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Politica

Green pass, perché la ricetta di Macron non è detto funzioni in Italia

Certificazione per muoversi, vaccini obbligatori e stretta sui controlli: la ricetta del presidente francese piace alla politica italiana, ma ha molti punti da chiarire

Andiamoci piano con le ricette in salsa napoleonica. Siamo proprio sicuri che il "green pass" di Emmanuel Macron sia il Santo Graal anticovid? Siamo sicuri che imporre il vaccino per entrare nei bar, nei ristoranti, nei cinema, insomma per partecipare alla vita sociale sia davvero la strada giusta sul piano politico, epidemiologico, economico e costituzionale? In teoria sì, giurano in tanti. Ma in pratica?

Sia chiaro: che la salvezza passi anche dal vaccino è evidente. Qui nessuno lo mette in dubbio. Ma sull'ultima sortita del presidente francese vediamo in giro troppa faciloneria, troppa disinvoltura. Troppa gente con la verità in tasca, pronta ad importare la ricetta Macron anche domattina.

Primo problema, la fattibilità. Non potendo murare in casa i non vaccinati, si pone il dilemma di come eseguire i controlli fuori dai centri commerciali, dai musei e via dicendo. Chi si prende la responsabilità di controllare? La polizia? I ristoratori? I baristi? Come la mettiamo se disgraziatamente bisognerà ricominciare daccapo le vaccinazioni per affrontare le varianti? Come consideriamo quei cittadini che magari vorrebbero vaccinarsi, ma sono ancora in fila aspettando il proprio turno? Li isoliamo come gli altri, o chiudiamo un occhio?

E i dubbi non sono finiti. Quindi sediamoci un momento e ragioniamo, senza cadere in ginocchio estasiati di fronte ai discorsi di Macron. Per dire, che succede a chi viene beccato senza pass, lo multiamo insieme all'esercente? Gli mettiamo le ganasce alla macchina? Qualcuno ha calcolato quale sarà il contraccolpo del green pass su bar e ristoranti, che sicuramente accuseranno almeno inizialmente un calo di affluenza? E ancora: quale sarà l'autorità competente che coordinerà la gestione della pratica? Che ruolo avranno i governatori delle regioni, alcuni dei quali hanno già approvato entusiasticamente il progetto? Torneranno ad accapigliarsi con il governo centrale? Insomma, non vorremmo che il green pass facesse la fine ingloriosa dell'app immuni, quel flop assoluto che avrebbe dovuto garantire la tracciabilità dei contagiati. Ecco, quanto è alta la probabilità che il green pass alla francese diventi l'ennesimo pasticcio all'italiana?

Il secondo problema riguarda le libertà costituzionali. Costringere le persone al vaccino sottraendo loro vita sociale, non è forse un modo surrettizio di introdurre l'obbligo vaccinale? Se fosse così, molti cittadini non lo accetterebbero. Sarebbe un gesto di vigliaccheria istituzionale. Se obbligo vaccinale dev'essere, allora lo si dica chiaro e tondo. "Green pass", scritto così, sembra la tessera del WWF. Invece governo e parlamento, con atti ufficiali, devono assumersi fino in fondo la responsabilità politica di quello che sarebbe a tutti gli effetti un trattamento sanitario obbligatorio, senza passare attraverso etichette pettinate.

E' una questione di onestà e trasparenza. Abbiamo avuto un governo che ha gestito la pandemia tramite dpcm: sarebbe bene non ripetere gli errori del passato. Qualcuno, nei palazzi del potere, dovrà prendersi la briga di imporre un provvedimento che imporrebbe un obbligo di portata storica, ben sapendo che danziamo sui limiti della Costituzione. E ben sapendo che sui vaccini, sui loro effetti, sulle loro limitazioni, sulle fasce anagrafiche consigliate, non sembra ci sia pieno accordo nella stessa comunità scientifica.

Detto questo, chi finora si è vaccinato ha tutto il diritto di voler evitare un nuovo lockdown. E' comprensibile. Ma certe domande bisogna farsele, senza criminalizzare chi sulla gestione del vaccino ha legittimi dubbi. Altrimenti si rischia di ragionare con le viscere e non con la testa. Si rischia di cadere nell'ideologia ultras provax, uguale e contraria all'ideologia novax. E non abbiamo bisogno né dell'una né dell'altra.

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Federico Novella