Tutti i "no" di Bersani, il pigliatutto
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Tutti i "no" di Bersani, il pigliatutto

Il Pd vuole Palazzo Chigi ed il Quirinale dopo Camera e Senato, con buona pace dell'imparzialità e delle garanzie

Vi ricordate quando Bersani diceva, in campagna elettorale (una vita fa) che se anche avesse avuto il 51 per cento dei voti si sarebbe comportato come se avesse il 49? La magnanimità del vincitore che poi non ha vinto, tradotta in ipocrisia del perdente il giorno dopo il voto.

Il dibattito politico di questi giorni francamente è sbalorditivo. Da un lato abbiamo il Pdl con Berlusconi che pur avendo un terzo dei voti, pochi meno di quelli del Pd, e essendo in testa nei sondaggi in caso di voto anticipato, fin dall’inizio si è reso disponibile per un governo di coalizione e di larghe intese, presieduto al limite dallo stesso Bersani. E ha detto “no” solo a un esecutivo tecnico privo di legittimità popolare, improponibile tanto più dopo oltre un anno di esperienza Monti (una sospensione più che sufficiente della democrazia), e che gli italiani non vogliono (stando a tutte le rilevazioni).

Poi abbiamo il Movimento 5 Stelle che si ostina a dire “no” a tutto fuorché a un governo monocolore grillino (ma intanto qualche parlamentare del 5 Stelle in libera uscita ha consentito di eleggere alla presidenza del Senato un esponente della sinistra).

E il Pd di Bersani, che fin dall’inizio ha detto “no” non solo a esecutivi tecnici, ma a qualsiasi ipotesi di governissimo con il Pdl. Atteggiamento di preclusione assoluta, rafforzato da simpatiche dichiarazioni di suoi autorevoli rappresentanti a favore dell’ineleggibilità e, quindi, decadenza dal mandato parlamentare di Berlusconi, e del suo arresto (prima ancora che un magistrato lo richieda). In compenso, Bersani insiste da quasi un mese e mezzo a inseguire il miraggio di un governo con i grillini, che invece nelle consultazioni dirette e poi al Quirinale gli hanno sempre detto “no”.

Come non bastasse, nel frattempo il Pd ha negato qualsiasi possibilità di scelta condivisa dei presidenti di Camera e Senato, che infatti sono stati eletti con prove di forza. Alla Camera, in virtù del premio di maggioranza che a fronte di un distacco reale dello 0.3-0.4 per cento del Pd rispetto al Pdl, ha consegnato a Bersani la maggioranza assoluta con 150 deputati in più. E al Senato, in virtù dello scouting tra i grillini.

Ora che si affaccia la prova decisiva dell’elezione del capo dello Stato, Bersani mostra la stessa arroganza: nessun passo avanti nella formazione del governo, al punto che le Camere non sono ancora sciolte solo perché il presidente Napolitano è impedito a farlo dal semestre bianco, e tutto è fermo in attesa dell’elezione del successore. Intanto, Bersani si tiene caldo e stretto il suo pre-incarico, come fosse proprietà privata. Il Pdl chiede semplicemente di poter indicare un nome per il Quirinale da condividere con la sinistra, considerando che tutte le altre cariche importanti dello Stato sono state accaparrate dal Pd: le presidenza della Camera e del Senato e, permanendo questa situazione, anche quella del Consiglio. Senza considerare che tutti gli ultimi presidenti della Repubblica sono stati indicati dalla sinistra.

Il paese è diviso in due, ma il Pd vuole tutto (altro che comportarsi come se avesse il 49 per cento avendo il 51 che non ha!). E a tutto dice di no, fuorché impadronirsi di Quirinale, Camera, Senato e Palazzo Chigi. Ci riuscirà?

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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