reni calenda
(Ansa)
Politica

La crisi profonda, europea, del «centro» va oltre Renzi e Calenda

Lo strappo nel terzo polo nostrano ha ragioni personalistiche più che politiche; ma altrove le ragioni di simili flop è più sostanziale

Terzo polo non è mai stato. Prima la lista di Calenda e Renzi è arrivata quarta alle elezioni, poi è deflagrata pochi mesi dopo l’inizio della legislatura e cioè quando il leader romano ha tentato un colpo di mano sul partito. Colpo di mano che Renzi non ha gradito e da lì la rottura e la sconfessione del riconoscimento della leadership di Calenda. Una storia, come si vede, più di personalismo che di idee, di convivenze tra ego che di progetti. Renzi, già presidente del Consiglio, non vuole morire per il suo ex ministro Calenda. Mentre questo vorrebbe costruire l’ennesimo partito padronale e personale della politica italiana. Ma se si esce dalla politica politicante per un attimo ci si accorge che la crisi del centro è ben più profonda di quanto si creda e non è soltanto italiana.

Da noi si vagheggia dai tempi di Monti di “praterie al centro”, eppure i leader di successo dell’ultimo decennio sono stati di sinistra (Renzi) o di destra (Salvini e Meloni), nessun centro ha mai scavallato il 10% e quasi sempre queste formazioni, da Scelta Civica a NCD fino ad Azione-Italia Viva, si sono liquefatte una volta entrate in parlamento. Sarà che forse le praterie elettorali non esistono e che il linguaggio del centro non sia che un residuo di una epoca blairana-clintoniana oramai passata?

Prendiamo il resto d’Europa: il populismo centrista di Ciudadanos è evaporato; Macron, pur aiutato da un sistema politico presidenziale, lascerà un partito in macerie e con consensi esigui mentre crescono estrema destra ed estrema sinistra; i liberali tedeschi stanno soffrendo nei sondaggi dopo il primo anno di governo. Anche nei paesi più piccoli partiti liberali e popolari attraversano crisi di consensi e legittimazione.

Il mondo è andato verso la polarizzazione e soprattuto verso un braccio di ferro tra modelli di vita in cui il riformismo fatica ad inserirsi, appare incolore e insapore. Ne consegue che le praterie si riducono a sentiero e con gran parte del centro mangiato dai partiti di destra e di sinistra. E ora in Italia cosa succede?

Sembra incredibile che dopo un divorzio politico conclusosi con insulti a mezzo Twitter il gruppo parlamentare comune di Renzi e Calenda possa sopravvivere, ma è anche vero che avere un gruppo parlamentare ha i suoi vantaggi e forse resteranno separati in casa. Ciò su cui si può scommettere è che Renzi spingerà ad intermittenza i suoi verso il governo, dando una mano sui provvedimenti reputati più condivisibili e aspettando di capire l’evoluzione degli equilibri nella maggioranza. I renziani hanno dei vantaggi nel mostrare una disponibilità sia verso Meloni che a collaborare saltuariamente con Forza Italia. Mentre per Calenda il “richiamo della foresta” a sinistra è più forte, sarebbe uno strapuntino quello che Schlein e Conte potranno forse offrire ma il leader di Azione potrà vendersi la storia di essere indispensabile al centrosinistra. A partire dai comuni dove è previsto il ballottaggio. Prima però c’è il test delle Europee 2024 e allora capiremo davvero l’entità dei danni del divorzio tra Renzi e Calenda. Se le cose andassero male si porrebbe una questione esistenziale del centro.

I più letti

avatar-icon

Lorenzo Castellani