Ma che amici ha Tiziano Renzi?
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Ma che amici ha Tiziano Renzi?

L'affaire Consip è solo l'ultima inchiesta che coinvolge amici e collaboratori del padre dell'ex premier. Che viene chiamato ancora in ballo dai magistrati

Carlo Russo, detto l’ «omino». C’è una costante nella recente ribalta di Tiziano Renzi, padre dell’ex premier Matteo: essere amico di chi si impelaga. La calamita stavolta ha attratto un trentatreenne di Scandicci, ruspante e ricciolone, imprenditore multiforme: Carlo Russo, appunto. Intimissimo di papà Renzi. I due vanno insieme anche in pellegrinaggio a Medjugorje. Adesso, invece, condividono l’iscrizione nel registro degli indagati nell’inchiesta della Procura di Roma sugli appalti della Consip, la centrale acquisti della Pubblica amministrazione.

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I pm ipotizzano per Russo e Renzi senior il reato di traffico illecito di influenze. Sarebbero stati i mediatori di un presunto accordo corruttivo a favore dell’uomo d’affari napoletano Alfredo Romeo. Che, in diversi colloqui intercettati con Russo, farebbe riferimento al ruolo del «babbo» dell’allora premier.

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Tiziano Renzi pare, infatti, che conosca bene Luigi Marroni, nominato a giugno del 2015 amministratore delegato di Consip proprio dal governo del figliolo Matteo. Tra le carte sequestrate, scrive Il Fatto quotidiano, ci sarebbe un appunto vergato da Romeo: «30 mila euro al mese a T.». E subito si è fatto il collegamento con Tiziano Renzi. Un’ipotetica dazione, mai avvenuta, che avrebbe dovuto agevolare i rapporti con la Consip. Il Corriere della sera, invece, indica un presunto pagamento di 70 mila a Russo. Ipotesi smentita dall’ex parlamentare e oggi consulente di Romeo, Italo Bocchino, pure lui indagato, con una lettera al quotidiano milanese: «L’atteggiamento sia dell’avvocato Romeo che mio circa ipotetiche richieste di pagamento è sempre stato di rifiuto categorico».

L’inchiesta comunque sembra alle battute iniziali. Tiziano Renzi sarà interrogato presto dai pm romani. Mentre il suo avvocato, Federico Bagattini, invoca prudenza: «Ricordiamoci come è finita a Genova...». Il legale ha perfettamente ragione: in quel procedimento, Renzi senior, accusato di bancarotta fraudolenta, è stato archiviato a giugno del 2016. Ai suoi ex soci non è però andata altrettanto bene. Lo scorso novembre, Mariano Massone viene condannato dal Tribunale di Genova a due anni e due mesi e Antonello Gabelli a un anno e otto mesi. Il patteggiamento riguarda la bancarotta fraudolenta della Chil Post: l’azienda di marketing venduta nel 2010 dalla famiglia Renzi, in cui ha lavorato il giovane Matteo prima di dedicarsi alla politica.

La Chil, tralaltro, è finita indirettamente pure in una recente inchiesta della procura di Firenze. A luglio del 2016, emerge un’indagine per riciclaggio a carico del manager Andrea Conticini, marito di Matilde Renzi e genero di Tiziano. I magistrati, sostiene La Nazione, sospettano che soldi dell’Unicef e di Operation Usa destinati alle campagne per i bambini in Africa siano stati usati da Conticini per iniettare capitali in diverse società. Tra queste, ci sarebbe proprio la Chil Promozioni, nata dalle ceneri della Chil e poi diventata Eventi 6, l’azienda dei Renzi tuttora in attività.

Il pantheon di ex soci e fedelissimi di «babbo Tiziano» finiti nei guai è però ben più ampio. A marzo del 2007, l’amministratore della Arturo srl, Pier Giovanni Spiteri, suo vecchio amico e sodale, anche lui di Rignano sull’Arno, viene denunciato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Come la Chil, anche Arturo si occupa di pubblicizzare e distribuire i quotidiani: Tiziano, socio al 90 per cento, è amministratore della srl fino a marzo 2007. Poi passa la mano a Spiteri, che incappa nella denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Non finisce qui. A settembre del 2011 la Arturo, rivela Panorama, viene condannata a risarcire quasi 90 mila euro per il licenziamento di Evans Omoigui. Una somma che Renzi senior non pagherà mai al suo ex dipendente nigeriano: l’azienda, infatti, cessa di esistere a ottobre del 2008.

