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Perché la liberazione di Kobane non fermerà l'Isis

Gli strike americani e la resistenza curda potrebbero avere la meglio. Ma quella dello Stato Islamico potrebbe essere solo un’azione diversiva

Per Lookout news

Città simbolo della resistenza allo Stato Islamico, Kobane, al confine turco-siriano, è stata ed è da molti mesi teatro di violentissimi scontri tra soldati curdi e miliziani dell’IS. Ma la notizia è che nelle ultime ore il centro cittadino sarebbe stato quasi completamente liberato dalla presenza dei miliziani del Califfato che adesso controllerebbero soltanto il quartiere di Kani Arabane, sebbene la città resti ancora cinta d’assedio.

 Dopo che le forze curde hanno preso la collina strategica di Mishtanour la settimana scorsa e dopo che i miliziani sunniti hanno perso in buona parte la via per i rifornimenti, adesso la battaglia volge forse definitivamente in favore dei curdi. La ricattura della collina potrebbe rivelarsi un momento decisivo per le sorti della battaglia, dato il ritmo molto lento della guerra.

 

Aver costretto la coalizione internazionale a concentrare la gran parte degli sforzi bellici su Kobane ha permesso agli uomini del Califfo di avanzare indisturbati in altri teatri di guerra

Inoltre, le nuove forze fresche messe in campo a Kobane dagli uomini del Califfato sono composte soprattutto da giovanissimi, dunque poco addestrati. Una scelta tattica che potrebbe rivelarsi fatale, così come forse lo è stata l’intera campagna per conquistare la città, dato il ruolo importante, ma non decisivo, di Kobane nello scacchiere siriano.

Da settembre a oggi, l’assedio di Kobane
L’assedio di Kobane è iniziato a metà settembre 2014, quando lo Stato Islamico ha approntato una fulminante campagna nel nord della Siria e catturato centinaia di piccoli villaggi nella regione al confine turco, costringendo due, forse trecentomila curdi a fuggire e sconfinare disordinatamente in Turchia.

 Al loro posto, sono confluiti a Kobane l’esercito del Kurdistan siriano, YPG (braccio armato del PYD, il Partito per l’Unione Democratica), e i Peshmerga provenienti dal Kurdistan iracheno. Da allora, i due eserciti si sono fronteggiati casa per casa, strada per strada, lasciando sul campo oltre milleseicento morti da una parte e dall’altra. La conta dei decessi, tuttavia, dovrà probabilmente essere rivista al rialzo.

 I comandanti militari dello Stato Islamico si sono incaponiti in questi mesi sulla conquista di Kobane, considerata anche sotto il punto di vista di una battaglia mediatica, per dimostrare al mondo la forza dello Stato Islamico. Per tale ragione, hanno speso molti uomini e inviato numerosi mezzi in quell’area, senza però tenere in debito conto che sarebbero stati un facile bersaglio per gli strike della coalizione internazionale a guida statunitense che, difatti, ha dimezzato le loro forze con pesanti raid aerei sulla città. Ma è davvero così? Analizziamo alcuni dati.

Kobane, disfatta di ISIS o azione diversiva?
I bombardamenti intorno a Kobane, sono iniziati il 23 settembre scorso, hanno causato almeno 1.000 morti tra i combattenti di IS e distrutto scorte di armi e numerose forniture del Califfato, secondo i dati forniti dai funzionari del Pentagono. Qui lo Stato Islamico ha usato mezzi come i tank M1-Abrams americani e i T-72 russi (sequestrati da IS dopo la presa di Mosul e la ritirata dell’esercito iracheno), e veicoli armati come gli Humvee e gli MRAP, oltre a pezzi d’artiglieria M198 a lunga gittata.

 In gran parte, questi mezzi sono stati distrutti e il piano dello Stato Islamico di chiudere il nord confinante con la Turchia è apparentemente fallito, anche perché è stata soprattutto la coalizione internazionale a intestarsi la battaglia-simbolo della resistenza alle armate nere, ritenendo che dal punto di vista mediatico questi risultati avrebbero pagato, come difatti sta avvenendo.

 Tuttavia, va sottolineato che dei quasi 2.000 attacchi aerei condotti contro il territorio dello Stato Islamico da settembre a oggi, ben 870 di questi sono stati rivolti in Siria, di cui circa il 70 per cento si sono concentrati proprio su Kobane e dintorni, ovvero un’area che in totale è meno del due per cento dell’intero territorio della Siria occupata. Un fatto che è già costato ai contribuenti americani 8,2 milioni di dollari al giorno, in media. È lo stesso Pentagono a fornire queste cifre.

 Se si aggiunge che il Califfato oggi si estende per circa un terzo della Siria, ovvero ha raddoppiato la propria presenza, c’è ragione di ritenere che in effetti la strategia dello Stato Islamico non sia così folle. I curdi potrebbero ora essere in grado di affrontare IS nelle zone rurali e nella periferia di Kobane, al netto dell’artiglieria a lungo raggio di cui dispone ancora IS, e presto potrebbero piantare il vessillo del Kurdistan su tutta la città.

 Ciò nonostante, aver costretto la coalizione internazionale a concentrare la gran parte degli sforzi bellici su Kobane, dedicandogli “grandi mezzi aerei per un obiettivo minore”, come ha riferito un ufficiale della difesa americana, ha permesso agli uomini del Califfo Ibrahim di avanzare indisturbati in altri teatri di guerra, e ai comandi militari sunniti di adattare le loro mosse a questo scenario e di produrre nuove manovre diversive. “Lo Stato Islamico continua a fornire obiettivi e noi continuiamo a condurre attacchi aerei” confermano voci del Pentagono.

 

Il futuro della guerra
Lo Stato Islamico non ha mai controllato effettivamente oltre il 25% di Kobane, una città che conta circa 45mila abitanti, mentre ha il controllo totale di Raqqa, la capitale siriana del Califfato a circa 112 km da Kobane, che conta oltre 220mila abitanti. Eppure, gli strike americani hanno colpito più duro qui che a Raqqa, dove si ritiene che abbia passato molto tempo anche lo stesso capo di IS, Abu Bakr Al Baghdadi. In molte giornate di bombardamenti, Kobane è stato addirittura l’unico bersaglio degli aerei della coalizione.

 Il risultato è che da settembre a oggi, in Siria il Califfato ha raddoppiato la porzione di territori occupati ed è ormai presente in oltre un terzo del Paese. Dunque, anche la presa definitiva di Kobane è niente affatto risolutiva per le sorti generali del conflitto.

 Lo Stato Maggiore della Difesa americana ritiene più importante garantirsi l’Iraq che non lo stato siriano, dove una guerra civile e un presidente scomodo come Bashar Al Assad rendono assai complicata la futura gestione politica del Paese, senza contare l’importanza che la Siria e Assad stesso rivestono per l’Iran e la Federazione Russa. Così, diviene sempre più evidente che nel prossimo futuro solo le forze di terra potranno assicurare risultati definitivi nella lotta allo Stato Islamico.

Gokhan Sahin/Getty Images
20 ottobre 2014. L'esplosione di un'autobomba nella città curda di Kobane, in Siria, ad opera di terroristi suicidi dell'ISIS che si sono fatti esplodere contro una postazione dell'esercito curdo-siriano (People's Protection Unit - YPG). La foto è stata scattata da Suruc, sul confine turco-siriano, nella provincia di Sanliurfa.

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Luciano Tirinnanzi