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(Riccardo Antimiani - Pool/Getty Images)
Politica

Il 2020 da dimenticare del ministro Spadafora

Sì è trovato a gestire la più grande crisi dello sport nel Dopoguerra. Scontentando tanti, facendosi nemico il CIO e incorrendo in una serie di gaffes...

L'ultimo Spadafora del 2020 potrebbe essere il primo del nuovo anno, il 2021 in cui anche il mondo dello sport ripone grandi speranze di ripartenza dopo aver vissuto il periodo peggiore dal Dopoguerra. Una crisi che ne ha messo in pericolo la stessa sopravvivenza, dal modello professionistico dei calciatori a quello degli atleti olimpici, fino ad arrivare alla base di una piramide che lega insieme decine di milioni di italiani. Un esercito che alle prossime Olimpiadi di Tokyo, sempre se in estate il Covid sarà stato sconfitto, rischia di sfilare senza bandiera. L'effetto della posizione "illegale" (parole del presidente del Coni, Giovanni Malagò) in cui oggi si trova lo sport italiano nei confronti dei diritti e doveri della carta olimpica in cui al punto uno è scritto in maniera chiara e inequivocabile l'obbligo di autonomia dalla politica e da ogni forma di controllo diretta.

Il braccio di ferro va avanti e si è sovrapposto in questo 2020 da incubo con la peggiore crisi economica del settore. E la ciliegina della torta è stato il pasticcio del presidente di Sport e Salute, Vito Cozzoli, scopertosi a un passo dall'addio con due anni di anticipo perché... pensionato. A insaputa del suo ministro di riferimento, lo stesso Spadafora, con tanto di botta e risposta attraverso comunicati. Nessuno glielo aveva detto, anzi no. Era stato informato. O chissà cosa. Il prodotto è stato l'ennesimo cortocircuito di dodici mesi vissuti pericolosamente ma che nella narrazione ministeriale hanno rappresentato il compimento di un lungo percorso verso un traguardo storico.

Quale? Quello della riforma dello sport che ha tenuto impegnati tutti - anche all'interno della stessa maggioranza - per mesi mentre fuori il mondo dello sport veniva giù con palestre e associazioni chiuse causa Coronavirus, campionati cancellati, club professionistici indebitati e tutti gli altri in fila ad attendere un gesto concreto da parte del ministro e del Governo. Qualcosa che andasse oltre la logica dei bonus a pioggia per i "lavoratori sportivi" che sono stati certamente un'ancora cui aggrapparsi per tanti tradizionalmente esclusi dal circuito delle forme di sostegno al reddito ma, al tempo stesso, sono finiti con l'assomigliare sinistramente una gigantesca operazione di lancio di denaro da un elicottero. Con qualche profilo di dubbia liceità se è vero che in dicembre la Guardia di Finanza ha deciso di vederci chiaro.

Troppi 94 milioni di euro in un mese a fronte di un totale di 117.308 richiedenti: un autentico boom di domande avanzate, questo il dubbio di chi ha voluto acquisire tutta la documentazione, anche da persone che mai prima di allora avrebbero lavorato nell'ambito sportivo. Né nel 2020 e nemmeno nel 2019. Una sorta di reddito di cittadinanza bis mentre il mondo dello sport, quello vero, sta morendo soffocato da divieti, limitazioni, prescrizioni, spese per adeguarsi e nuovi divieti.

La riforma dello sport poi è arrivata in porto, a novembre. Non tutta, però, e non senza polemiche. Dei sei decreti solo cinque hanno superato il taglio del Consiglio dei Ministri che ha cassato quello centrale e più delicato riguardante ruoli e funzioni degli organismi sportivi. La governance è rimasta intoccabile mentre ci si è portati avanti su tutele per i lavoratori del settore, professionismo sportivo, abolizione dei vincolo e una serie di principi anche condivisibili se presi singolarmente ma a forte rischio implosione in un mondo già duramente provato dalla crisi. In ginocchio. E con la prospettiva di dover sostenere a breve un ingente sforzo economico per mettere in regola, ad esempio, centinaia di migliaia di collaboratori. Non è un caso che quella riforma abbia scontentato un po' tutti, chi con toni apocalittici e chi in versione soft. Tutti contro, però, appassionatamente.

Le prime pagine dei giornali, Vincenzo Spadafora se le era guadagnate però soprattutto in primavera per la sua cocciuta battaglia contro il ritorno in campo della Serie A. Ora, il Paese aveva ben altro per la testa, ma vedere il ministro dello Sport cercare e fare sponda verso qualunque discorso pro-chiusura senza considerare l'enorme impatto che il lockdown senza fine avrebbe avuto su un'industria da 3,5 miliardi di euro di fatturato e che con i suoi soldi aiuta a tenere in piedi tutto il resto (senza contare l'indotto) ha sorpreso molti. Nelle redazioni sportive è diventato rapidamente il "Ministro contro lo Sport" attirandosi critiche e ironie. E' stato il presidente capace di dare luce verde alla disputa dell'ultima giornata di campionato prima della stretta (8 marzo) insieme al suo presidente del Consiglio e di attivarsi poche ore dopo perché saltasse tutto, con le squadre già negli spogliatoi pronte a scendere in campo.

Si è battuto fieramente perché il calcio fosse trasmesso in chiaro e gratis dimenticando i diritti di chi quelle immagini le paga profumatamente. Ha spalleggiato l'Assocalciatori, poi smentita dalla sua stessa base. Duellato con Lega e Figc (anche se adesso il presidente Gravina ne parla bene), paragonato la Serie A con il suo giro d'affari a un qualsiasi corso di danza (se chiude il secondo perché non deve farlo il primo?), immaginato che Ronaldo e Lukaku dovessero andare ad allenarsi al parco come runner qualsiasi e non nei propri centri sportivi e rischiato di mettere l'Italia del pallone fuori dal contesto europeo. Poi sull'orlo del burrone, superato a destra e sinistra dai governatori regionali che molto pragmaticamente hanno smontato una per una le sue posizioni, si è allineato cambiando rotta e provando a rivendersi come colui che aveva salvato il calcio.

Più volte nel corso del 2020 i rumors su una sua dimissione si sono sprecati. Ha anche provato a minacciare di prendere tutto e lasciare il ministero, ma non è mai passato dalle parole ai fatti. Lo sport italiano lo ritroverà a inizio 2021 dove lo ha lasciato alla fine del 2020. Con la speranza che il prossimo sia un anno migliore. I maligni direbbero che fare peggio...

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Giovanni Capuano