Lo stop a Fincatieri-Stx è simbolo della debolezza Ue
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Lo stop a Fincatieri-Stx è simbolo della debolezza Ue

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Il capitalismo procede, nei vecchi settori dell'industria pesante, sempre più per grandi aggregazioni. Mentre quello nuovo, del digitale e della tecnologia, sembra già nascere come monopolio od oligopolio naturale. Le cose però vanno diversamente quando il capitalismo si mescola con lo Stato e gli interessi nazionali. È il caso della fusione tra l'italiana Fincantieri e la francese Stx che avrebbe dovuto dar luogo ad uno dei grandi colossi mondiali della cantieristica. Dopo lunghe trattative, infatti, l'accordo sembra sul punto di naufragare per la resistenza del governo francese, scettico sul cedere il controllo della multinazionale all'industria pubblica italiana. In base all'accordo siglato tre anni fa, e rivendicato come vincente dall'allora governo Gentiloni, lo Stato francese dovrebbe vendere il 50% del capitale a Fincantieri e prestargli, per un periodo di dodici anni, l'1% del capitale al fine di garantire il controllo al colosso italiano. I cantieri di Saint-Nazaire sono per l'84% del capitale controllati proprio dall'esecutivo francese, che si è però mostrato recalcitrante nel finalizzare l'accordo e ha buttato la palla tra le braccia della Commissione Europea, che dovrebbe vigilare sul rispetto dei principi di libera concorrenza. La strategia francese è chiara, pur nella sua sofisticazione: spingere le istituzioni europee a dire no alla fusione al fine di schermare il proprio protezionismo economico ed industriale.

Ma perché la Commissione potrebbe sancire un diniego sull'operazione?

Dopo la fusione, Fincantieri, che è già il più grande costruttore di navi da crociera in Europa, si ritroverebbe con un solo concorrente europeo, la tedesca Meyer Werft. Troppa concentrazione di capitale, dunque, secondo una possibile interpretazione delle norme europee sulla concorrenza.

Tuttavia, la Commissione è apparsa meno solerte in altri casi, quando le concentrazioni e le fusioni potevano danneggiare gli interessi di aziende dei paesi periferici. E, al tempo stesso, Parigi è apparsa meno prudente quando si è trattato di fondersi con aziende italiane di cui i transalpini avrebbero ottenuto controllo e sedi, come nel caso di Fca-PSa, Essilor-Luxottica, le banche e la moda. Anche qui il progetto francese è ben visibile: prima la Francia, non esistono fusioni come partner di minoranza dell'Italia. Ciò perché nella gerarchia europea deve essere palese quale sia la potenza che collega il cuore dell'Europa a quella mediterranea. Meno l'Italia è autonoma ed indipendente sul piano industriale-finanziario, maggiore è la capacità negoziale francese verso la Germania e gli attori extra-europei. Il protezionismo aggressivo di Parigi, paese che non a caso per primo ha istituito un ufficio governativo per l'intelligence economica, incontra la mollezza e la compiacenza delle istituzioni europee. Esse esprimono una falsa posizione mercatista e liberista, sulla base della quale si legittimano i no alle concentrazioni di capitale politicamente ingestibili, che si incastona in un gioco di interessi nazionali. È ridicolo che l'Unione si presti ad impedire la nascita di un grande gruppo industriale europeo, mentre non rinuncia alla pretesa di regolare minuziosamente tutto il mercato interno. Abbiamo davvero bisogno di una Europa che regoli le misure degli ortaggi o la grandezza delle finestre e, al tempo stesso, favorisca i protezionismi nazionali in settori industriali che competono su scala globale?

In ogni caso, qui siamo più nel campo della politica che dell'economia. E dunque non soltanto la Francia, ma anche la Germania e l'Olanda hanno interesse che la fusione Fincantieri-Stx salti, poiché detentrici di aziende nazionali concorrenti nel medesimo settore. Emerge qui tutta la fragilità dell'Europa delle piccole patrie. Mentre il resto del mondo si organizza in colossi e corre verso oligopoli che schiacciano i piccoli, il capitalismo statale europeo e le sovrastrutture delle istituzioni di Bruxelles restano inceppate nei piani nazionali. Tutto a vantaggio di Cina e Stati Uniti, di cui per altro si tollerano senza problemi sia le incursioni dei fondi sovrani della prima nelle aziende e nelle banche europee sia le distorsioni del mercato dei monopoli digitali dei secondi. Un atteggiamento che cozza anche col discorso programmatico di Emmanuel Macron che aspira ad una sovranità ed indipendenza europea sul fronte tecnologico e digitale. Viene da chiedersi cosa succederebbe se proprio nel settore digitale o tecnologico la Francia, o un altro paese europeo, fossero indietro su questo fronte rispetto a qualche concorrente continentale e dunque si trovi in procinto di essere assorbito dal competitor più forte. Si impedirebbero ancora le fusioni con ulteriore assottigliamento della capacità europea rispetto ai due grandi imperi? L'incapacità di creare campioni globali è una delle fonti di debolezza europea. Lo sarà ancora di più, in prospettiva, considerando il sempre maggiore coinvolgimento dello Stato nelle economie del continente. Il protezionismo e l'irrigidimento del capitale europeo aumenteranno ancora nei prossimi anni. Il rischio del declino dell'industria europea per nanismo e frazionamento non è trascurabile. Quella di Fincantieri-Stx è soltanto uno dei troppi casi di interferenza scoordinata tra politica e mercato.

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Lorenzo Castellani