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Più che processi, una roulette

Si stanno chiudendo, tra assoluzioni e proscioglimenti, alcuni dei casi sui quali più a lungo si è esercitata la gogna mediatica. Ma è giustizia, questa?

I sismologi del "Comitato grandi rischi", nel 2012 condannati in primo grado all'Aquila a 6 anni di carcere e appena assolti in appello dall'accusa di avere causato l'omicidio colposo di 13 persone morte nell'aprile 2009 per il terremoto.

Il costruttore romano Francesco Bellavista Caltagirone, assolto a Imperia da un'accusa di truffa ai danni dello Stato nella costruzione del porto, che nel marzo 2012 gli era costata un arresto e 9 mesi di carcere.

Renato Schifani, ex presidente del Senato, prosciolto su richiesta del pubblico ministero, ma soltanto dopo 14-15 anni di insidiose, infamanti accuse di mafia.

Giuseppe Orsi, ex amministratore delegato di Finmeccanica, assolto in tribunale dall'accusa di corruzione internazionale sulla vendita degli elicotteri all'India (ma condannato per false fatturazioni) dopo quasi due anni di processo e 83 giorni di carcere...

Una lunga serie di assoluzioni e proscioglimenti sta chiudendo in tribunale alcune tra le vicende che più a lungo e con maggiore violenza hanno dominato i media negli ultimi anni, distruggendo carriere e vite con una gogna crudele e insinuante. E la lista potrebbe ancora allungarsi. È decisamente un autunno caldo, per la giustizia italiana.

I garantisti che in questi casi provano (anche sommessamente) a criticare chi alla fine delle indagini preliminari  chiedeva, frettolosamente, condanne esemplari e ghigliottina vengono subito aggrediti con il ragionamento opposto: Perché protestate? - rispondono i "giustizialisti" - se alla fine arrivano le  assoluzioni, questo significa che la giustizia in Italia funziona.

Ma il ragionamento è falso, e anche ipocrita. Perché troppo spesso chi nelle redazioni si schiera con l'accusa sa bene di giocare un gioco perverso. Legandosi mani e piedi al pubblico ministero, infatti, il cronista sa di conquistarsi una facile fonte.

Poco importa che le accuse che per giorni, settimane, mesi si riversano su giornali e in tv abbiano una base logica, un contraddittorio, un fondamento. L'importante è colpire l'indagato, l'arrestato. Prevale sempre una presunzione di colpevolezza che è l'esatto contrario del precetto costituzionale. E il cronista diventa un megafono.

Il processo vero, in tribunale? Quello non importa a nessuno. E poco importa anche come si concluderà.

Sconfortante. Poi uno prova  a mettersi nella testa del cittadino qualunque, se non in quella del potenziale investitore estero che legge distrattamente qualche cronaca giudiziaria italiana. In entrambi deve prevalere una sensazione d'incertezza assoluta. E la crescente convinzione in questo Paese la giustizia sia tutt'al più una roulette.

Intanto di quali temi tratta, la riforma della giustizia? Delle fondamentale questione delle ferie dei magistrati. E basta che qualcuno alzi la testa e provi soltanto a pronunciare le parole «responsabilità civile», che subito il sindacato delle toghe parla di «attacco all'indipendenza» e minaccia scioperi.





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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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