Marrakech, Marocco
Ansa/EPA/JALAL MORCHIDI
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Il comunismo di ritorno

Un nuovo spettro si aggira per l'Europa. È l'ideologia più negativa della Storia che ora riappare sotto forme nuove: pauperismo, accoglienza, politicamente corretto

Non c’è giorno che non venga evocato il fascismo: come se fosse dietro l’angolo, sul punto di tornare; o eterno, come sostenne in un pamphlet ideologico Umberto Eco. Ma vuoi vedere che mentre si narra il ritorno del fascismo si sta preparando un altro inquietante ritorno? Parliamo del comunismo, l’evento che ha più sconvolto il secolo in cui siamo nati, perché è durato tre quarti di secolo, ha coinvolto ben tre continenti e miliardi di sudditi, ha mietuto più vittime in assoluto, per giunta in tempo di pace. Un evento gigantesco, scomparso nel Racconto Collettivo, inghiottito nella preistoria, come se appartenesse a un’era geologica a noi estranea. E invece, eccolo risalire le caverne dell’oblio e tornare a galla nei nostri giorni. Risale in forma di Pauperismo, riemerge in forma di Accoglienza, ritorna nelle vesti globali del Politically correct. Chiamiamolo in sigla Pap-comunismo. È il comunismo di ritorno, come l’analfabetismo, risorto per ignoranza e dimenticanza del passato. Il suo debutto ufficiale sarà a Marrakech col Global compact promosso dall’Onu, il 10 dicembre.

Di che comunismo si tratta? Innanzitutto, non sentite un’ondata globale di guerra ai ricchi, di «livella» egualitaria, di slogan sulle nuove povertà, decrescita felice e vite di scarto? Ora in versione umanitaria, ora pastorale, ora in versione populista e grillina, il pauperismo è tornato e minaccia di colpire tutti coloro che sono considerati benestanti, che abbiano o no meritato la loro vita agiata, abbiano fatto o meno sacrifici, abbiano lavorato, mostrato capacità e prodotto ricchezza anche per la società. Macché, bisogna livellare a prescindere, colpire tutto ciò che eccede il minimo salariale e viene definito d’oro, dalle retribuzioni alle pensioni. Odio e risentimento prosperano in Rete. I ceti medi sono travolti da quest’ondata di pauperismo rancoroso. È il primo livello di comunismo, più grezzo e naive, che torna a galla dopo decenni di mercatismo sfrenato, egoismo e corsa alla ricchezza e ai consumi.

Ma c’è un livello più alto e globale che riguarda l’accoglienza dell’infinito proletariato mondiale attratto dall’Occidente benestante. Per i nuovi comunisti da sbarco non si possono porre freni o argini al sacrosanto diritto delle persone a cercare un destino migliore, a spostarsi e andare dove essi desiderano. La patria è un carcere e, come diceva il vecchio comunismo, i proletari non hanno patria e non hanno da perdere che le loro catene. Un reticolo di associazioni, centri d’accoglienza, organizzazioni non governative, movimenti pro-migranti e strutture parallele, anche catto-umanitarie, sostiene i disperati del pianeta e cerca una nuova alleanza.

Nasce un nuovo proletariato globale, con tutte le tensioni relative che si aprono, i conflitti di classe, d’integrazione e di esclusione, di insicurezza e di lotta. La battaglia successiva è difendere i diritti dei migranti dallo sfruttamento indotto dai nuovi «padroni», dei caporali nelle campagne o delle imprese che li pagano in nero o con salari di fame. Tutto l’impianto ricalca lo schema del comunismo; e come nel comunismo non manca alla base un anelito di verità e di giustizia sociale.

C’è infine un terzo livello ideologico più sofisticato di comunismo che oggi ha trovato un nuovo Pc, non più il vecchio Partito comunista ma il Politically correct. È la nuova ideologia globale che vuol raddrizzare l’umanità, redimerla dai suoi errori e dal suo passato, riscrivere la storia e il lessico, offrire un radioso avvenire di emancipazione e liberazione. Il femminismo, i movimenti lgbt e omosessuali, antirazzisti, antifascisti e antixenofobi sono le sue avanguardie, i suoi nuovi militanti. 

Nel segno del Politicamente corretto la lotta di classe è di nuovo attiva, tra il progresso e la reazione, tra i liberatori e i sessisti, i maschilisti, gli omofobi, tra i rom, i neri, i migranti, i gay, le donne e i loro nemici. La lotta di classe diventa lotta di genere e codice linguistico; vengono colpiti i bastioni della società, la civiltà e le sue tradizioni, la nazione e i suoi confini, la famiglia e la sua struttura naturale. C’è tutta una narrazione quotidiana, pervasiva, a mezzo stampa, tv, scuola e università, con il concorso attivo delle istituzioni o di grandi totem transnazionali, che fomenta in modo ossessivo questa lotta di classe e riduce ogni notiziario, ogni messaggio, ogni appello a variazioni su questi temi.  E resta sullo sfondo l’incognita di come evolverà il «mao-capitalismo» cinese, se darà luogo a forme ibride di comunismo, in Cina, in Africa o nel mondo.

Pauperismo, accoglienza, politicamente corretto. Provate a rivedere insieme, in sequenza coordinata, i tre temi indicati. Ditemi se non si sta formando un nuovo comunismo, su tre livelli. Ditemi se un nuovo spettro non si aggira per l’Europa che somiglia maledettamente al vecchio nonno barbuto.

Ecco il Pap-comunismo. Qualcuno vedrà in quella sigla o acronimo, una perfida allusione a Papa Bergoglio che è diventato il cappellano militante di questi movimenti. Lasciamo che resti quel sospetto ma Pap-comunismo evoca una definizione di Hegel di due secoli fa: «la pappa del cuore». Il filosofo si riferiva alla deriva etico-sentimentale, a quell’umanitarismo retorico e melenso, peloso e fumoso, antenato del buonismo. Quanti crimini si sono commessi per il bene supremo dell’umanità, persino più di quelli che sono stati commessi nel nome della razza o di altri aberranti primati...

Tutto il comunismo è una promessa di redenzione sociale, un sogno di felicità e di giustizia che ha prodotto incubi, oppressioni e massacri più terribili per la storia dell’umanità. E ora sotto nuove vesti, in tre stadi, si riaffaccia nel mondo. 

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Marcello Veneziani