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(Ansa)
Politica

Quel che resta del PD è aggrappato alla popolarità di Conte

la triste fine della sinistra, sconfitta da Renzi, spettatrice passiva della crisi ed oggi aggrappata ad un'unica idea: Giuseppe Conte

Una zattera in balia delle onde. Un tappo di sughero travolto dagli eventi. Perennemente a rimorchio di qualcun altro. Berlinguer e Togliatti si staranno rivoltando più volte nella tomba, vedendo gli eredi del Pci aggrappati ancora alla giacchetta di Giuseppe Conte. Perché nella sua lunga e avventurosa storia, mai il centrosinistra era caduto così in basso.

L'opzione Draghi è il colpo di grazia sferzato su un partito che ha perso ogni punto di riferimento. Ogni direzione. Ogni capacità di pensiero autonomo. In queste ore concitate, i leader Pd risultano non pervenuti: e se c'erano dormivano. Anche i sassi avevano capito, mentre naufragavano i tentativi del presidente Fico di acconciare una maggioranza, che dietro l'angolo stava arrivando l'ex governatore Bce. L'avevano intuito tutti, tranne gli amici del Nazareno. Come il palo della banda dell'Ortica di Jannacci: "A vederci non vedeva un'autobotte. Però a sentirci ghe sentiva un accident".


Per comprendere come i nipoti di quella che una volta era la gloriosa sinistra italiana siano allo sbando più totale, basta ripercorrere le inversioni a U del vascello del Pd. "Mai con il movimento Cinque Stelle", "Andiamo con il movimento Cinque Stelle". "Mai più con l'inaffidabile Renzi", "Nessun veto su Renzi". "O Conte o elezioni", "Non possiamo andare alle elezioni". Insomma il Pd con i cugini di Leu, non riescono a imboccare una strada senza finire contromano dopo cinque minuti. Non riescono a intuire il giro del fumo, senza mettersi controvento.

Succede, quando una volta lo stratega era D'Alema, e adesso è Bettini, il Richelieu thailandese, che parla a nome non si sa di chi, e come si muove sbaglia. Succede, quando il segretario Zingaretti non riesce a esprimere una linea indipendente ma le prende a noleggio dagli altri partiti: come direbbe Nanni Moretti, "dite qualcosa di sinistra". O perlomeno dite qualcosa, date un segno di vita, fateci sentire se c'è ancora battito da quelle parti.

Ora che sul tavolo è stata calata la carta Draghi, la zattera rischia di affondare. Dire di no a questo governo per il centrosinistra sarebbe inammissibile: immaginate l'imbarazzo di un partito che si è sempre definito "istituzionale" e "di sistema", che rifiuta il nome di Draghi dopo aver accettato ad occhi chiusi Conte, Casalino e la Azzolina. Eppure nelle file del partito si procede in ordine sparso. C'è chi si allinea a Mattarella pronto a votare la qualunque. Chi deciderà all'ultimo, rimpiangendo il Conte-bis. C'è chi dice che Draghi non durerà e sogna le elezioni.

Insomma, una Caporetto. Una deriva di una tristezza assoluta, se pensiamo che in queste ore alcuni pasdaran del partito stanno supplicando Di Maio e Conte di non voltare le spalle a Draghi, al fine di salvare l'alleanza giallorossa. Non a caso l'uscita di oggi di Conte, che benedice il nuovo governo sperando che sia di matrice politica, è stata accolta da Dario Franceschini con un tweet di giubilo: evidentemente un pezzo del Pd si ostina a voler morire contiana, procedendo all'ombra dell'avvocato per sfruttarne la popolarità.

Ma com'è possibile che il partito dalle radici più antiche, quello ideologicamente più strutturato, quello con un bagaglio intellettuale più corposo, sia finito così? Con una classe dirigente che oggi pende dalle labbra del giurista di Volturara Appula, e di ciò che resta dei Cinque Stelle?

Non è un belvedere, e non è un bene per nessuno. Lo facciamo notare perché in una democrazia compiuta e funzionante è auspicabile che vi sia un partito di sinistra in salute, una compagine progressista che possa garantire un bilanciamento delle idee, una rappresentanza delle classi subalterne, o perlomeno qualche straccio di idea decente. E' vero che i socialisti nel mondo non si sentono tanto bene: ma il nostro centrosinistra si distingue: ha già un piede nella fossa.

Il Pd veniva accusato di non essere più capace di procurarsi voti, ma solo di gestire il potere. E lo dimostra il fatto che avendo solo l'11% del Senato esprima in un colpo solo il Quirinale, il rappresentante italiano a Bruxelles (Gentiloni), il presidente del Parlamento europeo (Sassoli), il vicepresidente del Csm (Ermini). Dopo quest'ultima disfatta dobbiamo aggiornare il giudizio: oltre a perdere le elezioni, hanno perso anche la faccia.

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Federico Novella