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Il Marchese del "Beppe" Grillo

L'inciucio con il Pd per il Conte-bis mette la parola fine al Movimento nato per combattere il sistema. Ed anche al suo leader

Come si chiamava quel film con Alberto Sordi? Ah sì, Il marchese del Grillo. La pellicola è del 1981 e il regista è Mario Monicelli, uno che meglio di chiunque altro ha rappresentato la commedia italiana. Beh, il film mi è ritornato in mente in questi giorni. Perché quello che è andato in scena nell’ultimo mese sul teatro della politica italiana altro non è che una commedia. Che cosa potrebbe essere, del resto, la storia di un comico che prima fonda un movimento che vuole cambiare l’Italia e poi porta il partito a salvare l’Italia alleandosi con quelli che considerava il peggio dell’Italia?

Una volta si diceva che si nasce incendiari e si finisce pompieri. Ma Beppe Grillo non è nato incendiario, lo è diventato e pure in tarda età. Colpa delle battute scorrette, colpa dei socialisti che pensavano di essere i padroni d’Italia, colpa della Rai che è sempre stata filogovernativa, pure quando a comandare erano i 5 Stelle e la Lega. Sta di fatto che Beppe dalla politica è stato cacciato e con un certo numero di anni di distanza alla politica, ma questa volta tenendola in mano come un’arma, è tornato.

Certo, dieci anni fa, quando partì, nessuno avrebbe scommesso un soldo sulla nascita di un movimento che scardinasse il bipolarismo destra-sinistra. Nessuno avrebbe potuto immaginare che a sfasciare la seconda Repubblica sarebbe bastata una barzelletta. Anzi, un vaffa. Eppure, sposando la causa anti-Casta, antivaccini, anti-pannolini (femminili), anti-Euro e le scie chimiche, Grillo ha costruito un partito che ha conquistato il Parlamento. Chi poteva pensare, dieci anni fa, che uno steward dello stadio San Paolo potesse diventare prima vicepresidente della Camera, poi vicepremier e infine ministro degli Esteri. Certo, nessuno poteva credere, nel 2009, che l’uragano dell’antipolitica avrebbe spazzato i partiti tradizionali, fino a stravolgere la geografia politica dell’Italia. Eppure è ciò che è successo.

Che tutto stesse per cambiare avremmo dovuto capirlo già cinque anni fa, quando il marchese del Grillo si presentò davanti a Matteo Renzi e in una diretta streaming da Palazzo Chigi gli impedì di parlare, dicendogli in faccia «tu sei un giovane-vecchio», uno che rappresenta le banche, il sistema, il potere. Noi, al contrario, vogliamo cambiare, per questo non abbiamo nulla da dirci. Furono dieci minuti di teatro, di pura comicità: una commedia alla Monicelli, recitata davanti alle telecamere nel cuore del Palazzo. Con un Grillo che diceva in faccia a Renzi: io sono io e tu non sei un cazzo.

Dal 2014 al 2016 il passo è breve e l’uomo che credeva di rottamare il mondo si ritrovò rottamato, come capita spesso ai più puri che alla fine trovano uno più puro che li epura (la frase non è mia, ma di Pietro Nenni, figura storica del socialismo italiano). Così al suo posto, a Palazzo Chigi, nel 2019 ci ritroviamo i grillini, i quali però, pur volendo aprire il Parlamento come una scatola di tonno, finiscono in gabbia, preda del truce Salvini che minaccia di far fare loro la fine dei tonni e invece presto diventa lui la preda. E qui, dopo essersi auto esiliato, torna il marchese del Grillo, il quale in barba a tutti i discorsi grillini - uno vale uno, i due mandati, la democrazia online e tante altre belle cose che hanno fatto la storia del Movimento - detta la linea a Luigi Di Maio e compagni: il governo con il Pd si deve fare, non c’è da discutere. Accantonati i programmi di dieci o venti punti, via pure il capo politico, al suo posto meglio un signore che fa il baciamano ed è  perfetto per far parte del sistema.

Non importa poi che fino a ieri, per i 5 Stelle, il Partito democratico fosse quello di Bibbiano e neppure che portasse sulle spalle la storia delle banche fallite, né che per fare l’alleanza si dovesse trangugiare la nomina di Paolo Gentiloni a commissario Ue, quella Ue che si voleva abbattere, quel Paolo Gentiloni che alle elezioni dello scorso anno era il nemico da mandare a casa. No, l’importante è scamparla bella, ossia evitare il voto, che per il Movimento apriscatolette di tonno potrebbero rappresentare la fine, perché dopo solo 5 anni è il sistema ad avere aperto i 5 Stelle come una scatola di tonno, mettendone a nudo debolezze e difetti. Ciò che conta, insomma, è salvarsi e se serve ci si può alleare anche con il Pd, rinunciando a gran parte dei principi che si sbandieravano fino a ieri. E così, per necessità di sopravvivenza, si nasce incendiari e si finisce pompieri. Si nasce anti Casta e si finisce a far parte della Casta. Uno è uno, ma Grillo è di più. E nessuno si deve permettere di denunciarne le contraddizioni, né di rappresentare quel che è successo come una commedia all’italiana. Perché, per il marchese del Grillo, lui è lui e gli altri non sono un cazzo. La commedia può continuare. 

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Maurizio Belpietro