A che cosa serve l'Autorità Anticorruzione
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A che cosa serve l'Autorità Anticorruzione

Il neopremier annuncia la nomina del pm anti-camorra Raffaele Cantone a capo dell'Authority. C'era davvero bisogno di un altro ente amministrativo per combattere la piaga della corruzione?

Dopo che un pm in servizio ha sfiorato la carica di ministro della Giustizia senza tuttavia ottenerla, Napolitano gratias, a ‘Che tempo che fa’ il neopremier annuncia la nomina di Raffaele Cantone a capo dell’Autorità anticorruzione. Uno si potrebbe domandare a che serva l’ennesima struttura amministrativa che nel 2013 ha cambiato nome e forma, dopo dieci anni di operazioni varie di montaggio e smontaggio. L’idea è quella di centralizzare la lotta alla corruzione attraverso una macchina burocratica che dovrebbe applicare la mole di leggi e leggine vigenti. Senza comprendere che proprio la bulimia normativa attuale e il potere d’intermediazione di un apparato burocratico elefantiaco costituiscono un incredibile incentivo alla corruzione. Ad ogni modo, ha annunciato il premier su RaiTre, a guidare l’Autorità delle Autorità sarà il noto pm anticamorra Cantone.
Ai tempi della legge Severino sulla concussione, Cantone si oppose allo spacchettamento di quel reato. L’allora ministro della giustizia, in ottemperanza a precise raccomandazioni emesse dal Gruppo di lavoro dell’OCSE sulla corruzione, sostenne la necessità di distinguere tra due diverse fattispecie: la concussione per induzione e quella per costrizione. In realtà, il gruppo dell’Ocse, guidato dal professore Mark Pieth, raccomandava di abolire la concussione e basta. Io ebbi modo di intervistarlo per Panorama e il professore, cui è difficile attribuire simpatie per Berlusconi – nel 2008 entrò apertamente in polemica con il governo del Cav - , mi spiegò che quel termine, concussione, non trova corrispondenti nelle lingue del resto del mondo. Fuori dall’Italia infatti esistono l’estorsione e la corruzione, la parola diffusa è ‘bribery’, ma non c’è niente che somigli alla concussione. Da dove proviene la specialità tutta italiana? "Fu una strategia giudiziaria utilizzata nel vostro Paese ai tempi di Tangentopoli", mi spiegò il prof. Con il ricorso a questa fattispecie dai contorni vaghi ed evanescenti, i magistrati potevano indurre gli imprenditori a collaborare con la giustizia. Senza dover provare l’entità delle minacce subite, i presunti concussi ottenevano un autentico salvacondotto, nessuna pena, accusando il pubblico ufficiale di turno.  Nel resto del mondo invece chi paga non può mai essere giustificato perché è dovere civico denunciare il parlamentare o il funzionario pubblico che chieda soldi in forza della sua posizione.
La Severino si limitò ad una soluzione all’italiana con lo spacchettamento del reato di concussione e con la differente gradazione delle pene. Naturalmente fu travolta dalle critiche di voler procurare un salvacondotto a Penati e a Berlusconi. Peccato che il primo sia stato ‘salvato’ dalla prescrizione dei processi lenti e senza fine made in Italy. Per il secondo, sebbene i pm avessero optato per la fattispecie più lieve, le giudici del processo Ruby hanno deciso di aggravare il capo d’imputazione e lo hanno condannato in primo grado per concussione per costrizione. Una telefonata come una pistola puntata alla tempia insomma.
Dunque  anche l’alibi Berlusconi è caduto. Si tratta ora di spazzare via le storture tangentopoliste una volta per tutte. E una sinistra nuova, riformatrice e rottamata non può mostrare alcuna subalternità culturale e politica ad una stagione nella quale Renzi e i suoi sodali non hanno giocato alcun ruolo. E’ un’eredità che hanno ricevuto dalla storia, ma per la quale non può essere addebitata loro alcuna responsabilità. La scelta di Cantone, va detto, non fa ben sperare. "Era l’unico reato che funzionava. Ha consentito importanti inchieste. Incredibilmente è stato distrutto", fu questo il commento del pm napoletano all’indomani della legge Severino.

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Annalisa Chirico

Annalisa Chirico è nata nel 1986. Scrive per Panorama e cura il blog Politicamente scorretta. Ha scritto per le pagine politiche de "Il Giornale". Ha pubblicato "Segreto di Stato – Il caso Nicolò Pollari" (Mondadori, pref. Edward Luttwak, 2013) e "Condannati Preventivi" (Rubbettino, pref. Vittorio Feltri, 2012), pamphlet denuncia contro l’abuso della carcerazione preventiva in Italia. E' dottoranda in Political Theory a alla Luiss Guido Carli di Roma, dove ha conseguito un master in European Studies. Negli ultimi anni si è dedicata, anche per mezzo della scrittura, alla battaglia per una giustizia giusta, contro gli eccessi del sistema carcerario, a favore di un femminismo libertario e moderno.

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