È nell’ultimo anno, però, che per gli amici di Tiziano i grattacapi si sono moltiplicati. A marzo del 2016, la Guardia di finanza di Arezzo perquisisce l’abitazione di un’altra vecchia conoscenza di Tiziano: Valeriano Mureddu. L’impreditore, anche lui rignanese, è indagato per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. I magistrati ipotizzano che un cospicuo giro di denaro, frutto di evasione fiscale, sia stato impiegato per acquisire grandi società in ambasce economiche. E tra gli inquisiti c’è Flavio Carboni, il più misterioso tra i faccendieri italiani.

Il nome di Mureddu aveva già avuto una certa ribalta. È stato lui, nell’estate del 2014, a fare incontrare proprio Carboni a Pier Luigi Boschi, ex vicepresidente di Banca Etruria e padre di Maria Elena, sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Un colloquio in cui Boschi senior chiedeva suggerimenti per trovare il nuovo direttore generale dell’istituto aretino. La circostanza viene svelata da Libero. E Mureddu, compulsato dai giornali, conferma l’amicizia e i rapporti d’affari con Tiziano Renzi. Tra cui la vendita di un terreno, scoperta da Panorama, a Nerina Keeley, ex moglie di Mureddu. Un appezzamento che apparteneva a Renzi e ad Andrea Bacci, imprenditore di Rignano sull’Arno, anche lui adesso in pesanti ambasce.

Bacci non è solo l’ex socio del padre del premier nella Raska service. O l’uomo che l’ha instradato al business degli outlet. È un fidatissimo amico di famiglia. Un rapporto poi mutuato dal figlio Matteo. Che nomina Bacci prima alla guida di Florence multimedia e poi nella Silfi, società pubblica di illuminazione. E, quando l’ex Rottamatore comincia la sua corsa verso la presidenza del Consiglio, l’impresario è tra i suoi primi finanziatori. Un’irrestibile ascesa che sembra però essersi interrotta a novembre del 2016. Quando la procura di Firenze chiede il fallimento della Coam: l’azienda di Bacci che, come documentato da Panorama, ha ristrutturato la villa di Matteo Renzi a Pontassieve, tra il 2004 e il 2006 (e, più recentemente, un immobile della famiglia di Luca Lotti).

I magistrati, contestualmente, avviano ulteriori verifiche, ipotizzando ricorso abusivo al credito e distrazione di denaro dalle casse della società. Questa pesante situazione economica sarebbe la causa dei due atti intimidatori subiti da Bacci. Il 23 gennaio 2017 hanno sparato contro la sua auto. Il giorno dopo, invece, hanno centrato l’insegna della AB Florence, altra ditta amministrata da Bacci. Due settimane prima le cronache giudiziarie toscane si erano occupate di Luigi D’Agostino, imprenditore orginario di Barletta, indagato dalla Procura di Firenze per false fatturazioni. D’Agostino costruisce, spesso proprio insieme a Bacci, outlet di lusso in tutta Italia. Un affare in cui ha coinvolto «babbo Renzi» come consulente. La collaborazione emerge nell’autunno del 2014 quando D’Agostino incontra il sindaco di Sanremo, Alberto Biancheri, per realizzare un centro commerciale nella città dei fiori. Alla riunione partecipa anche Tiziano Renzi, presentato come «responsabile della logistica».

Ci sono però altri intrecci. Tra le società  coinvolte nell’inchiesta fiorentina,  ci sarebbe la Nikila invest, in mano alla compagna di D’Agostino, Ilaria Niccolai,  pure lei indagata. E la Nikila invest è stata  socia di Tiziano Renzi nella Party, con il  40 per cento a testa. Creata a novembre  del 2014, viene però messa in liquidazione  a gennaio 2016, travolta dalle accuse di  conflitto d’interessi.

L’ultima grana che coinvolge amici di Renzi senior è appunto l’affaire Consip. Il padre del già presidente del consiglio è accusato, assieme a Carlo Russo, di  traffico illecito d’influenze. Nell’inchiesta sono indagati per favoreggiamento e  rivelazione del segreto d’ufficio anche il ministro dello sport, Luca Lotti, e il  comandante generale dell’Arma dei carabinieri, Tullio Del Sette. Per i pm romani, che hanno ereditato il fascicolo dalla  Procura di Napoli, Tiziano Renzi e Russo si sarebbero attivati per favorire Romeo. La posta in gioco era alta: un appalto da 2,7 miliardi per la gestione di servizi in  tutti gli uffici pubblici italiani. Romeo, già finanziatore con 60 mila euro della fondazione renziana Open, alla fine la spunta: è primo in graduatoria per tre lotti, con affidamenti pari a 609 milioni di euro. 

L’asticella s’è decisamente alzata. Dalla bancarotta di una piccola azienda che distribuisce giornali all’appalto più grande d’Europa. Da un laghetto per la pesca sportiva a uno sterminato oceano. Ma Tiziano Renzi, audace come il figlio, sa navigare anche in mezzo agli squali

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Antonio Rossitto