Mario Draghi
(Ansa)
Politica

Con Draghi più vicini agli Usa

Se il Conte Bis strizzava l'occhio alla Cina l'ex capo della Bce ha un'altra visione della politica estera

L'incarico ricevuto ieri da Mario Draghi per formare un nuovo governo va letto (anche) sotto il profilo di dinamiche politiche internazionali. L'ex presidente della Banca Centrale Europea è uomo notoriamente considerato vicino agli Stati Uniti. E, più nello specifico, la scorsa primavera iniziarono a circolare scenari che, nella creazione di un eventuale post Conte, lo vedevano non a caso contrapposto a Vittorio Colao: figura considerata al contrario maggiormente vicina alla Repubblica Popolare. Insomma, quel che potrebbe essersi verificato negli ultimi mesi è una sorta di duello sotterraneo tra due schieramenti per la "conquista" di Palazzo Chigi: uno filo-americano e uno filo-cinese. Un duello che affonderebbe nella fattispecie le proprie radici nella politica di considerevole apertura che il Movimento 5 Stelle ha portato avanti – attraverso Giuseppe Conte – nei confronti di Pechino.

Una "svolta" che, dalle parti di Washington, non è granché piaciuta. Ricordiamo tutti, del resto, i due viaggi dell'allora segretario di Stato americano, Mike Pompeo, a Roma nel 2019 e nel 2020: viaggi che puntavano, tra le altre cose, a raffreddare i sentimenti filo-cinesi dei giallorossi. E adesso non è affatto detto che, con l'arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, le cose siano destinate del tutto a cambiare. È pur vero che il neo presidente americano abbia di recente adottato alcuni provvedimenti non troppo ostili nei confronti della Repubblica Popolare (come, per esempio, il rientro immediato degli Stati Uniti nell'Oms e negli accordi di Parigi). Ma è altrettanto vero che, pochi giorni fa, il neo segretario di Stato americano, Tony Blinken, abbia severamente criticato Pechino sulla questione di Hong Kong. Insomma, indipendentemente dal colore partitico di chi siede alla Casa Bianca, i vertici di Foggy Bottom non sembrano comunque intenzionati a consentire che Roma scivoli definitivamente verso l'orbita cinese.

È anche alla luce di queste considerazioni che probabilmente a Washington non devono aver troppo gradito la sostanziale equiparazione, avanza da Conte, tra Stati Uniti e Cina. Ecco che allora la nomina di Draghi da parte del Quirinale potrebbe avere l'obiettivo di riequilibrare i rapporti dell'Italia tra lo Zio Sam e il Dragone, dopo la significativa virata contiana a favore di Pechino. E, del resto, l'ipotesi Draghi è stata politicamente caldeggiata da due figure da sempre considerate molto vicine proprio agli Stati Uniti, come il leghista Giancarlo Giorgetti e il leader di Italia Viva Matteo Renzi. È poi ovvio che, per capire il peso di questo riposizionamento filo-americano, bisognerà vedere la composizione dell'esecutivo targato Draghi. Il Quirinale potrebbe infatti propendere per una svolta filo-atlantica marcata oppure moderata. Un'ipotesi, quest'ultima, che parrebbe essere sul tavolo, visto che – secondo varie indiscrezioni – Colao comparirebbe al momento nel totoministri.

È quindi (anche) alla luce di tali dinamiche internazionali che si comprendono alcuni atteggiamenti delle varie forze partitiche in campo. Soprattutto all'interno del Movimento 5 Stelle, dove l'ala considerata più vicina a Pechino non sembra minimamente intenzionata a sostenere Draghi. Se Alessandro Di Battista ha chiuso decisamente, Beppe Grillo ha ribadito la lealtà a Conte. D'altronde, la speranza (un po' velleitaria) di una parte del Movimento 5 Stelle sarebbe quella di bloccare Draghi, proprio per aprire la strada a un Conte Ter: facendo leva sul precedente di Carlo Cottarelli del 2018 e sulle dure parole espresse dal capo dello Stato l'altro ieri contro lo scenario di elezioni anticipate. Non si può certo escludere che, nell'ottica di queste correnti grilline, un ritorno a Conte significhi (anche) un riavvicinamento alla Cina.

Il sostegno a Draghi chiama infine anche in causa il centrodestra. È noto (e comprensibile) che Lega e Fratelli d'Italia preferirebbero la via delle elezioni anticipate. Ma, vista la netta contrarietà del Colle, il tema di un appoggio a Draghi (da capire in quale forma) non può non porsi per entrambi gli schieramenti. E, anche in questo caso, il tema non è soltanto di politica interna. È anche (se non soprattutto) di politica internazionale. Sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni stanno da tempo cercando di accreditarsi oltreatlantico. E, non a caso, entrambi hanno tenuto – soprattutto negli ultimi mesi – una posizione duramente critica nei confronti della Cina (dalla pandemia ai diritti umani). Ecco che dunque entrambi devono essere molto cauti. Certo: è necessario per loro non firmare, come si suol dire, alcuna cambiale in bianco e valutare attentamente il programma di governo che Draghi proporrà nei prossimi giorni. Ma un'eventuale chiusura a priori nei confronti del premier incaricato rischierebbe di non essere capita a Washington.

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Stefano Graziosi