Draghi Libia
(M. Turkia, Getty Images)
Politica

Draghi ringrazia i libici per i salvataggi dei migranti e inguaia la sinistra

A Tripoli il premier fa i complimenti alla Guardia Costiera libica, sconfessando la politica delle Ong tanto cara alla sinistra

«Sull'immigrazione c'è soddisfazione per quel che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia. Il problema dell'immigrazione per la Libia non nasce solo sulle coste libiche ma si sviluppa sui confini meridionali della Libia e c'è un dialogo per aiutare il governo libico anche in quella sede. Ma il problema non è solo geopolitico ma anche umanitario, da questo punto di vista l'Italia è uno dei pochi Paesi, forse l'unico, che continua a mantenere attivi i corridoi sanitari».

Quando Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, a Tripoli nella sua prima missione estera da premier, ha pronunciato queste parole lungo la schiena degli uomini della sinistra italiana (molti dei quali parte attiva della maggioranza) è passato molto più di un brivido. Era rabbia pura.

Perché tutto erano pronti ad ascoltare traune una dichiarazione di ringraziamento alla Guardia Costiera libica per il lavoro e l'impegno nei salvataggi dei migranti. Apriti cielo: «Draghi ha espresso 'soddisfazione' per quello che la Libia fa sul salvataggio dei migranti. Significa dirsi soddisfatti della sistematica violazione dei diritti umani. Era inaccettabile quando lo dicevano i suoi predecessori. È inaccettabile anche oggi che a dirlo è lui» è stato ad esempio l'immediato commento di Matteo Orfini, del Pd.

Più dura la paladina dell'accoglienza ad ogni costo, Laura Boldrini che ha parlato di dichiarazione «grave»


Proteste che però serviranno a ben poco. La linea di apertura al dialogo portata oggi da Draghi in Libia ha risvolti economici troppo importanti per essere dimenticati. Un sottile gioco di incastri che la sinistra in qualche maniera dovrà accettare. Piaccia o meno.


Draghi in missione per conte (anche) dell'Europa e della Nato

Mario Draghi si è recato oggi a Tripoli, dove, insieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha incontrato il nuovo premier libico, Abdul Hamid Dbeibah. Il presidente del Consiglio ha cercato, in questo suo primo viaggio all'estero, di ricostruire i legami economici e politici con la Libia, guardando principalmente a un obiettivo: quello dell'interesse nazionale. Le speranze per il futuro quindi sono molteplici.

Innanzitutto è auspicabile che la maggiore esperienza di Draghi in campo internazionale possa finalmente archiviare l'inefficace linea che, sulla Libia, aveva messo in campo il governo giallorosso. Se è vero che il capo della Farnesina è lo stesso di allora, è anche vero che, molto probabilmente, il presidente del Consiglio vorrà avere una maggiore voce in capitolo sul dossier libico. Si spera, insomma, che la linea del governo Conte bis diventi presto soltanto un ricordo: una linea che non è minimamente riuscita a tutelare gli interessi italiani nel Paese nordafricano, una linea che, a gennaio del 2020, si accodò ad un'inefficace azione europea, anziché giocare da protagonista. Una linea che non ha mai trovato molto di meglio se non invocare genericamente "dialogo". Una linea che ha mostrato tutti i suoi drammatici limiti nella questione dei pescatori fatti prigionieri dal generale Khalifa Haftar.
In secondo luogo, anche le condizioni sul terreno libico sono in parte cambiate e, se adeguatamente sfruttate, potrebbero rivelarsi positive per la strategia italiana. Da circa due mesi è al potere il premier Hamid Dbeibah, leader di un governo di transizione che dovrà arrivare alle complicate elezioni del prossimo dicembre. Se da una parte trattare con un governo dalla scadenza così breve può celare delle incognite, dall'altra va anche rilevato come Dbeibah sia un uomo concreto: un imprenditore politicamente trasversale, con cui è probabilmente più facile trovare intese pragmatiche, al di là di settarismi politici ed ideologici. Un fattore questo che il neo premier libico ha messo in evidenza attraverso una certa spregiudicatezza nelle relazioni internazionali, cercando di aggirare la sclerotizzazione dei blocchi geopolitici che aveva caratterizzato la Libia nell'ultimo anno e mezzo.
Pur mantenendosi nell'orbita turca (si è recato in visita da Erdogan lo scorso febbraio), Dbeibah ha accettato centomila dosi di vaccino dalla Russia e, nella stessa giornata di oggi, incontrerà il premier greco Kyriakos Mitsotakis. Ricordiamo, sotto questo aspetto, non soltanto le ataviche turbolenze tra Ankara e Atene, ma anche il fatto che, in Libia, Russia e Turchia abbiano appoggiato due differenti "candidati" al potere. E' quindi in questa linea pragmatica del neo premier libico che Draghi può trovare terreno fertile in materia di accordi economici. Una strada praticabile, ma che non è neppure del tutto in discesa: le mire delle potenze regionali sul Paese restano molte, senza dimenticare poi la concorrenza di alcuni Stati europei (a partire dalla Francia di Emmanuel Macron), oltre all'ingombrante influenza di Erdogan (rispetto a cui la nuova Casa Bianca deve ancora esprimersi chiaramente).
In particolare, i temi centrali dell'incontro tra Draghi e il premier libico sono stati il rispetto del cessate il fuoco, l'energia, il commercio, le infrastrutture e l'immigrazione. "Sull'immigrazione c'è soddisfazione per quel che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia", ha detto il presidente del Consiglio italiano. "Ma il problema non è solo geopolitico ma anche umanitario, da questo punto di vista l'Italia è uno dei pochi Paesi, forse l'unico, che continua a mantenere attivi i corridoi sanitari", ha aggiunto. Una strada che l'inquilino di Palazzo Chigi sembrerebbe intenzionato a percorrere è quella di una riedizione del trattato di Bengasi del 2008: un'intesa che proprio su commercio, energia e gestione dell'immigrazione trovava i propri architravi. Un'intesa, non poco vantaggiosa per Roma, che fu poi spazzata via dall'intervento bellico contro Muammar Gheddafi, promosso dalla Francia di Nicolas Sarkozy e a cui gli Stati Uniti di Barack Obama si accodarono. Ecco: Palazzo Chigi parrebbe avere oggi in mente l'impianto di quell'accordo, tanto più che Silvio Berlusconi – artefice dell'intesa – ha tre ministri nel governo Draghi. In particolare, è da sottolineare la presenza di Mariastella Gelmini che, all'epoca, fu tra i ministri firmatari del patto. Patto che è stato tra l'altro evocato nel vertice di oggi proprio dallo stesso Dbeibah.
Certo: le incognite sono tante. Ricostruire rapporti stabili e fruttuosi dopo dieci anni di caos non è affatto semplice. Quindi nessuno si aspetti dal viaggio odierno un colpo di bacchetta magica. Inoltre, come già in parte detto, la spregiudicatezza geopolitica di Dbeibah può rappresentare un'arma a doppio taglio. Senza poi contare la forte incertezza che pesa sulle elezioni libiche di dicembre: il vero test per capire se il Paese si stia realmente avviando verso una stabilizzazione. Ciò detto, da qualche parte per uscire dal pantano bisogna pur cominciare. Draghi è chiamato ad un compito notevole: in particolare, a gettare le basi per un discorso di lungo termine che potrebbe richiedere degli anni. Un discorso che non necessita di belle parole o speranze rosee, ma – come detto – di tutela dell'interesse nazionale.

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Stefano Graziosi