Quanta ipocrisia sul processo a Salvini
(Ansa)
Politica

Quanta ipocrisia sul processo a Salvini

Tutte le incongruenze procedurali e politiche dietro al'udienza che attende l'ex Ministro dell'Interno accusato di sequestro di persona

Domattina, a Catania, comincia l'udienza preliminare del processo più strano dell'ultimo decennio. Il processo, che sarà deciso o fermato da un giudice che si chiama Nunzio Sarpietro, riguarda la motonave Gregoretti, della Guardia costiera: l'ex ministro dell'Interno Matteo Salvini è imputato di sequestro aggravato e continuato, un reato che prevede fino a 15 anni di reclusione, perché da quella nave nel luglio 2019, quando ancora era al Viminale, avrebbe impedito lo sbarco di 131 clandestini.

Il processo Gregoretti non è soltanto strano: è avvolto anche da un imbarazzante profumo d'ipocrisia. Giuristi e magistrati sostengono che il processo sia addirittura insensato, perché sindacherebbe la libera iniziativa politica di un ministro, costituzionalmente garantita. Lo stesso Carmelo Zuccaro, procuratore di Catania, un anno fa aveva chiesto il proscioglimento del leader della Lega: «Non sussistano i presupposti del delitto di sequestro persona né di nessun altro delitto» sosteneva Zuccaro. E aggiungeva: «Questo pubblico ministero ritiene che l'avere prolungato per circa tre giorni la permanenza a bordo della nave Gregoretti dei migranti salvati in mare da unità militari italiane - garantendo comunque loro assistenza medica, viveri e beni di prima necessità, e consentendo l'immediato sbarco di coloro che presentavano seri problemi di salute e dei minorenni - non costituisca una illegittima privazione della libertà personale punibile ai sensi dell'art. 605 del Codice penale». Non era servito a nulla. Il tribunale dei ministri aveva poi deciso diversamente, con la richiesta di rinvio a giudizio sulla quale il giudice Sarpietri dovrà decidere domani.

Mesi fa Carlo Nordio, che è stato procuratore aggiunto a Venezia ed è magistrato esperto e accorto, aveva già notato il paradosso di questa situazione: «Se Salvini alla fine andrà a processo a Catania», aveva detto in gennaio, «si verificherebbe una situazione paradossale, e cioè che il pubblico ministero, il quale ha già sostenuto che il reato non c'è, dovrebbe chiedere subito il proscioglimento dell'imputato».

Si vedrà domani che cosa accadrà. Va detto, però, che le stranezze (e le ipocrisie) non si fermano qui. Perché accade che lo stesso ex ministro che oggi è imputato e rischia il processo per il caso Gregoretti, non sarà mai invece processato per il caso, che pure è identico e parallelo, della nave Diciotti: alta motonave dela Guardia costiera bloccata con il suio carico di migranti-clandestini. Da quell'accusa l'ex ministro dell'Interno è stato «assolto» preventivamente nel marzo 2019 dal Movimento 5 Stelle, che allora era suo alleato di governo e in Senato ha bocciato l'autorizzazione a procedere. Ma poi l'alleanza con la Lega è caduta, un anno fa, così lo scorso 20 febbraio i grillini hanno votato per il sì al processo sulla nave Gregoretti. Ma questa disparità di trattamento può dirsi giustizia? O non piuttosto qualcosa di molto strano davvero, e di molto ipocrita?

La magistratura nel suo insieme ha mostrato una sconcertante ipocrisia sulla vicenda. Tutti oggi sembrano aver dimenticato il dialogo rivelatore intercettato nell'estate 2019 tra il capo della Procura di Viterbo, Paolo Auriemma, e il collega Luca Palamara, ex membro del Consiglio superiore della magistratura, ex capo dell'Associazione nazionale magistrati, in quel momento indagato a Perugia. «Mi dispiace dover dire che davvero non vedo dove Salvini stia sbagliando» sosteneva Auriemma. Poi aggiungeva: «Illegittimamente si cerca di entrare in Italia, e il ministro dell'Interno interviene perché questo non avvenga… Questo è il punto di vista tecnico, al di là del lato politico. Tienilo per te, ma sbaglio?». Palamara gli rispondeva: «No, hai ragione. Ma ora bisogna attaccarlo».

Anche Renato Panvino, che all'epoca era magistrato della Direzione investigativa antimafia di Catania, parlando al telefono con Palamara valutava negativamente l'operato della sua stessa Procura, e a Palamara confidava: «Io credo che rafforzano Salvini così». E il suo interlocutore concordava: «Lo temo anch'io…».

Ma le stranezze continuano. Perché in un'intervista a Repubblica il giudice dell'udienza preliminare di Catania, Nunzio Sarpietro, ha appena assicurato tutti di non avere nulla a che fare con Palamara e ha aggiunto questa dichiarazione: «Io non faccio politica. Il senatore Salvini non ha alcun motivo di preoccuparsi: qui troverà un giudice terzo e soprattutto sereno, spoglio di qualsiasi pregiudizio, che gli garantirà un processo giusto ed equo». Ma è forse normale che un giudice offra questo tipo di rassicurazioni al suo imputato, e che lo faccia proprio con il giornale che guida la linea più colpevolista?

I più letti

avatar-icon

Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

Read More