione di carriera (e di reddito).

Altro dettaglio che tanti trascurano è il fatto che la stessa indennità viene corrisposta anche a tutto il personale che lavora in Ambasciate e Consolati, a partire da quello con mansioni di segreteria ed archivio. Per questo, un Ambasciatore può ricevere somme che superano i ventimila Euro al mese e un archivista una che sfiora i dieci. Tuttavia, se l'Ambasciatore, rappresentando l'Italia, non può non essere un funzionario dello Stato di alto grado, chissà perché nessuno si chiede come mai segretari, autisti, archivisti e contabili debbano necessariamente essere inviati dall'Italia e godere degli stessi privilegi del capo missione quando non ne condividono né le responsabilità né gli oneri. Questo non significa che tutti gli impiegati amministrativi debbano essere licenziati, anzi, per ricoprire taluni incarichi è certamente raccomandabile il trasferimento di personale "italiano", ma in tanti paesi, ad esempio, contare su autisti, contabili e segretarie locali che conoscono la lingua e le abitudini del luogo è più utile sia sul piano dell'efficienza della sede sia su quello contabile. Tante strutture straniere sono riuscite a modificare l'equilibrio tra locali ed espatriati, migliorando così produttività e bilanci. Noi ancora no. Perché?

Tornando al nodo chiave dell'indennità, è opportuno specificare che non si tratta di un vero e proprio reddito: l'indennità non viene calcolata ai fini pensionistici, non viene tassata, e così via. Del resto, la somma non è destinata a retribuire una prestazione lavorativa, ma deve essere utilizzata anche per coprire spese che in altri Paesi vengono sostenute direttamente dallo Stato (lo stesso avviene per chi rappresenta all'estero aziende private): una parte dell'affitto di casa, le scuole per i figli, le attività di rappresentanza, una quota del trasloco, e via dicendo. Pochi sanno che con questa somma Ambasciatori e Consoli pagano persino l'annuale ricevimento per la Festa della Repubblica, che tutti i nostri uffici all'estero sono tenuti ad organizzare. O, ancora peggio, che le spese di gestione e manutenzione della residenza dell'Ambasciatore, quella in cui quest'ultimo deve ricevere politici, uomini d'affari e artisti, sono a suo carico, perché i fondi ministeriali destinati a questo uso sono esauriti. Quindi insomma, se c'è un buco nel muro, e ci sono, purtroppo, l'Ambasciatore può scegliere di tenerlo, e ammettere che l'Italia non è in grado di ripararlo, o attingere al proprio portafoglio per salvaguardare anche così l'immagine del suo paese. Diplomatici tedeschi e britannici prendono molto meno, ma la differenza sta tutta nell'uso che debbono fare di quanto ricevono: i funzionari di Berlino, ad esempio, vengono compensati anche quando, cambiando Paese, cambiano area climatica e debbono rifarsi il guardaroba. E qualsiasi spesa di gestione, sanità, viaggi, scuole, trasloco e via dicendo è rimborsata dalla sede centrale. E' quindi solo per colpa di questo differente modo di contabilizzare le spese che gli stipendi italiani appaiono così sproporzionati.

Il governo ora vorrebbe che il sistema italiano si allineasse a quello in vigore in alcuni altri Paesi europei: meno denaro ai funzionari, più rimborsi spese e contributi vari. Potrebbe convenire – anche se in alcuni Paesi il costo delle scuole internazionali o degli affitti da rimborsare sarebbe salatissimo per le magre casse del Ministero degli Esteri (0,21 per cento del bilancio dello Stato italiano, contro 1,15 della Germania e 1,8 della Francia); potrebbe anche rivelarsi un boomerang. Da un lato, si rischia di penalizzare una delle poche carriere dello Stato che il mondo ancora ci invida: secondo il SNDMAE, il Sindacato più rappresentativo dei diplomatici, "ogni diplomatico italiano svolge il lavoro di cinque diplomatici dei Paesi europei con cui ci compariamo", questo perché l’Italia utilizza meno di un quinto delle loro risorse umane e finanziarie per svolgere lo stesso lavoro ottenendo gli stessi risultati. Dall'altro, il sistema attuale è semplice e lineare: chi va nel Paese x, riceve la somma y; un sistema di rimborsi e contributi da calcolare caso per caso con infinite variabili potrebbe richiedere la messa in moto di una colossale macchina burocratica – contraddicendo l'obiettivo di snellire le procedure di funzionamento dell'amministrazione pubblica che il governo ha fatto proprio.

Concludendo, quindi, sommando stipendi, rimborsi spese e costi sostenuti direttamente dalle varie amministrazione, gli Ambasciatori italiani guadagnano tanto quanto i loro colleghi stranieri, se non leggermente di meno. Ma non è questo il punto. Se è davvero arrivato il momento di stringere la cinghia, è pensabile che lo facciano anche i diplomatici. Attenzione però: il Governo può anche approvare un taglio che, a conti fatti, si tradurrebbe in un risparmio (per lo Stato) di mille euro al mese per funzionario. Quindi circa dieci milioni di Euro all'anno, più o meno l'equivalente della spesa per costruire trecento metri della ferrovia Novara-Milano. Ma se trovasse il coraggio di tagliare almeno dello stesso ammontare i contributi del personale amministrativo, quanto meno quando in servizio all'estero, i risparmi si moltiplicherebbero. Se poi fosse all'altezza di confrontarsi con i sindacati e far passare (dopo anni di tira e molla) la progressiva sostituzione di una quota di questi ultimi con personale a contratto assunto nelle varie sedi di competenza non ne parliamo. Se poi, addirittura, si rendesse conto che i tagli orizzontali, che si tratti di indennità o di altro, non servono, ma che sarebbe ora di dimostrare di essere in grado di fare delle scelte politiche sensate e tagliare laddove è necessario avrebbe davvero fatto un buon lavoro, e l'opinione pubblica dovrebbe sentirsi soddisfatta. Poi, però, se a qualcuno capitasse - e capita spesso - di ritrovarsi nei pasticci in Burundi, in Cile o in Nuova Zelanda, non potrebbe più lamentarsi se, a fronte di una ristrutturazione che penalizza l'efficienza in nome di un presunto risparmio, per raggiungere il consolato più vicino dovesse percorrere chilometri e chilometri. Perché tra le conseguenze dei tagli poco sensati c'è anche l'aumento dell'inefficienza. E le nostre rappresentanze all'estero non si limitano ad intervenire a soccorso di chi è in difficoltà in terra straniera: ad esempio, un'Ambasciata mantiene i rapporti con le altre nazioni e promuove la diffusione del Made in Italy mentre un Consolato emette passaporti e visti. Vogliamo tagliare? Bene, che si sappia che le nostre imprese potranno contare su un ausilio in meno rispetto alle loro concorrenti straniere, che gli Italiani all'estero non riceveranno il loro passaporto, e così via.

Un'ultima considerazione: i diplomatici guadagneranno anche tanto, ma che dire di tutti quei rappresentanti di comuni, province e regioni che giocano a fare gli Ambasciatori viaggiando in giro per il mondo per rappresentare le eccellenze delle rispettive regioni? Se i tagli che si vogliono fare sono "casuali", non sarebbe bene cancellare anche queste missioni e chiedere ai diplomatici in loco di servire il paese in tutte le sue declinazioni, o chiudere quegli organismi desueti come il Consiglio Generale degli Italiani all'Estero, le cui attività sono ignote ai più, ma ogni anno succhia alle casse dello Stato un milioncino di Euro?

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